Articoli del giornalino n.5/2025 - Novembre/Dicembre
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Uno sguardo - Natale del cuore
Ci sono cose, incontri, sguardi, che rimangono custoditi nel cuore per un tempo indefinito, al riparo dai sussulti della memoria, dall’incalzare degli eventi, belli o travagliati, che costellano la nostra vita. Riposano, come semi serbati nella terra coperta da un sottile strato di neve, e riaffiorano all’improvviso, per manifestarsi nella loro bellezza e verità al momento opportuno. Il 30 di gennaio del 2014 mi trovavo a Bruxelles per lavoro. Nell’attesa di iniziare una riunione, entrai nella Chiesa della Madeleine, nei dintorni della Grande Place. C’era la Messa. Presi posto nella navata di sinistra, davanti all’icona della Trinità di Rublev. Conclusa la Messa incominciai a recitare il Rosario. Ma non riuscivo a concentrarmi, per il via vai di persone che entravano nella cappella laterale. Così mi spostai nella navata di destra, dove c’era un’icona della Madonna, posta sopra un piccolo altare. Le passai davanti velocemente, senza notare i particolari. Mi sedetti nell’ultima fila, a una ventina di metri dall’altare. Poiché non portavo gli occhiali, distinguevo a fatica i particolari dell’icona. Chiusi gli occhi e incominciai a pregare, intensamente. Quando, completato il quarto mistero della luce, aprii gli occhi, incontrai lo sguardo di Maria. Per un attimo, nitidamente, il suo sguardo, vivo e penetrante, si fissò nel mio, riempì completamente il mio orizzonte. Mi sentivo piccolo, piccolo, avvolto in un tepore lieve, stupito e felice come un bambino in braccio alla mamma. Poi l’immagine ritornò come prima, lontana e sfuocata. Un’illusione ottica? Forse, anche se inusuale. Provai l’impulso di alzarmi e correre verso l’icona; cosa avrà voluto dirmi Maria, mi domandavo. Ma compresi che era bene attendere. Ogni istante ha il suo dover essere. Recitai l’ultimo mistero del rosario, poi mi avvicini all’icona. Maria teneva in braccio Gesù bambino; Gesù stringeva nella mano sinistra una Bibbia e, con la mano destra, donava una benedizione. Così, mi dissi, devo vivere: in grembo a Maria, radicato nella Parola e portando Gesù, la sua benedizione nel mondo. In questi anni, sovente mi è capitato di ripensare a quell’incontro. Anche questa mattina quando, nella mia camera da letto, mi sono avvicinato a una piccola icona appesa a una parete, dietro a una lampada. L’ho staccata dalla parete e l’ho osservata con attenzione; è la medesima raffigurazione della Chiesa della Madeleine a Bruxelles: Maria tiene in braccio Gesù bambino; Gesù stringe nella mano sinistra una Bibbia e, con la mano destra, dona una benedizione. Acquistai l’icona venti anni fa in un monastero ortodosso a Creta e per lungo tempo è rimasta in un cassetto. Poi l’appesi alla parete, senza far caso ai particolari. Un seme che riposava sotto la neve e attendeva di germogliare. Vegliato dall’amore di una Madre. Ora, lo stesso abbraccio di luce che mi ha folgorato quel giorno e la medesima domanda: cosa vorrà dirmi Maria? Sono rimasto un attimo in silenzio, poi ho compreso: non bisogna chiedersi il perché di un dono. Basta conservarlo, meditandolo nel cuore, lasciando che riaffiori come epifania di luce e diventi altro dono. Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, mediandole nel suo cuore (Lc 2,19). Un cuore immacolato. Donami, Maria, la purezza del cuore; donami di fissare il mio sguardo nel tuo sguardo perché in me nasca e rinasca il tuo figliolo. Donami, nella fatica di ogni giorno, di essere Parola viva, icona dell’amore del Padre. Pietro Pinacci |
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Sardegna spettacolare
