Articoli del giornalino n.3/2024 - Maggio/Giugno
Dono di Dio
E’ stato scritto, in occasione della giornata di preghiera per la pace, che la pace è un dono di Dio ma una persona a me cara e vicina ha commentato: “a me pare che Dio abbia deciso di non elargire più doni”. Effettivamente nella nostra storia personale e in quella dell’umanità ci sono momenti in cui Dio ci sembra assente. E’ capitato anche a me ed è stato un periodo durato per molti anni. Era come una malattia che divorava la gioia di vivere e più ci ragionavo, più cercavo una risposta, tanto più le cose si facevano ingarbugliate; in fondo quello che desideravo mi sembrava bello e buono ma Dio taceva e il suo silenzio si faceva ogni giorno più assordante. Il fatto è che un bicchiere pieno non può essere riempito di un altro liquido, prima deve svuotarsi e, nel frastuono di mille suoni, non si può udire il canto della Creazione perché prima bisogna fare silenzio. Questa è la legge della vita e ha la sua radice nel principio di tutto, nella creazione che è, dalla parte di Dio, un atto non di espansione di sé ma di ritirata e di rinuncia come scriveva Simone Veil. Dio ha svuotato di sé una parte dell’essere per permettere di esistere a cose diverse da lui. L’amore, il dono di sé, è la legge che sottende la vita: se l’uomo è immagine di Dio, trova il suo dover essere e il suo compimento nel riflettersi in Dio e quindi nello svuotarsi, nel dono di sé: amo ergo sum. Svuotarsi di sé stessi: dei propri pensieri, desideri, anche di ciò che è buono e bello. In questo vuoto può prendere dimora Dio e in questo silenzio si può udire il mormorio leggero dello Spirito e comprendere che tutto quanto viviamo è un dono. Quando dopo un lungo travaglio mi arresi all’amore di Dio e accettai di non comprenderla ma di accogliere la vita così come mi veniva donata, piano piano incominciai di nuovo a provare stupore e a dire grazie. Compresi che ero guarito una notte quando scrissi nel mio diario: “stanotte mi sono svegliato e sono andato in cucina a bere un bicchier d’acqua”. Prima di accostare il bicchiere alle labbra, mi sono fermato un attimo e ho ringraziato Dio. Ogni cosa, anche la più semplice, la più piccola è un suo dono e racchiude un tesoro: la dimensione di gratuità valorizza le cose. Acqua che scorre perenne e che le mie, le nostre mani, fatte vaso, la raccolgono e ci fanno divenire il mezzo con cui possiamo dissetarci e dissetare un’altra persona ma, se chiudo le mani, per stringerla e possederla, l’acqua scivola via e rimaniamo con la nostra sete. Così accade per i doni di Dio: se li vogliamo afferrare e trattenere per noi, scivolano via: rimaniamo con il nostro nulla ma, se invece li accogliamo e li ridoniamo così come ci sono dati, il cuore è riempito della sua grazia: nel momento presente siamo quello che dobbiamo essere. Le nostre piccole mani sono colme di benedizione, traboccano la Vita divina che fluisce in noi e oltre noi. Donami Signore di essere vuotato di me stesso per essere riempito del tuo amore fai del mio cuore un manto di silenzio dove risuona la melodia della tua Parola fai del mio cuore la mangiatoia dove tu nasci e rinasci ogni giorno. Pietro Pinacci |
LE EMOZIONI PIU’ BELLE
GITA A VENEZIA E CHIOGGIA Partenza all’alba e arrivo a Mira verso le ore 9 pronti per l’imbarco sul battello che ci avrebbe portati a Venezia. Fatta colazione immersi in una molto suggestiva nebbia autunnale, abbiamo poi navigato il canale di Fusina, la foce del Brenta e il canale della Giudecca dove abbiamo ammirato il Molino Stucky e la chiesa del Redentore di fronte alla quale a giugno si svolge la festa più importante di Venezia (quella detta appunto del Redentore) con spettacolo pirotecnico in notturna. Ecco le Bricole fedeli guardiani per una sicura navigazione nella laguna. Sbarco