Visita in Montefeltro 7-9 ottobre 2016
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Resoconto
IN MONTEFELTRO
L’Associazione MTE mostra particolare attenzione nel proporre, tra le sue mete, la visita ad alcuni di quei gioielli architettonici, di cui l’Italia abbonda. Così questa è stata la volta del Montefeltro, terra tra Romagna e Marche, dal dolce paesaggio collinare che a tratti si inerpica in montuosità improvvise. Abbiamo visitato Urbino, Gradara e San Leo, che raggiungevamo da Gabicce Mare, dove si trova l’albergo fronte mare che ci ha ospitato, (cordialità, professionalità, cibo buono). Da qui, nei brevi ritagli tra una escursione e l’altra, potevamo godere della vista del mare, che è sempre affascinante. I più fortunati (o i più attenti) sono riusciti addirittura a vedere un doppio arcobaleno sul mare. Sì perché, nonostante la gita sia stata bellissima, il tempo è stato un po’ dispettoso e ci ha riservato due o tre acquazzoni. Il 7 pomeriggio, dunque, abbiamo visitato il castello di Gradara, anticamente solo una rocca difensiva, poi castello cinto da due ordini di mura; un tempo era di importanza vitale, quindi molto ambito, grazie alla sua posizione sopraelevata, che gli consente una visione a 360° sulla piana circostante. E così il castello ha avuto come signori alcuni dei nomi più importanti tra le famiglie nobili italiane: Malatesta, Sforza, Borgia, Montefeltro, Della Rovere, per poi finire sotto il dominio dello Stato Vaticano. Impossibile elencare tutti i colpi di scena, e i colpi di mano, che hanno portato al dominio di una famiglia sull’altra, ma è stato avvincente ascoltarne la storia, più avventurosa di quella di un romanzo.
Il castello di Gradara, caduto nel tempo in stato di abbandono, è potuto risorgere all’antico splendore solo il secolo scorso, grazie all’interessamento e alla munificenza di un benefattore, Umberto Zanvettori, che ha dedicato la vita, e anche tutte le sue sostanze, a questo scopo, prima di venderlo allo Stato.La giornata si è conclusa con la visita a Mondaino, antico borgo con una bella rocca e una piazza semicircolare porticata. Qui, sotto la guida di un esperto dantista, ha avuto luogo una “rappresentazione dantesca” in costume, a cui hanno preso parte attiva alcuni di noi, con divertimento di tutti Il giorno 8 è stato dedicato tutto a Urbino, gioiello rinascimentale posto su due colli (il Colle e il Monte) e su vari livelli, città alta e città bassa. La città deve la sua bellezza principalmente a Federico da Montefeltro, uomo d’armi ma anche di lettere, il quale, assicurandole un lungo periodo di pace, la abbellì dei palazzi che ancora oggi possiamo ammirare. Da Piazza Mercatale, su cui affacciano i due stupendi Torricini, abbiamo comodamente raggiunto in ascensore la città alta, mentre qualcuno ha voluto provare l’ebbrezza di salire lungo la rampa elicoidale all’interno di un Torricino – 60 metri di dislivello. Onore al merito – e a Paolo! In città alta ci siamo trovati in un’altra dimensione! La piazza Duca Federico e la facciata del Palazzo Ducale, le prime a vedersi, sono perfette nella loro eleganza rinascimentale, nella proporzione armoniosa delle linee, nella “misura aurea” applicata ad ogni elemento strutturale e decorativo. Stesso criterio, stessa attenzione è stata
applicata al cortile d’onore e a tutte le altre parti del palazzo, alcune più antiche, che sono state unificate secondo i criteri rinascimentali. Le archistar dell’epoca che hanno permesso questo “miracolo” sono Leon Battista Alberti per il progetto, il dalmata Luciano Laurana per l’esecuzione, Francesco di Giorgio Martini per la parte “tecnologica” (fondazioni, fognature etc…). Il mattone rosso, usato sia per la costruzione del palazzo che per tutti gli altri edifici della cittadina, ottiene l’effetto di dare ulteriore armonia e continuità al centro storico. La visita all’interno del palazzo porta di sala in sala, rafforzando l’impressione di perfezione formale e strutturale e rivelando di volta in volta particolari diversi, qui una stanza con soffitti a volte e pennacchi, là un salone con stipiti in marmo dai fregi elegantissimi e lunette preziose. Il tutto uniformato dal colore: bianco con austeri, ma elegantissimi profili grigi e marmo chiaro. Qua e là sono distribuiti con nonchalance capolavori famosissimi: il ritratto di Federico da Montefeltro e La Flagellazione di Cristo di Pier della Francesca, una lunetta di Luca della Robbia, la Dama Muta e Santa Caterina di Raffaello, e, temporaneamente, La Venere di Urbino di Tiziano, (che ha riscosso molto successo presso i signori uomini). La pausa pranzo ha confermato l’impressione che in queste località la cucina è semplice, ma molto accurata, anche nella scelta dei prodotti.
