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  MACCHÈ ANZIANI D'EGITTO!!! CMTE SEGRATE

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GIORNALINO

Articoli del giornalino n.3/2025 - Maggio/Giugno

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L'essenziale oggi
Ultimamente sono circolati sul web dei pensieri attribuiti a papa Francesco.
Questi scritti, che qua e là riportano frasi di Francesco estrapolate dal loro contesto, sono in larga parte condivisibili ed emozionano, però sono dei falsi.
Come riconoscere il vero dal falso? 
Questi pensieri non citano le fonti da cui sono tratti, si legge soltanto, alla fine, la dicitura: papa Francesco.
E’ quindi buona regola fidarsi soltanto di scritti che riportino le fonti in modo da poterle verificare facilmente.
Tutto il magistero di Francesco è infatti reperibile sul sito del Vaticano
 (vatican.va/content/francesco.it) e ampi estratti vengono riportati su Vatican News.
 Un altro modo per riconoscere i falsi è vedere se nel testo si parla di Gesù.
Ad esempio, nell'ultimo scritto circolato sul web, non una sola volta sono citati Gesù e il vangelo.
E' inconcepibile che Francesco, in un pensiero in cui vengono trattate tematiche importanti come la sofferenza, non faccia riferimento a Gesù e alla sua croce. 
Nei suoi discorsi e nei suoi scritti, Gesù e le sue parole sono il punto di partenza e di arrivo, il cuore di ogni sua riflessione.
Come dice San Patrizio in una preghiera: Cristo in me, Cristo sotto di me, Cristo sopra di me, Cristo alla mia destra, Cristo alla mia sinistra, Cristo quando mi corico, Cristo quando mi siedo, Cristo quando mi alzo, Cristo nel cuore di ogni uomo che mi pensa, Cristo sulle labbra di tutti coloro che parlano di me, Cristo in ogni occhio che mi guarda, Cristo in ogni orecchio che mi ascolta.
Nasce spontanea una domanda: perché vengono diffusi questi falsi messaggi?
Per aumentarne l'autorevolezza e raggiungere un uditorio più vasto?
Per fare una burla?
Forse, ma credo ci sia di più: c'è il tentativo subdolo di eliminare Cristo e la sua Chiesa dall'orizzonte dell'uomo. 
Ognuno può contribuire a ciò che è vero, buono, bello, indipendentemente dall'appartenenza a una fede religiosa, ciò merita rispetto e ammirazione ma la vocazione dei cristiani è di essere sale della terra e luce del mondo (Mt 5, 13-14), essere per il mondo ciò che l’anima è per il corpo (Lettera a Diogneto) e tutto questo in umiltà e mitezza.
Per il cristiano pace, giustizia sociale, cura della natura, hanno il fondamento in Cristo che dà la vita per noi: Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e Cristo Crocifisso (1Cor 2,2).
In questi tempi di messaggi effimeri, di guerre e di orrori, il cristiano ha più che mai il compito di confessare Cristo e Cristo crocifisso.
Scriveva Edith Stein: il mondo è in fiamme. L’incendio può cogliere anche la nostra casa. Sopra tutte le fiamme, però, s’innalza la croce. Non la possono bruciare, è il camino dalla terra al cielo. Chi l’abbraccia con fede, amore e speranza viene portato nel grembo della Trinità (14 settembre 1939, festa dell’esaltazione della croce).
Beati noi se avremo il coraggio di confessare Cristo e Cristo crocifisso, con la parola e il dono della nostra vita, per donare vita nuova al mondo.
Sarà il modo più bello di festeggiare la Pasqua.
Pietro Pinacci