sulla riva di San Biagio e, percorrendo la Riva degli Schiavoni (soldati provenienti dalle terre conquistate dai Veneziani), ci siamo immersi nel profumo di storia, arte, natura e vita della città chiamata anche la Serenissima. Venezia è divisa in sestrieri (quartieri) tre per ogni lato del Canal Grande: Canareggio, Castello, San Marco, San Polo, Santa Croce e Dorsoduro. Arrivati a Piazza San Marco abbiamo visitato la Cattedrale con i suoi mosaici e i suoi dipinti in cui è raccontata la storia di come due furbi veneziani abbiano sottratto il corpo di san Marco ai Bizantini nascondendolo dentro una cesta ricoperta da carne di maiale (invisa ai musulmani) e ricollocandolo poi nella Cattedrale. La Piazza era colma di gente, di lingue e culture differenti, venute a godere dei nostri tesori e delle nostre ricchezze culturali uniche al mondo. Un esempio nella Piazza è anche il caffè Florian: uno dei più antichi e visitati, sulle cui sedie hanno trovato posto nei decenni della sua storia persone comuni, attori, politici e intellettuali provenienti da ogni parte del mondo. Il pranzo si è svolto a bordo della motonave ed è stato particolarmente piacevole sia da un punto di vista culinario che per i luoghi che si potevano scorgere e ammirare durante la navigazione in Laguna. Nel pomeriggio, passeggiando attraverso suggestive calli, abbiamo ammirato l’ingegno dei veneziani nel costruire camini anti scintille e pozzi per la raccolta d’acqua dolce. Siamo giunti infine alla chiesa di san Sebastiano dove siamo rimasti incantati ammirando le opere di Paolo “il Veronese”. Ultima tappa del primo giorno è stata la visita allo “Squero di San Trovaso”, piccolo cantiere navale ove si riparano e costruiscono le gondole veneziane. La gondola è un’imbarcazione, unica e affascinante, lunga 15 metri che è sempre di colore nero e ha una forma a banana asimmetrica per poter utilizzare un solo remo. Per costruirla vengono utilizzati cinque diversi tipi di legno e per stabilizzarla viene collocato il “pettine”, (in veneziano “fero da prova o dolfin”). La forma del pettine “racconta“ Venezia: il Cappello del Doge, il Ponte di Rialto, i sei sestrieri, le tre isole di Murano, Burano eTorcello, il canale della Giudecca e il Canal Grande. Lo Squero di san Trovaso utilizza solo metodi tradizionali per la riparazione e la costruzione di queste imbarcazioni. Al termine della giornata ci siamo trasferiti a Sottomarina di Chioggia. Chioggia è il secondo porto Italiano (dopo Mazzara Del Vallo) per la flotta peschereccia. Il suo centro storico, visto in pianta, ha una forma di spina di pesce e la leggenda narra che fu fondata da Clodio, un esule troiano che scelse come stemma un leone rampante rosso a ricordo della città di Troia. Nei secoli il nome cambiò in Cluza, Clugia, Chiozza e infine Chioggia. Attraverso la Bocca di Porto siamo entrati in città visitando le calli sino a Porta Garibaldi da cui si sviluppa corso del Popolo: la via centrale e principale della città. Subito abbiamo visitato il Duomo dedicato a santa Maria Assunta dove sono custodite le spoglie dei santi martiri Felice e Fortunato patroni della città. Sullo stesso viale c’è la Torre di Sant’Andrea, opera millenaria che custodisce l’orologio medievale attualmente ancora in funzione. La torre è alta circa 30 metri e nel passato fu un faro e un punto di avvistamento dei pirati dal mare. Solo in seguito, dal medioevo, è diventata una torre campanaria con l’orologio. Lungo il viale abbiamo visto la casa in cui il commediografo Goldoni ha vissuto e scritto le sue commedie dialettali, ispirato dalla sua professione di avvocato civilista. Una simpatica tappa è stata la visita al mercato storico del pesce ove, oltre a essere colpiti dalla freschezza della merce, abbiamo guardato i divertenti gabbiani che camminavano indisturbati fra i clienti che acquistava il pesce. Nei pressi di calle Ponte Zitelle Vecchie, abbiamo avuto la fortuna di ammirare un antico Bragozzo, imbarcazione a fondo piatto, divenuta il simbolo della marineria chioggiotta e, per concludere, una divertente escursione in laguna a bordo del “moderno” bragozzo Ulisse. Vogliamo riportare una frase scritta su una parete di un ristorante a Sottomarina, dove tutta la compagnia ha cenato “...le emozioni più belle sono quelle che non puoi spiegare. Esse van rispettate, ascoltate e coltivate...” Paola e Claudio |
