Teatro Gerolamo
19 febbraio 2022
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Resoconto
Una serata al Teatro Gerolamo
Nel cuore della città, in piazza Beccaria, un modesto portone di un palazzo introduce in un piccolo teatro in stile neoclassico con due ordini di palchi, un loggione e una platea, tutti in dimensioni ridotte, che i milanesi hanno soprannominato la “Piccola Scala”.
Si tratta del Teatro Gerolamo: un piccolo gioiello di architettura e un affascinante pezzo di storia della città da scoprire passo per passo, come abbiamo fatto noi, ascoltando in platea il direttore artistico che ce ne ha raccontato vicende, curiosità e aneddoti.
Fu costruito in pochi mesi nel 1868 dalla stessa impresa che stava erigendo la Galleria Vittorio Emanuele di cui utilizzò i materiali di recupero e (si dice) non solo come, per esempio, le colonnine dei palchi.
La gestione fu affidata al marionettista Giuseppe Fiando che diede spazio anche al teatro dialettale.
In seguito la più prestigiosa tra le compagnie che gestirono il teatro fu quella di Giuseppe Colla e Figli che creò spettacoli memorabili dal 1911 al 1957 in cui si ebbe una prima chiusura del teatro e si corse anche il rischio della sua demolizione.
Recuperato da Paolo Grassi, per alcuni anni ha ospitato recital, cabaret e monologhi portando sulle scene importanti protagonisti come Franca Valeri, Tino Buazzelli, Paolo Poli, i coniugi Fo, Enzo Jannacci e Ornella Vanoni.
Nel 1983 si ebbe la seconda chiusura perché il teatro non rispondeva alle nuove norme di sicurezza.
Dal 2017, dopo un lavoro di restauro di sei anni, il Gerolamo, coi suoi 209 posti, è di nuovo il teatro di tutti i milanesi: dei grandi e dei piccoli; di chi vuole divertirsi con leggerezza e di chi nell’arte cerca spunti per riflettere.
Ho avuto conferma di questo stretto rapporto, sentendo gli amici nati e cresciuti a Milano raccontare con affetto e nostalgia di quando da bambini andavano al Gerolamo accompagnati dai genitori o dai nonni.
Ma come mai questo nome e non quello di una maschera più tipicamente milanese?
Anche questa è una storia interessante.
Il nome è quello di una maschera piemontese diffusa nel ‘700 con caratteristiche di critica e satira del potere.
I capocomici che la portarono in giro corsero seri rischi e subirono arresti e condanne o furono costretti a fuggire sia a Genova (per l’assonanza col nome dell’allora doge Girolamo), sia nella Torino napoleonica (perché Gerolamo era il nome del fratello di Napoleone).
Così riscrissero il canovaccio e nel 1808 cambiarono il nome in Gianduia.
Nella Milano austriaca il problema non esisteva e il capocomico Fiando, uno dei promotori della costruzione del teatro, continuò a portarlo in scena, raffigurandolo addirittura sia sul frontone del palcoscenico che sull’arco d’ingresso alla platea.
La prima parte della serata, in attesa dello spettacolo, si è conclusa con un simpatico “apericena” nelle eleganti salette di cui il teatro è dotato.
Il recital Faber che è seguito ha ripercorso alcune importanti tappe della vita di Fabrizio De André con brani suonati e cantati dal vivo e con episodi tratti dai ricordi di chi ha avuto il privilegio di essergli vicino.
Così abbiamo anche saputo il perché del soprannome Faber datogli da Paolo Villaggio: non per l’assonanza col suo nome ma per gli inseparabili quaderni neri e le moltissime matite Faber-Kastell che usava per le sue annotazioni.
L’attrice e cantante Melania Giglio è stata bravissima nel restituire i sentimenti e le emozioni che vivono nelle canzoni di De Andrè inserendo però anche il suo vissuto nelle interpretazioni.
Come succede ai grandi cantautori, le canzoni si intrecciano alla vita e ai ricordi di ognuno di noi.
Il filo seguito è stato quello tracciato dai personaggi delle canzoni, pretesto narrativo, con cui si legano i brani uno all’altro: da Bocca di Rosa a Don Raffaé e chiudendo con Anime salve, un brano della maturità, dall’omonimo ultimo disco del 1996.