Dall’alba di sabato 5 luglio alla notte fonda di sabato 12 luglio siamo entrati nella magia della Sardegna: chi non può condividere questo pensiero? Davvero isola magica soprattutto nella zona di Palau in Costa Smeralda che ci ha ospitati. Il villaggio di riferimento, immerso nel verde della flora rigogliosa e ai bordi di una spiaggia affacciata su un mare limpido, ci ha coinvolti dal mattino alla sera con mille attività sia per i più volonterosi, maniaci di tutti gli sport e soprattutto di tutti i tornei, sia per i più pigri con sport più rilassanti ai bordi delle due splendide piscine. L’anfiteatro la sera proponeva sempre spettacoli di tutti i livelli, presentati sia da professionisti esterni che dai ragazzi dell’animazione e dal capo animazione ex comico di Zelig che ci hanno fatto divertire con grandissime risate che hanno fatto gran bene alla salute! Gli immancabili amanti del burraco hanno avuto modo di cimentarsi anche in amichevoli tornei. La vita di vacanza ci ha portato anche a uscire dal villaggio per effettuare visite culturali piacevolissime. Abbiamo visitato il Museo Etnografico di Aggius (un piccolo borgo medievale in granito) e abbiamo ammirato sui muri dipinti come resti di graffiti e un interessante telaio a ricordo della tessitura popolare. In altre stanze il museo del ghirigoro e dell’amore perduto, locali con arredi del tempo. Siamo poi passati a un particolarissimo museo: il “museo del Banditismo” che, per la fama durante gli anni del secolo scorso, aveva contraddistinto il nord della Sardegna e ha lasciato le tracce di quei personaggi ahimè famosi. Ci siamo avventurati alla scoperta del Nuraghe di Majori e “nursery dei pipistrelli” dove in silenzio entrando nel nuraghe abbiamo potuto vedere, senza disturbare, i piccoli che pendevano dal soffitto… Quale isola ricoperta da grandiosi alberi di sughero, abbiamo visitato anche il Museo del Sughero a Calangius dove abbiamo ammirato all’interno della sua sede, ex convento, le grandi sale nelle quali è riportata, attraverso i macchinari antichi e moderni, la storia della lavorazione di questa preziosa pianta. La guida ci ha parlato, con entusiasmo e rispetto nei confronti del sughero, quanto è stato fatto dai tempi più remoti a oggi, descrivendo minuziosamente le diverse qualità del sughero (importante voce dell’economia locale) e il suo relativo utilizzo finale. Chicca dedicata al mare è stata l’uscita in barca alle isole della Maddalena con acque cristalline e le coste bellissime, nonostante l’afflusso esagerato di turisti ma, quale sorpresa, anche la visita di un intraprendente cinghiale che, indifferente alle persone sdraiate sulla spiaggia, si è dissetato tuffandosi nella borsa della nostra amica Anna scolandosi la sua bottiglietta di acqua. Possiamo dire che non ci siamo lasciati mancare nulla! Ultimo giorno pima della ripartenza il tour della costa Smeralda con visita a piedi di Porto Cervo e Baja Sardinia dove abbiamo ascoltato dalla guida la storia del posto, dall’innamoramento negli anni ’60 del principe Karim Aga Khan alla realizzazione del sito lussuoso e frequentato soprattutto dai vip internazionali, fino ai nostri giorni dove anche noi abbiamo comunque ammirato i negozi e le costruzioni e gustato prelibatezze. Si ritorna sempre a casa con nostalgia e si prenota un’altra avventura… Flavia Falcone |
Giornalismo buono e giornalismo…
Giorgio Paolucci, giornalista del quotidiano Avvenire, a fine settembre ha chiuso la sua rubrica quotidiana Ripartenze e ha citato le parole di Papa Francesco che sollecitava i giornalisti a essere comunicatori di speranza e a imitare i cercatori d’oro che setacciano la sabbia alla ricerca di qualche pepita.
“E’ quello che ho fatto”, scrive Paolucci, e ne ha buon diritto.
Infatti per tutto il mese di settembre è andato cercando le notizie buone, quelle positive ed eccone due esempi:
Queste e altre sono state le piccole storie quotidiane scritte da Giorgio Paolucci e che Avvenire ha pubblicato in prima pagina.
Articoletti forse di poco valore giornalistico ma di grande valore umano.
Ne dovrebbero far tesoro quei direttori di giornali che mettono titoli di prima pagina del tipo “I pirati di Netanyhau” o che credono di far bene ad attribuire nomignoli come “Gretina” per Greta Thumberg o come “Gianni e Pinotto” per i deputati Bonelli e Fratoianni.
E c’è pure chi ha definito Francesca Albanese una “figura tenebrosa”.
