Palazzo Marino
14 marzo 2023
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Resoconto
La “CAA DI SASS” alias PALAZZO MARINO
“Caa di sass”: così, i milanesi del 1558, chiamarono Palazzo Marino, allora in costruzione, per l'enorme accumulo di pietra di Brembate che aveva invaso la zona dell'attuale piazza della Scala, in seguito agli espropri delle case a un piano costruite in tipici mattoni lombardi.
Con sarcasmo quindi, giacché il palazzo sorse per volere di Tommaso Marino (genovese fuggito a Milano in seguito a una congiura contro il doge di Venezia) particolar-mente generoso nei confronti degli spagnoli ma a scapito dei milanesi che furono pesantemente tassati proprio per la costruzione della sua lussuosa dimora.
Sapete perché si dice: “Piove. Governo ladro!”? Perché il popolo era costretto a portare a pesare il macinato per la conseguente tassazione e, ovviamente, i sacchi, che allora erano di canapa, inzuppandosi pesavano di più e quindi costavano di più!
Del progetto dell’edificio, che doveva mostrare tutto lo sfarzo e il potere della famiglia, fu incaricato l'architetto Alessi a quel tempo assai famoso.
Curiosità: esiste un Palazzo Marino anche nella provincia di Cosenza perché “il genovese” s'era comprato il titolo e il ducato di Taurianova.
Esternamente appare come un castello-fortezza, cinto da possenti mura trape-zoidali, con torrette.
Dopo il tracollo economico del Marino e la sua morte, venne confiscato dallo Stato e ultimato solo a fine ottocento dal Beltrami che rimase fedele al progetto originario.
Dal 1861 è sede dell'Amministrazione Comunale.
Si entra da un grande atrio, chiamato “sala delle tempere”, dove sono esposte quattro grandi tele seicentesche ma la chicca è un bassorilievo sul quale appare un piccolo cinghiale: è la famosa scrofa semilanuta, vero simbolo della città di Milano e vestigia della sua antichissima fondazione a opera dei celti, notoriamente cacciatori di tale bestiame.
La sua effigie più antica la troviamo in piazza dei Mercanti.
Si entra poi nella stupenda “sala degli arazzi fiamminghi” (‘500, ‘600) dedicati a Marco Aurelio fino a raggiungere la grande “sala d'onore Alessi” in un tripudio di statue, medaglioni, affreschi e bassorilievi di natura mitologica e dove fa bella mostra di sé anche una copia del gonfalone, tessuto in fili d' oro, rappresentante Sant’Ambrogio e, nella cornice, i simboli cerchiati delle antiche porte di Milano: bianco e blu per Porta Nuova, bianco e rosso per porta Vercellina, il leone rampante per Porta Venezia, lo sgabello da artigiano per Porta Ticinese, tutto rosso per Porta Romana e a scacchiera per Porta Comasina.
Sei porte, perché sei erano gli antichi sestieri (noi oggi diremmo quartieri) della città.
Di sala in sala si incontrano arredi preziosi, lampadari scintillanti, una specchiera originale del ‘700 e la “sala delle riunioni della Presidenza del Consiglio” che a me, da sempre manzoniana convinta, ha dato un particolare “brivido" d'emozione.
In questa, che fu una camera da letto, nacque e crebbe la nipote di Marino, la sfortunata Marianna de Leyva, (da noi meglio conosciuta come la monaca di Monza) psicologicamente e meravigliosamente interpretata dalla penna del grande scrittore che ne fece un ritratto indimenticabile.
Al piano superiore una grande sala di rappresentanza che prende il nome da un antico orologio dorato, grandi tele del Procaccini e due bandiere una delle quali è quella olimpica e l'altra delle paraolimpiadi: i tre colori delle virgole (blu, rosso e verde) sono stati scelti perché almeno uno di questi è presente in ogni bandiera del mondo.
Nel loggiato sono esposti i busti dei sindaci milanesi e qui, altra emozione: ho omaggiato il mio primo sindaco Bucalossi che, a noi licenziandi di quinta elementare (allora si facevano gli esami!) trasmise il ricordo dell'antica Milano regalandoci copie delle carte topografiche dal medioevo fino al 1960, conservate religiosamente da me fino ad oggi.
L'ultima sala visitata è stata l'attuale sala consiliare nella quale campeggiano frasi latine, dal “De Legibus" di Cicerone, esortanti il buon governo: volesse il cielo che qualcuno almeno le facesse proprie.
Su una parete un olio su tela di Sant’Ambrogio a cavallo del Figino.
Siamo scesi poi nel cortile, rimasto intatto dopo i bombardamenti dell'ultima guerra, che è espressione dello stile manieristico dell'epoca che voleva far confluire l'umano nel divino e il divino nell'umano e aveva un orror vacui.
E’ perciò fitto di decorazioni quasi senza soluzione di continuità.
Abbiamo avuto l'accompagnamento di una guida veramente preparata e io posso dire, grazie al CMTE, di aver realizzato un desiderio che mi accompagnava da tempo: quello di poter visitare questo sontuoso palazzo che, da milanese d.o.c.g., in tanti anni non avevo mai visto al suo interno!
Ciò è oltretutto avvenuto in una giornata limpida che faceva già presagire qualche raggio di primavera.
