Santa Maria alla Fontana e Fonderia Napoleonica
29 novembre 2018
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Resoconto
DALL’ ACQUA AL FUOCO
Nel primo giorno di freddo intenso di quest’autunno inoltrato, siamo coraggiosamente usciti in visita a due vere “chicche” della nostra bella città di Milano: la chiesa di Santa Maria alla Fontana e la vicina Fonderia Napoleonica Eugenia.
La chiesa sorge sul tracciato dell’antica via Comacina e la sua parte più vetusta è nata quasi per volere del popolo che riteneva miracolosa l’acqua d’origine sorgiva che sgorgava in quel punto.
Ancor oggi è forte la devozione dei milanesi che vengono ad attingervi acqua “benedetta” anche se ormai, in realtà, la stessa proviene dall’ acquedotto.
Il 29 settembre 1507 fu posata la prima pietra per volontà di Carlo II D’Amboise (politico e militare francese) che, malato, fece voto di costruirvi una cappella una volta ottenuta la sperata guarigione.
La parte più antica, sottostante il moderno edificio, presenta una volta ad “ombrello” affrescata da un allievo del Luini (forse l’Amadeo) raffigurante i dodici apostoli mentre sopra le fontanelle, eroganti l’acqua miracolosa, è visibile una lastra medievale.
Tutto intorno si snoda un magnifico chiostro rinascimentale che prima fu proprietà dei benedettini e, verso il 1600, divenne invece un convento dei frati minori di San Francesco di Paola.
La chiesa superiore, degli inizi del 1900 è ricca, bella e spaziosa ma non presenta note di particolare rilievo.
La fonderia Eugenia, voluta da Eugenio di Beauharnais durante la campagna napoleonica, è distante solo pochi passi.
Le fusioni in bronzo vi sono state realizzate, quasi senza sosta, dalla fine del 1700 al 1973 mentre ora è un’originale location che ospita numerosi eventi.
Il bronzo veniva fuso per riverbero in enormi forni a legna affiancati da una profonda vasca in cui veniva realizzato l’oggetto prescelto.
Dai primi decenni fino alla metà dell’800 fu proprietà della famiglia Manfredini e impiegava 300 operai stipendiati più alcuni “martinitt” (cioè gli orfani del celebre collegio milanese) a cui venivano offerti solo vitto e alloggio.
Vi si lavorava in condizioni disumane a causa del calore insopportabile e del fuoco che doveva essere controllato a vista per percepire l’esatto momento in cui la fusione sarebbe avvenuta perfettamente.
Spesso gli operai diventavano ciechi nel giro di pochi mesi.
Nel 1850 la fonderia fallì e, messa all’asta, fu acquistata dalla famiglia Barigozzi che avrà il merito di inventare il sistema di controllo del fuoco tramite un cucchiaio dal manico molto lungo (crogiuolo) che consentiva di farlo a distanza.
Moltissime campane furono fuse in questa fabbrica (come quelle di Santa Maria del Fiore a Firenze) ma anche la porta più recente del nostro Duomo ad opera di Pogliaghi, i monumenti cittadini a Vittorio Emanuele II e al Manzoni nonché le sirenette del ponticello del parco Sempione.
Estremamente affascinante è il procedimento per ottenere la fusione che ci è stato spiegato nei minimi dettagli dalla brava guida del sito in modo corredato anche da molte immagini d’epoca.
Ne è valsa la pena di raggelarci un po’: siam rientrati a casa profondamente soddisfatti!
Elisa Vigevano
Nel primo giorno di freddo intenso di quest’autunno inoltrato, siamo coraggiosamente usciti in visita a due vere “chicche” della nostra bella città di Milano: la chiesa di Santa Maria alla Fontana e la vicina Fonderia Napoleonica Eugenia.
La chiesa sorge sul tracciato dell’antica via Comacina e la sua parte più vetusta è nata quasi per volere del popolo che riteneva miracolosa l’acqua d’origine sorgiva che sgorgava in quel punto.
Ancor oggi è forte la devozione dei milanesi che vengono ad attingervi acqua “benedetta” anche se ormai, in realtà, la stessa proviene dall’ acquedotto.
Il 29 settembre 1507 fu posata la prima pietra per volontà di Carlo II D’Amboise (politico e militare francese) che, malato, fece voto di costruirvi una cappella una volta ottenuta la sperata guarigione.
La parte più antica, sottostante il moderno edificio, presenta una volta ad “ombrello” affrescata da un allievo del Luini (forse l’Amadeo) raffigurante i dodici apostoli mentre sopra le fontanelle, eroganti l’acqua miracolosa, è visibile una lastra medievale.
Tutto intorno si snoda un magnifico chiostro rinascimentale che prima fu proprietà dei benedettini e, verso il 1600, divenne invece un convento dei frati minori di San Francesco di Paola.
La chiesa superiore, degli inizi del 1900 è ricca, bella e spaziosa ma non presenta note di particolare rilievo.
La fonderia Eugenia, voluta da Eugenio di Beauharnais durante la campagna napoleonica, è distante solo pochi passi.
Le fusioni in bronzo vi sono state realizzate, quasi senza sosta, dalla fine del 1700 al 1973 mentre ora è un’originale location che ospita numerosi eventi.
Il bronzo veniva fuso per riverbero in enormi forni a legna affiancati da una profonda vasca in cui veniva realizzato l’oggetto prescelto.
Dai primi decenni fino alla metà dell’800 fu proprietà della famiglia Manfredini e impiegava 300 operai stipendiati più alcuni “martinitt” (cioè gli orfani del celebre collegio milanese) a cui venivano offerti solo vitto e alloggio.
Vi si lavorava in condizioni disumane a causa del calore insopportabile e del fuoco che doveva essere controllato a vista per percepire l’esatto momento in cui la fusione sarebbe avvenuta perfettamente.
Spesso gli operai diventavano ciechi nel giro di pochi mesi.
Nel 1850 la fonderia fallì e, messa all’asta, fu acquistata dalla famiglia Barigozzi che avrà il merito di inventare il sistema di controllo del fuoco tramite un cucchiaio dal manico molto lungo (crogiuolo) che consentiva di farlo a distanza.
Moltissime campane furono fuse in questa fabbrica (come quelle di Santa Maria del Fiore a Firenze) ma anche la porta più recente del nostro Duomo ad opera di Pogliaghi, i monumenti cittadini a Vittorio Emanuele II e al Manzoni nonché le sirenette del ponticello del parco Sempione.
Estremamente affascinante è il procedimento per ottenere la fusione che ci è stato spiegato nei minimi dettagli dalla brava guida del sito in modo corredato anche da molte immagini d’epoca.
Ne è valsa la pena di raggelarci un po’: siam rientrati a casa profondamente soddisfatti!
Elisa Vigevano