BOLOGNA LA DOTTA
Pioviggina: il pullman ci lascia in piazza Malpighi, attraversiamo il porticato e ci avviamo, un po’ scoraggiati, verso piazza Maggiore cuore della vita civile, sociale e politica della città e, da sempre, punto d’incontro dei bolognesi per manifestazioni ed eventi di vario genere. Su piazza Maggiore si affacciano gli edifici e i palazzi civici più importanti; tutti di origine Medievale, dal Palazzo Comunale (ora sede del Municipio) al Palazzo del Podestà (XIII sec.) con la Torre dell’Arengo (1212) che appartiene al nucleo più antico dell’edificio poi riedificato nel XV° secolo dalla famiglia Bentivoglio che erano Signori della città. Palazzo Re Renzo, re di Sardegna e figlio dell’imperatore Federico II° di Svevia che vi fu imprigionato dal 1249 fino alla morte. Palazzo dei Notai e Palazzo dei Banchi, sedi delle più importanti e potenti corporazioni Medievali e il cui nome deriva dalle botteghe dei cambiavalute un tempo situate sotto il portico. Ed eccoci davanti alla Basilica tardogotica di San Petronio (1390), dedicata al patrono di Bologna che, secondo la leggenda, definì il perimetro della città con l’ausilio di quattro croci ancora oggi visibili all’interno. E’ la chiesa più amata dai bolognesi e la sua facciata purtroppo è incompiuta, la parte bassa è rivestita da marmi bianchi e rossi (i colori del comune) mentre la bellissima lunetta centrale, scolpita dal Della Quercia, rappresenta la Madonna con bambino e San Petronio, Sant’Ambrogio fu aggiunto nel 1510 dal Varignana. Il Portale in bronzo, sempre del Della Quercia, rappresenta scene del Vecchio e Nuovo Testamento. L’interno della basilica, in stile gotico, è diviso in tre navate con 22 cappelle ricche di preziosi affreschi e antiche vetrate. Nella navata di sinistra si trova la linea Meridiana, progettata dall’astronomo G.D. Cassini nel 1655, che indica sul pavimento il moto solare. La Cappella Bolognini è famosa per il grande affresco del Giudizio Universale con ben visibile l’inferno e il paradiso dantesco e Lucifero al centro. Questo affresco ha creato negli anni scorsi problemi di sicurezza alla città per una citazione alla figura di Maometto ben visibile e non gradita agli integralisti islamici. Al centro, la statua di San Petronio con in mano la riproduzione in miniatura della città e poi l’organo del 1400, il polittico di scuola lombarda, gli affreschi del XV secolo, la reliquia del capo di San Petronio e tantissime altre opere bellissime di pittori e scultori più o meno famosi ci lasciano ancora una volta a bocca aperta. Alla fine della visita ci rimane la profonda emozione d’aver ancora una volta scoperto un’altra delle tante meraviglie della nostra splendida Italia. Ma non finisce qui, la nostra guida, passeggiando lungo il Portico del Pavaglione nel cuore di Bologna, ci conduce al Palazzo dell’Archiginnasio, prima sede dell’antica Università, costruita nel 1563. Salendo le scale, decorate con iscrizioni commemorative, troviamo circa 7000 stemmi di studenti provenienti da tutta Europa. Raggiungiamo il primo piano per entrare nell’Aula Magna degli Artisti e dei Legisti, oggi sala di lettura della Biblioteca Comunale chiamata anche Sabat Mater in memoria della prima esecuzione di G. Rossini. La