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GENOVA, CITTA’ DI MARE
 Capoluogo della Regione Liguria, adagiata su di un lungomare chilometrico che si snoda da Voltri a Nervi, incorniciata alle spalle dall’Appennino Ligure che la cinge per tutto il golfo, con di fronte il blu del mare, il Porto Antico e la “Lanterna” (il faro simbolo della città): Genova è una città di mare dalla storia gloriosa.
Questo è ciò che sapevamo prima che la nostra ottima guida iniziasse a presentarcela.
Sotto una pioggerellina fastidiosa, ci siamo addentrati nelle pittoresche stradine medievali. 
Attraverso la Porta dei Vacca siamo entrati in via del Campo dove, per prima cosa, abbiamo potuto dare un’occhiata al piccolo museo dedicato a Fabrizio De Andrè.
Il giro è iniziato purtroppo con una pioggia in aumento ma, per fortuna, la guida ci ha condotto alla Basilica di San Siro, l’antica Cattedrale genovese risalente al IV° secolo e dedicata al primo vescovo genovese. 
L’interno è adornato da dodici cappelle, tutte decorate da importanti pittori genovesi.
Vi è inoltre conservata un’enorme bomba d’aereo, cimelio della II guerra mondiale, atterrata nella Cappella della S.S. Annunziata e miracolosamente inesplosa. 
Finalmente la pioggia è rallentata e noi abbiamo potuto continuare il nostro giro. 
La città, detta anche “ La Superba”,  vanta un centro storico molto grande   all’interno del quale si trovano sontuosi palazzi,  grandi piazze come piazza De Ferrari,  piazza Matteotti, il teatro Carlo Felice,  il Duomo,  cattedrali e basiliche,  ma, che ha rivelato in tutta la sua bellezza in via Garibaldi dove si trovano le  dimore  nobiliari  dei ricchi  banchieri, mercanti e armatori risalenti al Rinascimento con i palazzi Brignole - Sale,  Doria,  Fieschi,  Spinola e   Grimaldi,  all’interno dei quali si trovano vere  e proprie gallerie d’arte.
Sono il più grande museo d’arte antica della città e riuniscono, in un unico percorso, tre dimore della “nobile Strada Nuova” il cinquecentesco quartiere dell’aristocrazia cittadina: Palazzo Rosso, Bianco e Fieschi.  
Venivano chiamati anche Palazzi dei Rolli, destinati ad accogliere e ospitare uomini illustri provenienti da tutta Europa come ambasciatori, re, regine, consoli e nobili di ogni ceto e grado.
La nostra meta è stata Palazzo Rosso, dimora dei Brignole-Sale, uno dei più significativi esempi di barocco genovese, che conserva dipinti, sculture e arredi dal 1500 al 1800, tutti tesori accumulati nei secoli dalla famiglia proprietaria. 
Abbiamo potuto ammirare appartamenti storici con sale riccamente arredate e affrescate di età barocca, tutte bellissime e affascinanti, notevoli ritratti di personaggi appartenuti alla famiglia Brignole-Sale e immortalati da Van Diyck.
E ancora: dipinti del Tintoretto, Pisanello, Veronese, Tiziano, etc…: una festa per gli occhi. 
Alla fine dell’‘800 il palazzo fu donato al Comune dalla duchessa Galliera ultima discendente della famiglia.
All’ora di pranzo abbiamo raggiunto il ristorante sul porto per un ottimo pasto ristoratore e, dopo il caffè, quando finalmente ha smesso di piovere, abbiamo potuto goderci una bella passeggiata lungo il Porto Antico e ammirare il Bigo, il Galeone e il Nazario Sauro (il sommergibile che poi abbiamo visitato anche all’interno).
Tutta l’area della Darsena è stata recentemente restaurata nel corso dei lavori per la realizzazione del Galata Museo del Mare, così chiamato in omaggio a un’antica colonia genovese a Istambul.
Il Galata Museo del Mare è il più grande museo marittimo del Mediterraneo.
La visita si è snodata su tre dei cinque piani. L’allestimento è stato realizzato per permettere al visitatore di partecipare attivamente al percorso e di scoprire la storia delle imbarcazioni marittime che iniziò dal porto genovese del XI secolo, per arrivare all’età contemporanea, passando attraverso le epoche della navigazione a remi, delle galee, grandi protagoniste della storia marittima genovese, dei velieri e dei piroscafi.   
La guida ci ha raccontato tutto su Cristoforo Colombo, sulla Nina, sulla Pinta e sulla Santa Maria, della differenza tra le nao e le caravelle, dei numerosi viaggi d’esplorazione, delle caracche e dei brigantini, della Darsena con Fortezza per le merci preziose, delle armi e dell’Arsenale della Repubblica.
Insomma, una quantità di informazioni e di possibilità di visionare ambienti e mezzi perfettamente ricostruiti. 
La visita, era giunta al termine ma, mancandoci il Nazario Sauro il sommergibile ormeggiato davanti al museo, siamo tornati all’ingresso dove ci sono stati consegnati i caschetti gialli obbligatori per poter accedere a S518 Nazario Sauro.
Ora la visita era veramente finita e, stanchi ma molto soddisfatti, ci siamo avviati verso il pullman che ci stava aspettando per rientrare, sicuramente più ricchi di vissuto e di storia antica. 
Susanna Rossini
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L’11 MARZO 2020
 