Enrico Sciarini
Giorgio Paolucci, giornalista del quotidiano Avvenire, a fine settembre ha chiuso la sua rubrica quotidiana Ripartenze e ha citato le parole di Papa Francesco che sollecitava i giornalisti a essere comunicatori di speranza e a imitare i cercatori d’oro che setacciano la sabbia alla ricerca di qualche pepita.
“E’ quello che ho fatto”, scrive Paolucci, e ne ha buon diritto.
Infatti per tutto il mese di settembre è andato cercando le notizie buone, quelle positive ed eccone due esempi:
- il giorno 25 ha scritto di Giorgia, insegnante di lettere per trentacinque anni che, dopo essere andata in pensione, è entrata nel carcere di Ancona per insegnare ai detenuti italiani e stranieri;
- il giorno 22 ha invece scritto di Raffaella, pensionata milanese di 81 anni, abitante in una zona di Milano dove la presenza di stranieri è molto alta. Era andata a fare la spesa e, mentre saliva sull’autobus con le borse in mano, le è cascata la borsetta con le chiavi di casa, soldi e documenti. L’autobus è ripartito e lei non ha fatto in tempo a raccoglierla. Scesa alla prima fermata è tornata indietro a piedi sperando di ritrovare la sua borsetta. Ad aspettarla c’era un senegalese che aveva visto quanto le era capitato e aveva raccolto la borsetta che riconsegnò integra alla legittima proprietaria.
Queste e altre sono state le piccole storie quotidiane scritte da Giorgio Paolucci e che Avvenire ha pubblicato in prima pagina.
Articoletti forse di poco valore giornalistico ma di grande valore umano.
Ne dovrebbero far tesoro quei direttori di giornali che mettono titoli di prima pagina del tipo “I pirati di Netanyhau” o che credono di far bene ad attribuire nomignoli come “Gretina” per Greta Thumberg o come “Gianni e Pinotto” per i deputati Bonelli e Fratoianni.
E c’è pure chi ha definito Francesca Albanese una “figura tenebrosa”.
Enrico Sciarini
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Sono Simbad, il marinaio
Sono Simbad, il marinaio. Venuto dai mari del Sud. Ho seguito una stella, come nei sogni. Una luce breve ha attraversato il mio cielo, ha tracciato un cammino. Per vie sconosciute, mari in tempesta e bonacce, albe e tramonti, solcati da una speranza. Dalle spiagge della Fenicia, dalle alture del Golan, dal mare di Galilea, sono giunto a questo mare di sabbia, dove il vento modella le dune, dove la terra genera altro amore. Con me ho soltanto una conchiglia. Ad ogni passo ha raccolto una nota, ha racchiuso un segreto. Quando l’avvicino all’orecchio, ascolto il mormorare del tempo, il frangersi d’istanti sulla riva d’innumerevoli vite. Arie leggere, risa di fanciulle, filastrocche di bimbi, lamento di prigionieri; ritagli di un sogno disegnati in un cielo vuoto da chi non possiede nulla. E ora, dinanzi a questa capanna, celato tra una folla anonima, attendo. Una moltitudine d’uomini porta i suoi doni. Entrano nella capanna, curvi sotto il peso d’infiniti giorni ed escono con le mani vuote, pervasi da un barlume di gioia, vuoto colmato da una presenza, silenzio accolto in uno stupore. E tu cosa porti, uomo dei mari del sud? Un tremore paralizza le membra, giunto alla fine del viaggio ho paura ad andare oltre. Sul far del mattino, appigliato ai colori dell’aurora, un riflesso di luna, un respiro di vento: sono rimasto solo. Il canto degli angeli si è sopito, il chiarore della stella è breve lume: si è fatto silenzio. Chiudo gli occhi, porto all’orecchio la conchiglia e ascolto la melodia della vita. Muovo i miei passi, entro nella capanna. Tu sei ancora lì, inerme, dall’eternità e per l’eternità. Dinanzi a te depongo il mio dono, una conchiglia. Questo scrigno di luce e nulla. Dove si può ascoltare il mormorio della Vita, il racconto della mia vita. E tu cosa porti, uomo dei mari del sud? Porto il canto del mare, il frangersi del poco di me, un’onda che muore sulla sua riva, immenso che incontra l’immenso racchiuso in un cuore. Pietro Pinacci |
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Pubblichiamo di nuovo questa bella e semplice poesia di Fernanda.