Biblioteca è una delle maggiori d’Europa con 700.000 volumi, 15.000 edizioni rare, 12.000 manoscritti, disegni, stampe e codici miniati. Ma il gioiello dell’Archiginnasio è il Teatro Anatomico del XIII secolo: ci siamo potuti sedere in questa grande sala lignea, ricca di sculture e di statue di medici dell’antichità e, mentre la nostra guida ci narrava i fatti storici, abbiamo potuto osservare con un po’ d’apprensione la tavola anatomica dove si svolgevano le dissezioni dei cadaveri. Smette di piovere… il ristorante ci aspetta e, dopo un lauto pranzo, nel pomeriggio, attraversiamo i pittoreschi viali del Mercato di Mezzo e le caratteristiche Botteghe alimentari per arrivare al Palazzo della Mercanzia (XIII sec.) e, a pochi passi, le due Torri simbolo della Città ci accolgono. La Torre degli Asinelli, costruita tra il 1109 e il 1119, è alta 97,20 metri ed era utilizzata a scopi militari mentre la Torre Garisenda, sempre dello stesso secolo, prende il nome da due nobili ghibellini ed è ricordata anche da Dante nella Divina Commedia. Proseguiamo verso piazza di Santo Stefano con il complesso omonimo chiamato anche “Le sette chiese” o “Piccola Gerusalemme “, che è formato da quattro chiese risalenti al 392 d.c. quando, Ambrogio vescovo di Milano, vi pose delle reliquie di martiri bolognesi e, mezzo secolo dopo, Petronio fece costruire una piccola riproduzione del Santo Sepolcro di Gerusalemme. Verso la fine del X secolo invece, i frati Benedettini iniziarono a ristrutturare creando una basilica simile a un gioco di scatole cinesi fatte di chiese e cortili, chiostri e passaggi: un complesso che ancora oggi affascina molto ed è meta turistica molto ambita. Lasciate le Sette Chiese raggiungiamo la Basilica di San Domenico, sull’omonima piazza pavimentata con sassi di fiume secondo l’uso medievale ed eretta in stile tardo-romanico. Centro religioso/culturale e culla dell’ordine Domenicano, che custodisce gelosamente tesori d’arte e d’architettura come il grande Chiostro dei Morti, il Coro ligneo nel transetto sinistro dell’altare maggiore intarsiato da Fra Domenico da Bergamo nel 1528 e, la Cappella di San Domenico dove si trova la splendida Arca del Santo, morto a Bologna nel 1221, opera dello scultore Nicola Pisano (1267) e arricchita da statue di Michelangelo (1494). La giornata è giunta al termine e il pullman ci aspetta per il rientro: la stanchezza inizia a farsi sentire ma il cuore è leggero e felice d’aver ancora una volta scoperto e partecipato a quanto di più prezioso e magnifico il nostro Paese ci offre. Susanna Rossini |
Per la festa della mamma pubblichiamo volentieri questa struggente riflessione
LA MAMMA
Quando avrai perso tua madre, non ci sarà nessuna persona che si preoccuperà di te allo stesso modo in cui lo faceva lei.
Ti sveglierai una mattina col mal di gola, proverai a dirlo a qualche caro, ma non ci baderanno molto.
Se non prenderai un'aspirina e non metterai una sciarpa, non passerà e dovrai pensarci tu, anche se già prima ci pensavi tu, ma lei non sarà lì a chiederti due volte al giorno se è passato; a nessuno interesserà realmente il tuo mal di gola perché è un semplice mal di gola.
Ti sveglierai una mattina nervoso, con un carattere impossibile, ma se risponderai male a qualcuno, poi dovrai chiedere scusa perché è così che funziona, mentre lei ti avrebbe capito e ti avrebbe detto che ti voleva bene anche col tuo caratteraccio, ma gli altri no.
Prenderai degli aerei e ogni volta, appena atterrato, penserai di chiamarla per dirglielo, perché una mamma che sa che suo figlio è in aereo, aspetta che atterri per poter tornare a respirare normalmente.
Se non sarai laureato, sposato e genitore, metà della gioia che proverai in quel momento, sarà oscurata dell'amarezza di non poter condividere con lei quel risultato.