Era l’11 marzo 2020: le strade erano vuote, i negozi chiusi e la gente non usciva più.
Ma la primavera non sapeva nulla e i fiori continuavano a sbocciare, il sole a splendere, tornavano le rondini e il cielo si colorava di rosa e di blu.
La mattina si impastava il pane e si infornavano i ciambelloni; diventava buio sempre più tardi e la mattina le luci entravano presto dalle finestre socchiuse.
Era l’11 marzo 2020: i ragazzi studiavano connessi a discord e nel pomeriggio per gli anziani c’era l’immancabile appuntamento a tresette.
Fu l’anno in cui si poteva uscire solo per fare la spesa e poco dopo chiusero tutto, anche gli uffici.
L’esercito iniziò a presidiare i confini e non c’era più spazio per tutti negli ospedali.
La gente si ammalava ma la primavera non lo sapeva e le rose tornarono a fiorire.
Si riscoprì il piacere di mangiare tutti insieme in famiglia, di scrivere lasciando libera l’immaginazione e di leggere volando con la fantasia.
Ci fu chi imparò una nuova lingua; chi si rimise a studiare e chi riprese le dispense per l’ultimo esame che mancava alla tesi; chi capì di amare davvero la vita; chi smise di scendere a patti con l’ignoranza; chi chiuse l’ufficio e aprì un’osteria con solo otto coperti; chi lasciò la fidanzata per urlare al mondo l’amore per il suo migliore amico e chi diventò dottore per aiutare chiunque un domani ne avesse avuto bisogno.
Fu l’anno in cui si capì l’importanza della salute e degli affetti veri; l’anno in cui il mondo sembrò fermarsi e l’economia andare a picco ma la primavera non lo sapeva e i fiori lasciarono il posto ai frutti.
Poi arrivò il giorno della liberazione: eravamo alla tv e il primo ministro disse a reti unificate che l’emergenza era finita; che il virus aveva perso e che gli italiani, tutti insieme, avevano vinto!
Allora uscimmo per strada, con le lacrime agli occhi senza mascherine e senza guanti, abbracciando il nostro vicino come fosse nostro fratello e fu allora che arrivò l’estate perché la primavera non lo sapeva e aveva continuato a esserci nonostante tutto; nonostante il virus, nonostante la paura, nonostante la morte.
Fu così che la primavera, non sapendolo, insegnò a tutti la forza della vita!
 
Irene Vella  

 

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100 miliardi di vestiti
 
Giovedì 9 gennaio 2025 ho copiato un articolo dal sito della Caritas Ambrosiana, che tratta un argomento che ritengo importante: il consumismo e il suo impatto negativo sull’ umana società. Eccone il titolo:
100 MILIARDI DI VESTITI
OGNI ANNO
A LIVELLO GLOBALE VENGONO PRODOTTI 100 MILIARDI DI VESTITI OGNI ANNO PER 7 MILIARDI DI
PERSONE CHE VIVONO SUL PIANETA TERRA.
 
Domenica 12 gennaio 2025, tra le 15 e le 16 il canale televisivo di Rai3 ha trasmesso un reportage di Monica Maggioni che trattava lo stesso tema ed è andato anche oltre quanto scritto dalla Caritas, documentando cosa avviene di questo enorme numero di abiti, come e dove sono prodotti, il commercio, legale e illegale cui danno origine e dove finiscono.
In sintesi: vengono prodotti in nazioni povere, tra cui il Bangladesh, ma anche in Cina, che non è più considerata una nazione povera, per conto delle multinazionali della moda. L’invenduto e l’usato vengono esportati soprattutto in altre nazioni povere dell’ Africa e del Sud America.
Il Ghana è la Nazione in Africa che ne riceve di più e che più ne subisce le conseguenze negative. Greenpeace ne aveva dato notizia il 18 settembre 2024
 “Fast fashion: ogni settimana 15 milioni di vestiti usati soffocano il Ghana (e c’entra anche l’Italia)Giuseppe Ungherese 18 Settembre 2024”
 