Fernanda, che ci manca davvero tanto in questo Natale… NATALE Natale: sublime mistero d’amore riscopri i sogni magici di sereni giorni lontani, scavi nell’animo dolci immagini felici. Fai lievitare nella mente piccoli e grandi sentimenti. Riempi di gioia il nostro cuore tornato bambino Fernanda |
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LE VACANZE A FIERA DI PRIMIERO
L'hotel “Isola Bella” ci ha accolto con tante attenzioni offrendoci un’ampia cornice di cime meravigliose, parchi e prati ricchi di fiori, acqua sorgiva ovunque: un paese davvero a misura d'uomo! Tante passeggiate e visite guidate per meglio conoscere la storia del paese e, in regalo, una giornata vissuta in un maso in allegria. Ma quello che più mi ha colpita è stato un modo di stare tra noi poco strutturato che definirei “vissuto insieme” favorito dalle conoscenze personali che si è espresso in una vera amicizia. Il tutto in un clima familiare, nell'affetto e nella donazione reciproca, Questo è il ricordo che mi sono portata a casa. Grazie di cuore a tutti. Diana Battaglia |
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Una passeggiata e tanta curiosità…
Andiamo al parco di Villa Ombrosa? Strada facendo Anna mi chiede “hai sentito la TV? Come ogni anno l'aria di Milano sta già scaldandosi mentre qui l'aria è fresca e ristora”. “Oh sì - le rispondo - è vero; guarda Anna come stanno cambiando le piante e i fiori nelle fioriere (del vialone che sta in fianco al fiume). E’ molto bello vedere una città curata, sembra quasi voglia dare il benvenuto ai visitatori”. Siamo al parco dove le attenzioni che hanno i locali per i bimbi sono molte: c’è il grande trattore in legno, le amache in legno ondulate per prendere il sole, grandi cartelloni con disegnati personaggi fantasiosi … e il tutto è proprio un invito a venire con i bambini. Nel pomeriggio siamo andati alla chiesa parrocchiale e vi siamo entrati per una preghiera. Poi, camminando, ci siamo trovati sulla strada che porta al “Ponte Tibetano” e la curiosità ci ha spinto ad andare avanti. Passata un'ora, la strada continuava ancora a salire. Abbiamo visto una casupola con delle signore sedute al di fuori e abbiamo domandato: “Buongiorno, (il saluto in montagna è sacro) è ancora lontano il Ponte Tibetano?” Ci hanno osservato e risposto “Eh si, con il vostro passo ci vorrà ancora una buona mezz'ora”. “Grazie molte” e abbiamo continuato. Il mio cervello intanto pensava che di ponti sospesi fino ad allora non ne avevo ancora visti e la curiosità ... mi stuzzicava e mi spingeva. Poco dopo un cartellino (segna sentieri) precisava che per il ponte sulle funi occorreva ancora un'ora. “Che dici Anna? Io penso che sia meglio rientrare perché sono le 18 e 30. Ritenteremo!” “Sì, sì, ritorniamo” risponde Anna. A cena ho lanciato l'idea a Maurizio: “Che pensi Maurizio? Si può inserire nel nostro programma dei giri di gruppo una visita al ponte tibetano?” “Perché no” mi ha risposto. Qualche giorno dopo, di mattino, un bel gruppo comprensivo di noi due si è incamminato e ha letto, all'inizio della stradina, un cartello che indicava in due ore il tempo necessario per raggiungere il ponte delle funi. Quei cartellini indicatori dei tempi sono veritieri e infatti dopo due ore siamo arrivati al “Ponte Tibetano” che si trovava a cavallo di un canalone largo 60/65 metri. Nelle due postazioni di partenza i costruttori hanno gettato delle solide basi in calcestruzzo dalle quali partono i quattro cavi portanti con diametro di circa 2 cm formati da fili d’acciaio, a sezione rettangolare o quadrata, che formano una ellisse ruotando come una vite a passo lungo. L'insieme dei fili forma il cavo portante e il vantaggio è che sfruttano a pieno tutta la sezione del cerchio che compone il cavo. Due cavi portanti sono all'altezza dei due corrimano e gli altri due alla base del piano di camminamento. Trasversalmente, i superiori sono a una distanza maggiore dei due inferiori