Sarà strano stare seduto a tavola a Natale e renderti conto che nessuno guarderà nel tuo piatto per vedere se stai mangiando con appetito e nessuno guarderà nei tuoi occhi per capire se sei turbato o sereno.
Con questa lettera non voglio intendere che non ti amerà nessuno o che sarai una persona sola... assolutamente. Voglio semplicemente intendere che nessuno ti amerà come si ama sé stessi... più di sé stessi.
Finché puoi, chiedile tante cose di quando eri piccolo, perché poi nessuno potrà raccontartele più, lei invece sa tutto di te.
La sentirai vicina nei momenti più impensati, sentirai la sua voce negli attimi della quotidianità, che ti spiega come fare una determinata cosa, ma soprattutto la sentirai quando starai male e sarà il tuo conforto.
Tratto da un post Facebook di
Miriam Messina
LA MAMMA
Quando avrai perso tua madre, non ci sarà nessuna persona che si preoccuperà di te allo stesso modo in cui lo faceva lei.
Ti sveglierai una mattina col mal di gola, proverai a dirlo a qualche caro, ma non ci baderanno molto.
Se non prenderai un'aspirina e non metterai una sciarpa, non passerà e dovrai pensarci tu, anche se già prima ci pensavi tu, ma lei non sarà lì a chiederti due volte al giorno se è passato; a nessuno interesserà realmente il tuo mal di gola perché è un semplice mal di gola.
Ti sveglierai una mattina nervoso, con un carattere impossibile, ma se risponderai male a qualcuno, poi dovrai chiedere scusa perché è così che funziona, mentre lei ti avrebbe capito e ti avrebbe detto che ti voleva bene anche col tuo caratteraccio, ma gli altri no.
Prenderai degli aerei e ogni volta, appena atterrato, penserai di chiamarla per dirglielo, perché una mamma che sa che suo figlio è in aereo, aspetta che atterri per poter tornare a respirare normalmente.
Se non sarai laureato, sposato e genitore, metà della gioia che proverai in quel momento, sarà oscurata dell'amarezza di non poter condividere con lei quel risultato.
Sarà strano stare seduto a tavola a Natale e renderti conto che nessuno guarderà nel tuo piatto per vedere se stai mangiando con appetito e nessuno guarderà nei tuoi occhi per capire se sei turbato o sereno.
Con questa lettera non voglio intendere che non ti amerà nessuno o che sarai una persona sola... assolutamente. Voglio semplicemente intendere che nessuno ti amerà come si ama sé stessi... più di sé stessi.
Finché puoi, chiedile tante cose di quando eri piccolo, perché poi nessuno potrà raccontartele più, lei invece sa tutto di te.
La sentirai vicina nei momenti più impensati, sentirai la sua voce negli attimi della quotidianità, che ti spiega come fare una determinata cosa, ma soprattutto la sentirai quando starai male e sarà il tuo conforto.
Tratto da un post Facebook di
Miriam Messina
Per Fernanda
Con il cuore gonfio di commozione qualche tempo fa vi ho informato che ci ha lasciati la nostra amica Fernanda Calderini, socia storica del nostro movimento; tessera n. 335: una delle pochissime rinnovate senza interruzione alcuna dalla data del suo rilascio.
Fernanda non posso dire di averla conosciuta bene nel senso che poco o nulla so della sua vita, della sua storia e della sua famiglia e tuttavia, quando sono diventato presidente del CMTE, lei è venuta a cercarmi e mi ha chiesto se avrebbe potuto scrivere degli articoli per il nostro giornalino.
Da quel giorno non passava bimestre che non mi mettesse nella casella della posta i suoi preziosi manoscritti (di cui si scusava perché mi obbligava a ribatterli a computer), tutti tracciati, come si diceva una volta, in bella calligrafia e tutti che, al di là dell’argomento trattato, trasudavano un’enorme padronanza della lingua; perfetti nella punteggiatura, senza alcuna sbavatura nella consecutio temporum e sovente ricchi di incredibili riferimenti storici e bibliografici che testimoniavano la sua grande e cristallina cultura.
Davvero delle piccole opere d’arte bell’è pronte per la stampa.