Dalla trasmissione di Rai3 anche il Cile è stato annoverato tra le nazioni che più importano vestiti usati e che poi non sanno come disfarsene. Di questo se ne era occupato anche il quotidiano “Il Sole 24 ore” del 6 settembre 2024
“ Gli eccessi della moda finiscono in cenere nel deserto di Atacama”Ad Alto Hospicio, nel nord del Cile, gli attivisti di Desierto Vestido denunciano le enormi e crescenti discariche abusive di abiti e accessori usati o mai venduti: «Occorre aumentare la qualità, limitare le fibre sintetiche, comprare consapevolmente»di Chiara Beghelli”Il reportage della Maggioni ha mostrato che non proprio tutto finisce in cenere, anzi gran parte rimane sul posto dove più poveri dei poveri recuperano ancora qualcosa, un po’ brucia e il tutto inquina.
L’auspicio nel virgolettato del “Sole 24 ore”: limitazione delle fibre sintetiche e acquisto consapevole, va bene, però aggiungerei una più rigida regolamentazione dell’uso delle fibre sintetiche e, soprattutto, il sostegno alle aziende di riciclaggio.
Ma per far questo bisognerebbe che l’argomento fosse tra le priorità degli Amministratori delle multinazionali e di tutti i Capi di Governo.
Purtroppo le loro priorità sono altre.
 
Enrico Sciarini
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La Tolleranza
 
Ho partecipato alla conferenza tenuta da Padre Franco Stano per il periodo quaresimale e mi ha colpito la caparbietà con cui ci ha fatto riflettere sulla necessità di far incontrare azione e motivazione.
Meditandoci, non si può negare come sovente si sia portati a manipolare quello che siamo, che diciamo e che facciamo solo per farli soggiacere al nostro interesse.
E’ come se raccontassimo delle bugie a noi stessi non solo non riconoscendoci e non accettandoci ma addirittura facendo in modo che anche gli altri credano che si sia diversi da come siamo, da quel che realmente pensiamo e dal come agiamo.
Noi siamo quello che siamo non quello che sembriamo.
L’asservimento all’apparenza, questo desiderio di sentirsi stimato e apprezzato nasconde, in fondo, una voglia di potere e denuncia l’incapacità di accettarsi e, per conseguenza, induce a non accettare neanche gli altri.
Ci manca, insomma, la tolleranza su cui ho fatto una breve ricerca a partire dalla sua definizione che la qualifica come la capacità di saper accettare le persone che non ci assomigliano in qualcosa e le idee che sono diverse dalle nostre.
La generalizzata assenza tra gli uomini di questo mondo di questa virtù diviene più pericolosa in modo direttamente proporzionale al potere di cui gode chi ne è privo e la storia ce lo insegna a partire dalle guerre di religione e da quelle di interesse economico.
Ma, nonostante questo, la sua mancanza è in grado di fare danni anche nel nostro quotidiano infiltrandosi in semplici discussioni fra persone e portandole sovente a litigi che minano amicizie e/o familiarità a volte  sfociando anche in violenze verbali e, peggio ancora, fisiche.
Credo che tutti dobbiamo quindi imparare a tollerarci di più perché penso che nessuno di noi possa dichiararsi del tutto immune all’intolleranza: lo vedo a volte in famiglia, fra gli amici, fra noi consiglieri del direttivo, fra i soci, … ovunque. 
Impariamo e impegnamoci a vivere i nostri rapporti con maggiore armonia confrontandoci e accettando di convivere con le diversità e anche con le piccole avversità usando un po’ più di allegria e di … tolleranza.
Antonio Dallera

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​UN POMERIGGIO MOLTO INTERESSANTE
VISITA ALL’UNIVERSITÀ CATTOLICA DEL SACRO CUORE
 