e l'insieme è collegato da una struttura controventata in profilati sui quali posano il piano di camminamento e la rete di protezione. Il ponte mi è piaciuto molto e quindi, oltre alle foto di gruppo, io ne ho fatte anche sui particolari. Poi si è ripartiti (bisogna tornare in hotel per l'ora di pranzo) ma, ahimè, com’è duro riprendere il cammino: i piedi dolgono, gli alluci battono sul puntale, la schiena duole ma … ritornare in albergo è indispensabile. Il gruppo degli amici, piano piano, si allontana e io devo rallentare, poi sostare e riprendere fiato. Anna e Maurizio mi sono sempre vicino mentre sua moglie Helly è nel gruppo avanti che si allontana sempre più. Finalmente rivedo la chiesa parrocchiale, ringrazio Maurizio per l'assistenza ma ho bisogno di fermarmi per qualche minuto e, mentre lui rientra, io con Anna ci sediamo su una panchina. “Ah nonno Armando - dico a me stesso - perché ti sei lasciato vincere dalla curiosità? Hai quasi cent'anni e quando pensi di mettere su un po’ di buon senso?” Meno male che i nipoti non mi erano vicino altrimenti avrebbero perso tutta la stima ..., sperando che ne abbiano almeno un po’. “Anna – dico - possiamo ripartire?” “Sì, si” mi risponde. Ma da allora ho una nuova regola in montagna: per le camminate a piedi i miei tempi devono restare entro le due ore. Armando e Anna |
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VIAGGIO IN UZBEKISTAN
parte 2 23 – 30 APRILE 2025 Il sabato si preannuncia caldo, secco con il cielo limpido. Si parte per la visita di Bukara (240.000 abitanti) che annovera quasi 200 edifici di rilievo storico e architettonico ed è famosa per la produzione di tappeti di cotone, seta e lana apprezzati nel mondo. Visitiamo la fortezza Ark con le mura con torri coniche create con un impasto di argilla e paglia e definite “ad onde”, il Reghistan, la Moschea Kalyan, il Mausoleo Ismail Samani, la Madrasa Modari Khan, la Madrasa Mir-i- Arab, la Madrasa Adbul Aziz Khan e il Bazar Toky Zargaron un negozio di tappeti con esposti migliaia di tappeti con prezzi 200 a 20.000 euro. Il pranzo è caratterizzato dalle solite verdure cotte, la focaccia fritta, gli spaghetti al ragù di pecora e una torta di carote. Nel pomeriggio, oltre alle Madrase sparse per il centro cittadino, assistiamo a uno spettacolo di danze e musiche locali con strumenti musicali tipici e con intervalli di sfilate di abbigliamento locale. Dopo la cena su una terrazza, godiamo il centro cittadino con i monumenti illuminati e tonificati da un clima delizioso. Si prosegue il giorno dopo per Shakhinsabz (143.000 abitanti), luogo di nascita di Tamerlano. E’ distante km 300 in pullman e non percorriamo l’autostrada per Samarkanda ma una strada nazionale non molto ben messa attraversando una zona pianeggiante con tanti piccoli villaggi di contadini, con terreni coltivati, tante mucche e capre al pascolo. Andiamo verso la montagna e i campi sono sempre più verdi e popolati. Per pranzo siamo a destinazione e, dopo aver mangiato, con 35° visitiamo il palazzo bianco Ak-Saraj che doveva essere, nelle intenzioni, la costruzione più grandiosa dell’impero di Tamerlano (Amir Timur lo zoppo) ma che è invece rimasta incompiuta a causa della sua morte avvenuta nel febbraio 1405 a 69 anni. Doveva essere alta 150 metri per essere giudicata dai nemici come una grande manifestazione di potere ma ci si è fermati a 80 metri. Proseguiamo per il grande monumento a Tamerlano posto in un bellissimo parco. Si prosegue per Samarkanda che dista ancora km 100 e occorrono altre tre ore di pullman. Il tempo per una doccia e una cena e subito dopo fuori a fotografare la più bella piazza dell’Uzbekistan che è un colpo al cuore. La passeggiata merita la fatica anche per verificare quanto sia cosmopolita la città: strade larghe molto trafficate, gente locale ovunque e ristoranti affollati: sembra di essere a Rimini a ferragosto. Una particolarità: il 90% delle vetture in circolazione