Fernanda poi non ha mai fatto passare un Natale o una Pasqua senza dimenticare di portarmi un biglietto augurale e un piccolo dono: di lei conservo alcuni volumetti su canzoni, poesie e proverbi milanesi e il tavolo del mio soggiorno è stato per interi mesi abbellito da rami d’agrifoglio che incredibilmente hanno conservano tutte le loro bacche rosse.
A nome del movimento ti ringrazio di quanto hai fatto per noi, ti prometto che resterai sempre nel nostro cuore e, per chiudere con una citazione classica come piaceva a te, segno sulla mia agenda che il 2 marzo 2024 non è stato l’ultimo tuo giorno fra noi “ma soltanto la data del tuo nuovo compleanno per l’eternità” (Seneca).
Ciao Fernanda!
Antonio
Con il cuore gonfio di commozione qualche tempo fa vi ho informato che ci ha lasciati la nostra amica Fernanda Calderini, socia storica del nostro movimento; tessera n. 335: una delle pochissime rinnovate senza interruzione alcuna dalla data del suo rilascio.
Fernanda non posso dire di averla conosciuta bene nel senso che poco o nulla so della sua vita, della sua storia e della sua famiglia e tuttavia, quando sono diventato presidente del CMTE, lei è venuta a cercarmi e mi ha chiesto se avrebbe potuto scrivere degli articoli per il nostro giornalino.
Da quel giorno non passava bimestre che non mi mettesse nella casella della posta i suoi preziosi manoscritti (di cui si scusava perché mi obbligava a ribatterli a computer), tutti tracciati, come si diceva una volta, in bella calligrafia e tutti che, al di là dell’argomento trattato, trasudavano un’enorme padronanza della lingua; perfetti nella punteggiatura, senza alcuna sbavatura nella consecutio temporum e sovente ricchi di incredibili riferimenti storici e bibliografici che testimoniavano la sua grande e cristallina cultura.
Davvero delle piccole opere d’arte bell’è pronte per la stampa.
Fernanda poi non ha mai fatto passare un Natale o una Pasqua senza dimenticare di portarmi un biglietto augurale e un piccolo dono: di lei conservo alcuni volumetti su canzoni, poesie e proverbi milanesi e il tavolo del mio soggiorno è stato per interi mesi abbellito da rami d’agrifoglio che incredibilmente hanno conservano tutte le loro bacche rosse.
A nome del movimento ti ringrazio di quanto hai fatto per noi, ti prometto che resterai sempre nel nostro cuore e, per chiudere con una citazione classica come piaceva a te, segno sulla mia agenda che il 2 marzo 2024 non è stato l’ultimo tuo giorno fra noi “ma soltanto la data del tuo nuovo compleanno per l’eternità” (Seneca).
Ciao Fernanda!
Antonio
RICORDO DI FERNANDA
Nel 1999 la OTMA edizioni ha pubblicato un libretto con cinquantuno poesie di Fernanda Calderini (la maestra Livolsi) dal titolo “Caleidoscopio” e, ora che l’autrice non è più tra noi, ne ho ripreso qualche stralcio.
Nella prefazione, Otmaro Maestrini, suo conterraneo e fondatore dell’editrice OTMA, definisce le poesie di Fernanda “il diario della sua anima”.
Anima nobile e sensibile quella di Fernanda, testimoniata nelle sue poesie che narrano del suo Piemonte ma anche del mare e della realtà quotidiana.
da “Le mie radici”:
La terra che era dei miei padri è ancora là,
intrisa di sudore,
domata da mani callose …
da “Piccole cose”:
… come stormi di uccelli
sono volati via i miei sogni
ed ora stanno seduti con i ricordi
sul davanzale della vita.
da “Mare di alghe”
… Come alghe abbracciate allo scoglio
subiamo ogni giorno
brividi di violenza.
da “Vivere oggi”
… vorrei fosse più semplice
vivere alle soglie del duemila.
da “Negro”
… la tua pelle nera,
pur diversa dalla mia,
mi dice che sei un fratello.
Grazie Fernanda!