Laura Re
Nel cuore della città, in piazza Beccaria, un modesto portone di un palazzo introduce in un piccolo teatro in stile neoclassico con due ordini di palchi, un loggione e una platea, tutti in dimensioni ridotte, che i milanesi hanno soprannominato la “Piccola Scala”.
Si tratta del Teatro Gerolamo: un piccolo gioiello di architettura e un affascinante pezzo di storia della città da scoprire passo per passo, come abbiamo fatto noi, ascoltando in platea il direttore artistico che ce ne ha raccontato vicende, curiosità e aneddoti.
Fu costruito in pochi mesi nel 1868 dalla stessa impresa che stava erigendo la Galleria Vittorio Emanuele di cui utilizzò i materiali di recupero e (si dice) non solo come, per esempio, le colonnine dei palchi.
La gestione fu affidata al marionettista Giuseppe Fiando che diede spazio anche al teatro dialettale.
In seguito la più prestigiosa tra le compagnie che gestirono il teatro fu quella di Giuseppe Colla e Figli che creò spettacoli memorabili dal 1911 al 1957 in cui si ebbe una prima chiusura del teatro e si corse anche il rischio della sua demolizione.
Recuperato da Paolo Grassi, per alcuni anni ha ospitato recital, cabaret e monologhi portando sulle scene importanti protagonisti come Franca Valeri, Tino Buazzelli, Paolo Poli, i coniugi Fo, Enzo Jannacci e Ornella Vanoni.
Nel 1983 si ebbe la seconda chiusura perché il teatro non rispondeva alle nuove norme di sicurezza.
Dal 2017, dopo un lavoro di restauro di sei anni, il Gerolamo, coi suoi 209 posti, è di nuovo il teatro di tutti i milanesi: dei grandi e dei piccoli; di chi vuole divertirsi con leggerezza e di chi nell’arte cerca spunti per riflettere.
Ho avuto conferma di questo stretto rapporto, sentendo gli amici nati e cresciuti a Milano raccontare con affetto e nostalgia di quando da bambini andavano al Gerolamo accompagnati dai genitori o dai nonni.
Ma come mai questo nome e non quello di una maschera più tipicamente milanese?
Anche questa è una storia interessante.
Il nome è quello di una maschera piemontese diffusa nel ‘700 con caratteristiche di critica e satira del potere.
I capocomici che la portarono in giro corsero seri rischi e subirono arresti e condanne o furono costretti a fuggire sia a Genova (per l’assonanza col nome dell’allora doge Girolamo), sia nella Torino napoleonica (perché Gerolamo era il nome del fratello di Napoleone).
Così riscrissero il canovaccio e nel 1808 cambiarono il nome in Gianduia.
Nella Milano austriaca il problema non esisteva e il capocomico Fiando, uno dei promotori della costruzione del teatro, continuò a portarlo in scena, raffigurandolo addirittura sia sul frontone del palcoscenico che sull’arco d’ingresso alla platea.
La prima parte della serata, in attesa dello spettacolo, si è conclusa con un simpatico “apericena” nelle eleganti salette di cui il teatro è dotato.
Il recital Faber che è seguito ha ripercorso alcune importanti tappe della vita di Fabrizio De André con brani suonati e cantati dal vivo e con episodi tratti dai ricordi di chi ha avuto il privilegio di essergli vicino.
Così abbiamo anche saputo il perché del soprannome Faber datogli da Paolo Villaggio: non per l’assonanza col suo nome ma per gli inseparabili quaderni neri e le moltissime matite Faber-Kastell che usava per le sue annotazioni.
L’attrice e cantante Melania Giglio è stata bravissima nel restituire i sentimenti e le emozioni che vivono nelle canzoni di De Andrè inserendo però anche il suo vissuto nelle interpretazioni.
Come succede ai grandi cantautori, le canzoni si intrecciano alla vita e ai ricordi di ognuno di noi.
Il filo seguito è stato quello tracciato dai personaggi delle canzoni, pretesto narrativo, con cui si legano i brani uno all’altro: da Bocca di Rosa a Don Raffaé e chiudendo con Anime salve, un brano della maturità, dall’omonimo ultimo disco del 1996.
Laura Re