In una splendente giornata di sole marzolino (finalmente!) ci siamo trovati davanti all’università cattolica del Sacro Cuore, provenendo dalla pusterla fatta erigere dal Barbarossa, una delle tante porte di Milano della cinta muraria medievale.
Prima ancora che S. Ambrogio diventasse vescovo, questa era una zona di cimiteri nei quali si conservavano i resti dei Santi Martiri.
Fu così che nei primi anni del ventennio fascista venne eretto un sacrario per i caduti della prima guerra mondiale nel quale ora riposano, purtroppo, anche quelli della seconda, a creare una sorta di fil-rouge fra i martiri cristiani e quelli della Patria.
Gli architetti furono nomi famosi: Giò Ponti, Muzio, Buzzi.
Come per il Battistero del Duomo, la pianta è ottagonale a rappresentare i sette giorni della Creazione mentre l'ottavo simboleggia la Risurrezione.
La statua in bronzo, antistante, all'interno del quadriportico è di S. Ambrogio ma l'iconografia è inconsueta: sembra infatti un guerriero più che un vescovo.
Nel 1921 si sente il desiderio di fondare un nuovo ateneo degno di Milano e saranno Padre Agostino Gemelli e la consacrata laica Armida Barelli a fondarlo e patrocinarlo.
Inizialmente viene aperto in via S. Agnese, poi viene eretto nel 1929 il nuovo edificio che sfrutta i chiostri conventuali edificati dal Bramante e che appartenevano al convento legato alla Basilica.
L’Università verrà dedicata alla devozione del Sacro Cuore di Gesù.
La scultura in bronzo inserita nella facciata, del Castiglioni, rappresenta la regalità di Cristo.
Entrando, a destra, si può ammirare la bellissima abside della Basilica. 
Nel primo cortile a sinistra si affaccia, in cotto e con una grande croce a rilievo, la Chiesa dell'ateneo.
Nell'interno l'abside, ricoperta da un fondo dorato, richiama lo stile bizantino e un dipinto a trompe-l'oeil di Pogliaghi raffigura Gesù che indica il suo cuore, che pare uscire dalla nicchia.
Nella cripta sono sepolti i fondatori e altri beati e benefattori.
Nella navata unica spiccano bassorilievi, grandi e allungati, di santi fra i quali S. Margherita Alacoque, inziatrice della devozione al Sacro Cuore.
In Cattolica, come comunemente viene chiamata, si alternano appunto lo stile neoclassicheggiante del ventennio all'antico bramantesco dei chiostri del convento, voluto dallo Sforza, su una precedente struttura ospedaliera.
Nel 1200 i canonici fanno erigere il primo campanile, di stile romanico.
La lotta di potere fra Ascanio Sforza e il suo rivale, Ludovico il Moro, nel ‘400 portò a una gara di magnificenza fra i due, anche nell'edificazione del secondo campanile di S. Ambrogio, annesso appunto al convento dei Benedettini, a cui i due chiostri, dorico e ionico a doppio ordine di archi, appartenevano.

Poiché il Moro venne battuto dai francesi, il terzo chiostro, corinzio, non si farà mai.
Nell'aula magna, ex refettorio, Callisto Piazza realizzò un magnifico affresco in cui sono rappresentate le nozze di Cana; fortunatamente, pur non essendo in genere visibile al pubblico, abbiamo potuto ammirarlo in tutta la sua forza espressiva.
L'ultimo ambiente visitato è stato il giardino di S. Caterina d'Alessandria, anche detto giardino delle vergini, perché dedicato esclusivamente alle studentesse, coronato da un tripudio di camelie.
Anticamente era una “sciostra" ossia un magazzino delle merci e pare che proprio qui avvenisse la conversione di S. Agostino, grazie alla paterna guida di S. Ambrogio.
A lato, una nevera del ‘700 consentiva la conservazione dei cibi, così come si usava in moltissimi cascinali ed edifici lombardi.
Una gita pomeridiana breve, ma molto, molto interessante.
Elisa Ogliari
 




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SAPORE DI MARE:
in viaggio con la nostalgia

 
Sapore di Mare è stato il Musical che ci ha raccontato l’estate di un gruppo di ragazzi e delle loro famiglie nella Versiglia degli anni ’60 in particolare riportandoci alla favolosa estate del 1964 a Forte dei Marmi.
In questa pittoresca località sono stati intrecciati amori innocenti, baci sotto le stelle, intrighi, flirt estivi, delusioni amorose, piccoli imbrogli e avventure di un’estate che non finirà mai.
Insomma è stato un viaggio nostalgico con tantissime emozioni innaffiate da bellissima musica.
Tratto da una divertente commedia Cult dei fratelli Vanzina, il musical è diventato un’esperienza live che ha coinvolto tutta la sala. 
Musica, emozioni e divertimento ci hanno riportati alla nostra adolescenza con ricordi, risate e canzoni che  si sono susseguite  a ritmo incalzante creando un’atmosfera coinvolgente e surreale;  il tutto intercalato da scenette comiche e da battute divertenti.  
Bravissimo Paolo Ruffini nella parte di fotografo ufficiale e di presentatore.
Un cast favoloso, una band dal vivo eccezionale e straordinaria la partecipazione di Fatima Trotta. 
Tre ore di spettacolo “volate” tra musica, coreografie spettacolari e scenografie bellissime; un’esperienza teatrale unica.  
   Susanna Rossini

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E ORA…

​UN PO’ DI UMORISMO!

  
 
 

Oggi una carellata di umorismo per tutti i gusti…

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