Enrico Sciarini
Nel 1999 la OTMA edizioni ha pubblicato un libretto con cinquantuno poesie di Fernanda Calderini (la maestra Livolsi) dal titolo “Caleidoscopio” e, ora che l’autrice non è più tra noi, ne ho ripreso qualche stralcio.
Nella prefazione, Otmaro Maestrini, suo conterraneo e fondatore dell’editrice OTMA, definisce le poesie di Fernanda “il diario della sua anima”.
Anima nobile e sensibile quella di Fernanda, testimoniata nelle sue poesie che narrano del suo Piemonte ma anche del mare e della realtà quotidiana.
da “Le mie radici”:
La terra che era dei miei padri è ancora là,
intrisa di sudore,
domata da mani callose …
da “Piccole cose”:
… come stormi di uccelli
sono volati via i miei sogni
ed ora stanno seduti con i ricordi
sul davanzale della vita.
da “Mare di alghe”
… Come alghe abbracciate allo scoglio
subiamo ogni giorno
brividi di violenza.
da “Vivere oggi”
… vorrei fosse più semplice
vivere alle soglie del duemila.
da “Negro”
… la tua pelle nera,
pur diversa dalla mia,
mi dice che sei un fratello.
Grazie Fernanda!
Enrico Sciarini
Siamo sicuri che Fernanda sarebbe stata contenta della pubblicazione di questi ultimi piccoli scritti…
L’ANGOLO DI FERNANDA LA ZIZZANIA (IL PETTEGOLEZZO) Nel Vangelo di Luca (6:42) Gesù pronuncia una frase ben nota: “Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio di tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo?” Per definizione il pettegolezzo è una chiacchiera indiscreta tesa a mettere in cattiva luce qualcuno e a commentarne con malizia la sua condotta. Ciò avviene molto spesso quando ci si trova fra amici e conoscenti e si commentano le ultime novità segrete del paese e del “sentito dire”. Si spettegola perché il farlo genera finti benefici emotivi, come il sapere di non essere soli a commettere qualcosa di non buono. Esistono teorie secondo le quali sarebbe stato il pettegolezzo a consentire lo sviluppo delle comunità umane primitive perché lo spettegolare avrebbe permesso ai simili di venire a conoscenza di cose sconosciute da poter usare nella vita pratica quotidiana. Ai giorni nostri il pettegolezzo non ha una valenza positiva e non costruisce nulla di buono e di utile. Tanti libri di sociologia definiscono il pettegolezzo come tipico di una “persona tossica”. Personalmente non è un argomento che mi tormenta e non è il caso di fare nemmeno dei sondaggi! In questi tempi abbiamo già troppi problemi da risolvere! I “TUTTOLOGI” I tuttologi sono persone che hanno l’ingiusta convinzione di sapere tutto. La tuttologia è una materia affascinante e del resto abbiamo a disposizione tonnellate virtuali di informazioni che, in alcune persone, sviluppano l’idea (che non è criticabile) di diventare tuttologi. Al giorno d’oggi la tuttologia solletica sia giovani che meno giovani. Si tratta di utilizzatori di reti che passano una parte del loro tempo a leggere titoli, sottotitoli, testi e post che spaziano sugli svariati campi dello scibile umano. Il tuttologo sa sa di storia, di filosofia, di economia, di diritto, di medicina, etc… e se ne intende anche di politica e di partitocrazia. In cucina conosce i trucchi dei grandi chef e sa dove sono i migliori luoghi ove passare le vacanze suggerendo posti vicini e lontani con relativi prezzi. Per di più il tuttologo riesce ad affascinare coloro che, per mancate conoscenze, ammirano la loro cultura che sembra irraggiungibile. Dei tuttologi si potrebbe sorridere ma il peggio è che invece riescono a convincere molti delle loro idee! Non è ancora diventata una professione fare il tuttologo ma forse in avvenire potrebbe anche diventarlo!!! Cerchiamo dei buoni motivi per acculturarci e soprattutto cerchiamo di parlare molto meno e di usare buone parole che tocchino il cuore. IL VOLONTARIATO “Nessun uomo è così diritto come quando si china per aiutarne un altro” (proverbio). Lucio Anneo Seneca nel suo libro “De brevitate vitae” diceva che “non è vero che abbiamo poco tempo: la verità è che ne perdiamo tanto!”