Elisa Vigevano
“Caa di sass”: così, i milanesi del 1558, chiamarono Palazzo Marino, allora in costruzione, per l'enorme accumulo di pietra di Brembate che aveva invaso la zona dell'attuale piazza della Scala, in seguito agli espropri delle case a un piano costruite in tipici mattoni lombardi.
Con sarcasmo quindi, giacché il palazzo sorse per volere di Tommaso Marino (genovese fuggito a Milano in seguito a una congiura contro il doge di Venezia) particolar-mente generoso nei confronti degli spagnoli ma a scapito dei milanesi che furono pesantemente tassati proprio per la costruzione della sua lussuosa dimora.
Sapete perché si dice: “Piove. Governo ladro!”? Perché il popolo era costretto a portare a pesare il macinato per la conseguente tassazione e, ovviamente, i sacchi, che allora erano di canapa, inzuppandosi pesavano di più e quindi costavano di più!
Del progetto dell’edificio, che doveva mostrare tutto lo sfarzo e il potere della famiglia, fu incaricato l'architetto Alessi a quel tempo assai famoso.
Curiosità: esiste un Palazzo Marino anche nella provincia di Cosenza perché “il genovese” s'era comprato il titolo e il ducato di Taurianova.
Esternamente appare come un castello-fortezza, cinto da possenti mura trape-zoidali, con torrette.
Dopo il tracollo economico del Marino e la sua morte, venne confiscato dallo Stato e ultimato solo a fine ottocento dal Beltrami che rimase fedele al progetto originario.
Dal 1861 è sede dell'Amministrazione Comunale.
Si entra da un grande atrio, chiamato “sala delle tempere”, dove sono esposte quattro grandi tele seicentesche ma la chicca è un bassorilievo sul quale appare un piccolo cinghiale: è la famosa scrofa semilanuta, vero simbolo della città di Milano e vestigia della sua antichissima fondazione a opera dei celti, notoriamente cacciatori di tale bestiame.
La sua effigie più antica la troviamo in piazza dei Mercanti.
Si entra poi nella stupenda “sala degli arazzi fiamminghi” (‘500, ‘600) dedicati a Marco Aurelio fino a raggiungere la grande “sala d'onore Alessi” in un tripudio di statue, medaglioni, affreschi e bassorilievi di natura mitologica e dove fa bella mostra di sé anche una copia del gonfalone, tessuto in fili d' oro, rappresentante Sant’Ambrogio e, nella cornice, i simboli cerchiati delle antiche porte di Milano: bianco e blu per Porta Nuova, bianco e rosso per porta Vercellina, il leone rampante per Porta Venezia, lo sgabello da artigiano per Porta Ticinese, tutto rosso per Porta Romana e a scacchiera per Porta Comasina.
Sei porte, perché sei erano gli antichi sestieri (noi oggi diremmo quartieri) della città.
Di sala in sala si incontrano arredi preziosi, lampadari scintillanti, una specchiera originale del ‘700 e la “sala delle riunioni della Presidenza del Consiglio” che a me, da sempre manzoniana convinta, ha dato un particolare “brivido" d'emozione.
In questa, che fu una camera da letto, nacque e crebbe la nipote di Marino, la sfortunata Marianna de Leyva, (da noi meglio conosciuta come la monaca di Monza) psicologicamente e meravigliosamente interpretata dalla penna del grande scrittore che ne fece un ritratto indimenticabile.
Al piano superiore una grande sala di rappresentanza che prende il nome da un antico orologio dorato, grandi tele del Procaccini e due bandiere una delle quali è quella olimpica e l'altra delle paraolimpiadi: i tre colori delle virgole (blu, rosso e verde) sono stati scelti perché almeno uno di questi è presente in ogni bandiera del mondo.
Nel loggiato sono esposti i busti dei sindaci milanesi e qui, altra emozione: ho omaggiato il mio primo sindaco Bucalossi che, a noi licenziandi di quinta elementare (allora si facevano gli esami!) trasmise il ricordo dell'antica Milano regalandoci copie delle carte topografiche dal medioevo fino al 1960, conservate religiosamente da me fino ad oggi.
L'ultima sala visitata è stata l'attuale sala consiliare nella quale campeggiano frasi latine, dal “De Legibus" di Cicerone, esortanti il buon governo: volesse il cielo che qualcuno almeno le facesse proprie.
Su una parete un olio su tela di Sant’Ambrogio a cavallo del Figino.
Siamo scesi poi nel cortile, rimasto intatto dopo i bombardamenti dell'ultima guerra, che è espressione dello stile manieristico dell'epoca che voleva far confluire l'umano nel divino e il divino nell'umano e aveva un orror vacui.
E’ perciò fitto di decorazioni quasi senza soluzione di continuità.
Abbiamo avuto l'accompagnamento di una guida veramente preparata e io posso dire, grazie al CMTE, di aver realizzato un desiderio che mi accompagnava da tempo: quello di poter visitare questo sontuoso palazzo che, da milanese d.o.c.g., in tanti anni non avevo mai visto al suo interno!
Ciò è oltretutto avvenuto in una giornata limpida che faceva già presagire qualche raggio di primavera.
Elisa Vigevano