Il maialino all’arancia ci ha ritemprato e consentito di affrontare i “saliscendi” inevitabili a Urbino, data la conformazione del terreno, percorrendo le sue “piole”, strade a gradini con l’alzata a rovescio, cosiffatti per evitare di scivolare o per favorire l’utilizzo di cavalli. Così “scalando” abbiamo visitato la casa di Raffaello, l’oratorio di San Francesco con un magnifico presepe in gesso di Francesco Brandani, il Michelangelo di Urbino, e l’Oratorio di San Giovanni Battista. L’ultimo giorno siamo stati a San Leo, un enorme masso slanciato sorto in mezzo alle colline circostanti, che prende il nome dal santo, Leone, che, nel IV secolo d.C., in fuga dalla Dalmazia si fermò in queste terre e convertì al cristianesimo la popolazione della zona insieme a San Marino, suo compagno di fuga. Testimonianza di quell’epoca sono le bellissime Pieve e Cattedrale che, pur essendo spoglie, nella loro semplicità trasmettono un senso di pace e di spiritualità che difficilmente si trova nelle chiese più fastose. Qui è arrivato nelle sue predicazioni anche San Francesco, come testimonia una targa su un edificio. Ma il luogo non era solo dedito allo spirito; data la sua posizione, la vetta è ben presto diventata una fortezza, potenziata poi nella forma attuale da Federico da Montefeltro, quasi un tutt’uno con il masso sottostante, a strapiombo sulla pianura da un lato, quindi inaccessibile, e fortificata dagli altri. La costruzione è possente, chiusa in se stessa e quindi adattissima ad essere adibita a prigione; e come tale è stata usata nei secoli (fino al 1906), ospitando carcerati illustri, tra cui il sedicente conte di Cagliostro, esoterista ed alchimista, che qui ha finito i suoi giorni nel 1795. Un saluto a tutti e a presto.
Alba
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L’Associazione MTE mostra particolare attenzione nel proporre, tra le sue mete, la visita ad alcuni di quei gioielli architettonici, di cui l’Italia abbonda. Così questa è stata la volta del Montefeltro, terra tra Romagna e Marche, dal dolce paesaggio collinare che a tratti si inerpica in montuosità improvvise. Abbiamo visitato Urbino, Gradara e San Leo, che raggiungevamo da Gabicce Mare, dove si trova l’albergo fronte mare che ci ha ospitato, (cordialità, professionalità, cibo buono). Da qui, nei brevi ritagli tra una escursione e l’altra, potevamo godere della vista del mare, che è sempre affascinante. I più fortunati (o i più attenti) sono riusciti addirittura a vedere un doppio arcobaleno sul mare. Sì perché, nonostante la gita sia stata bellissima, il tempo è stato un po’ dispettoso e ci ha riservato due o tre acquazzoni. Il 7 pomeriggio, dunque, abbiamo visitato il castello di Gradara, anticamente solo una rocca difensiva, poi castello cinto da due ordini di mura; un tempo era di importanza vitale, quindi molto ambito, grazie alla sua posizione sopraelevata, che gli consente una visione a 360° sulla piana circostante. E così il castello ha avuto come signori alcuni dei nomi più importanti tra le famiglie nobili italiane: Malatesta, Sforza, Borgia, Montefeltro, Della Rovere, per poi finire sotto il dominio dello Stato Vaticano. Impossibile elencare tutti i colpi di scena, e i colpi di mano, che hanno portato al dominio di una famiglia sull’altra, ma è stato avvincente ascoltarne la storia, più avventurosa di quella di un romanzo.