sono Chevrolet e la maggioranza di colore bianco (assorbe meglio il calore). Alla sera la piazza è chiusa ai pedoni e la si può fotografare da una terrazza. La partecipazione del nostro gruppo alla visita serale è totale. E’ già lunedì, il tempo vola, siamo stanchi ma determinati a vedere tutto quanto ci offre l’Uzbekistan. Siamo a Samarkanda (624.000 abitanti), la famosa città della seta e la capitale dell’impero di Tamerlano. La prima tappa è la piazza del Registan, oggi aperta al pubblico e l’impatto è notevole. E’ decisamente la più bella piazza del paese, con due matrase contrapposte e la terza di fronte ancora più sfarzosa, tutte costruite per ricordare i parenti del conquistatore. Si prosegue con la visita della Moschea Bibi Hanin e poi si va a pranzo. Nel pomeriggio si visita un piccolo villaggio specializzato nella produzione di carta ricavata dal gelso (pregiata in quanto resiste nel tempo e non è intaccabile da insetti) e poi visitiamo il mausoleo del nipote di Tamerlano, famoso astronomo. Finiamo la giornata con la visita della Necropoli di Shaki Zinda, cimitero delle favorite della famiglia di Tamerlano. Fa molto caldo (36°) e salire i 40 scalini per raggiungere le tombe è faticoso ma ne vale la pena: le costruzioni, circa 20, sono superbe, con maioliche scolpite con disegni in oro. Mancano km 300 per raggiungere Taskent e in pullman imbocchiamo l’autostrada. Il panorama è di campi coltivati a cotone, frumento, viti e meli e all’orizzonte le montagne e piccoli villaggi. Ci sono 34°. Nota caratteristica sono i grandi nidi delle cicogne appoggiati sui pali della corrente. Se ne contano a decine. Più ci si avvicina alla città e più il traffico aumenta; le case sono a più piani. Taskent è la capitale con 2.400.000 abitanti, è una metropoli che può essere considerata quasi occidentale: grandi parchi; grattacieli con architetture innovative e una moderna metropolitana rimasta segreta fino al 2018 !!!. E poi ancora enormi palazzoni a nove piani di costruzione russa, la maggior parte ben tenuti e alcuni con necessità di manutenzione. Poi un fiume di gente attiva che va al lavoro. Riusciamo a gustare il famoso Plov, il piatto più tipico della cucina uzbeca: riso pilaf bollito con verdure cotte, uva sultanina e carne di montone cotta al vapore. Il tempo di un piccolo relax e via a visitare il museo Moye Mubarek che conserva uno dei 5 manoscritti originali esistenti del Corano. Si continua con la Madrasa Barak Khan e poi si visita fuori porta al grande Bazar Chorsu: un’enorme cupola verde che ospita il mercato alimentare nella parte inferiore e nella parte superiore solo i prodotti alimentari secchi. E’ l’ultimo giorno a Taskent e in Uzbekistan e lo dedichiamo alla visita della grande statua di Tamerlano a cavallo (il cavallo ha la gamba sinistra alzata a dimostrare che il condottiero è stato ferito in battaglia) e alla fermata della metropolitana dedicata al poeta Alisher Navoj che è la più rappresentativa: un grande corridoio con il soffitto a volte affrescato nei colori bianco, azzurro e blu e una folla esagerata di persone che prendono le carrozze che transitano ogni tre minuti. Usciti proseguiamo verso la piazza dell’Indipendenza (Mustaqillik maydoni), utilizzata per le grandi parate attraversando un grande parco fino alla Tomba del Milite Ignoto con una struggente statua di una madre che ha perso un figlio soldato, per arrivare a una grande piscina con fontane d’acqua, di lato sullo sfondo un globo d’ottone dorato (prima c’era una statua di Stalin). Si prosegue verso il teatro nazionale ammirando una sontuosa residenza della famiglia Romanov. Sono le 11,30 e dobbiamo andare in aeroporto: il viaggio è finito ma nella memoria resterà per molto tempo a testimoniare la bellezza di quanto abbiamo potuto ammirare. Bruno Giavarini Nota. La prima parte dell’articolo è stata pubblicata nel numero di Settembre. |
Oggi ancora un po’ di autoironia…
Si ringrazia BESTI.IT