. Sprechiamo il tempo libero trascorrendo ore e giorni senza svolgere attività che ci arricchirebbero. Si naviga in internet senza contenuti veri da cercare, si guardano distrattamente programmi televisivi (e banali, anche!). In quest’ozio sterile si passa spesso il fine settimana. Questo è tempo sprecato. La psicologa Ashley Williams della Harvard School ci insegna che fare volontariato dà felicità e trasforma il tempo libero da passivo in attivo cioè in quello che ci ricarica, ci fa sentire bene e ci dà energia per aiutare il prossimo. Alcuni scienziati dicono che svolgere attività di volontariato può aumentare l’aspettativa di vita. Tutti possono fare volontariato, giovani e meno giovani. C’è tanto bisogno di volontariato perché l’aiuto dell’ente pubblico non sempre riesce ad arrivare a soccorrere persone malate e incidentate, handicappati e persone fragili e sole. Il volontariato e la solidarietà sono investimenti che non falliscono. Tanti piccoli gesti d’aiuto verso gli altri influenzano positivamente noi stessi e la nostra vita. Nel fare volontariato si trovano nuove relazioni e vengono arricchite le nostre conoscenze e le nostre competenze. Non sarà sempre facile ma, almeno, proviamoci! |
IL TOPO E LA TRAPPOLA
Un topo, guardando da un buco che c’era nella parete, vide un contadino e sua moglie che stavano aprendo un pacchetto. Pensò a cosa potesse contenere e restò terrorizzato quando vide che dentro il pacchetto c’era una trappola per topi. Corse subito nel cortile della fattoria per avvisare tutti: “C’è una trappola per topi in casa, c’è una trappola per topi!” La gallina, che stava raspando in cerca di cibo, alzò la testa e disse: “Scusi, signor topo, io capisco che è un grande problema per voi topi, ma a me che sono una gallina non dovrebbe succedere niente, quindi le chiedo di non importunarmi.” Il topo, tutto preoccupato, andò dalla pecora e le gridò: “C’è una trappola per topi in casa, una trappola!!!” “Scusi, signor topo, rispose la pecora, non c’è niente che io possa fare, mi resta solamente da pregare per lei. Stia tranquillo che la ricorderò nelle mie preghiere.” Il topo, allora, andò dalla mucca e questa gli disse: “Per caso, sono in pericolo? Penso proprio di no!” Allora il topo, preoccupato e abbattuto, ritornò in casa pensando al modo di difendersi da quella trappola. Quella notte si sentì un grande fracasso, come quello di una trappola che scatta e afferra la sua vittima. La moglie del contadino corse per vedere cosa fosse successo e, nell’oscurità, vide che la trappola aveva afferrato per la coda un grosso serpente. Il serpente velenoso, molto velocemente, morse la donna. Subito il contadino la trasportò all’ospedale per le prime cure e, al ritorno a casa e siccome la donna aveva ancora la febbre molto alta, le consigliarono una buona zuppa di brodo. Il marito allora afferrò un coltello e andò a prendere l’ingrediente principale: la gallina. Ma la malattia durò parecchi giorni e molti parenti andavano a far visita alla donna. Il contadino, per dar loro da mangiare, fu costretto ad uccidere la pecora ma la donna non migliorò e, tornata in ospedale, vi rimase più tempo del previsto costringendo il marito a vendere la mucca al macellaio per poter far fronte a tutte le spese della malattia della moglie. Questa storia insegna che la prossima volta che sentite qualcuno che si trova ad affrontare un problema e pensate che non vi riguardi, ricordatevi che, quando uno di noi è minacciato, siamo tutti a rischio. Siamo tutti coinvolti in questo viaggio chiamato vita. Dobbiamo tenerci d'occhio l'un l'altro e fare uno sforzo in più per incoraggiare l'altro. Il mondo non va male per la malvagità dei cattivi ma per l’indifferenza dei buoni! Storia zen postata in Internet (https://www.sophiaperte.it/) |
Questa volta eccoci in compagnia del grande filosofo Snoopy…