Il castello di Gradara, caduto nel tempo in stato di abbandono, è potuto risorgere all’antico splendore solo il secolo scorso, grazie all’interessamento e alla munificenza di un benefattore, Umberto Zanvettori, che ha dedicato la vita, e anche tutte le sue sostanze, a questo scopo, prima di venderlo allo Stato.La giornata si è conclusa con la visita a Mondaino, antico borgo con una bella rocca e una piazza semicircolare porticata. Qui, sotto la guida di un esperto dantista, ha avuto luogo una “rappresentazione dantesca” in costume, a cui hanno preso parte attiva alcuni di noi, con divertimento di tutti Il giorno 8 è stato dedicato tutto a Urbino, gioiello rinascimentale posto su due colli (il Colle e il Monte) e su vari livelli, città alta e città bassa. La città deve la sua bellezza principalmente a Federico da Montefeltro, uomo d’armi ma anche di lettere, il quale, assicurandole un lungo periodo di pace, la abbellì dei palazzi che ancora oggi possiamo ammirare. Da Piazza Mercatale, su cui affacciano i due stupendi Torricini, abbiamo comodamente raggiunto in ascensore la città alta, mentre qualcuno ha voluto provare l’ebbrezza di salire lungo la rampa elicoidale all’interno di un Torricino – 60 metri di dislivello. Onore al merito – e a Paolo! In città alta ci siamo trovati in un’altra dimensione! La piazza Duca Federico e la facciata del Palazzo Ducale, le prime a vedersi, sono perfette nella loro eleganza rinascimentale, nella proporzione armoniosa delle linee, nella “misura aurea” applicata ad ogni elemento strutturale e decorativo. Stesso criterio, stessa attenzione è stata
applicata al cortile d’onore e a tutte le altre parti del palazzo, alcune più antiche, che sono state unificate secondo i criteri rinascimentali. Le archistar dell’epoca che hanno permesso questo “miracolo” sono Leon Battista Alberti per il progetto, il dalmata Luciano Laurana per l’esecuzione, Francesco di Giorgio Martini per la parte “tecnologica” (fondazioni, fognature etc…). Il mattone rosso, usato sia per la costruzione del palazzo che per tutti gli altri edifici della cittadina, ottiene l’effetto di dare ulteriore armonia e continuità al centro storico. La visita all’interno del palazzo porta di sala in sala, rafforzando l’impressione di perfezione formale e strutturale e rivelando di volta in volta particolari diversi, qui una stanza con soffitti a volte e pennacchi, là un salone con stipiti in marmo dai fregi elegantissimi e lunette preziose. Il tutto uniformato dal colore: bianco con austeri, ma elegantissimi profili grigi e marmo chiaro. Qua e là sono distribuiti con nonchalance capolavori famosissimi: il ritratto di Federico da Montefeltro e La Flagellazione di Cristo di Pier della Francesca, una lunetta di Luca della Robbia, la Dama Muta e Santa Caterina di Raffaello, e, temporaneamente, La Venere di Urbino di Tiziano, (che ha riscosso molto successo presso i signori uomini). La pausa pranzo ha confermato l’impressione che in queste località la cucina è semplice, ma molto accurata, anche nella scelta dei prodotti.
Il maialino all’arancia ci ha ritemprato e consentito di affrontare i “saliscendi” inevitabili a Urbino, data la conformazione del terreno, percorrendo le sue “piole”, strade a gradini con l’alzata a rovescio, cosiffatti per evitare di scivolare o per favorire l’utilizzo di cavalli. Così “scalando” abbiamo visitato la casa di Raffaello, l’oratorio di San Francesco con un magnifico presepe in gesso di Francesco Brandani, il Michelangelo di Urbino, e l’Oratorio di San Giovanni Battista. L’ultimo giorno siamo stati a San Leo, un enorme masso slanciato sorto in mezzo alle colline circostanti, che prende il nome dal santo, Leone, che, nel IV secolo d.C., in fuga dalla Dalmazia si fermò in queste terre e convertì al cristianesimo la popolazione della zona insieme a San Marino, suo compagno di fuga. Testimonianza di quell’epoca sono le bellissime Pieve e Cattedrale che, pur essendo spoglie, nella loro semplicità trasmettono un senso di pace e di spiritualità che difficilmente si trova nelle chiese più fastose. Qui è arrivato nelle sue predicazioni anche San Francesco, come testimonia una targa su un edificio. Ma il luogo non era solo dedito allo spirito; data la sua posizione, la vetta è ben presto diventata una fortezza, potenziata poi nella forma attuale da Federico da Montefeltro, quasi un tutt’uno con il masso sottostante, a strapiombo sulla pianura da un lato, quindi inaccessibile, e fortificata dagli altri. La costruzione è possente, chiusa in se stessa e quindi adattissima ad essere adibita a prigione; e come tale è stata usata nei secoli (fino al 1906), ospitando carcerati illustri, tra cui il sedicente conte di Cagliostro, esoterista ed alchimista, che qui ha finito i suoi giorni nel 1795. Un saluto a tutti e a presto.
Alba
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