Articoli del giornalino settembre/ottobre 2017
Il vero sindacoMai più nella mia vita avrei pensato di trovarmi sui giornali con un selfie insieme al Papa. E’ successo lo scorso 25 marzo quando il Papa è venuto a Milano: è andato tra la gente di Via Salomone, un quartiere popolare, ha incontrato i sacerdoti in Duomo e ha pranzato con i carcerati di San Vittore, ha celebrato Messa al Parco di Monza di fronte a un milione di fedeli e infine ha ricevuto l’abbraccio entusiasta dei cresimandi nello Stadio di S.Siro. Come sindaco della città dove c’è l’aeroporto sono stato invitato ad accoglierlo all’arrivo e salutarlo alla partenza. Un onore inatteso: mi hanno spiegato che è previsto dal protocollo quando arriva a Linate un capo di stato.
Al mattino c’era tanta gente e oltre a me altre “autorità”. Alla sera invece eravamo in pochi; io ero tornato in aeroporto con mia moglie e con Clementina addormentata in braccio e il Papa ci ha dedicato qualche indimenticabile “istante” immortalato da qualche scatto dell’onnipresente telefonino. La tecnologia sta davvero cambiando il futuro, rende possibile e normale che per ciascuno di noi vengano fissati in un’immagine momenti sorprendenti, eventi improvvisi, incontri straordinari. Anche per questo motivo non bisogna avere paura del futuro, ma bisogna buttarsi con coraggio nelle sfide, soprattutto in quelle difficili. Nulla di bello accade se non si rischia nulla. Ho “dedicato” quell’incontro a mia figlia Clementina che rappresenta concretamente il futuro per cui mi batto ogni giorno. Perché in fondo, come mi ha detto Papa Francesco vedendola dormire in braccio a me, "è lei il vero sindaco". Il futuro è dei più piccoli, bisogna solo avere coraggio di dedicare a loro le nostre scelte e le nostre azioni, soprattutto quelle che costruiscono qualcosa o comunque hanno delle conseguenze per noi e per gli altri. Di quell’incontro mi rimane il ricordo dell’affettuosa disponibilità di quel grande uomo vestito di bianco, che in una giornata così piena di impegni ha saputo dedicare affettuosa attenzione anche per un giovane sindaco di periferia e così ha trasformato una occasione formale e istituzionale in un incontro che mi ha commosso e che resterà indelebilmente impressa nei ricordi miei e della mia famiglia. Paolo |
Bruno Segre
Sì, Bruno Segre a Segrate! Ma chi è costui? Una ventina di anni fa l’Amministrazione Comunale di Segrate ha istituito un registro sul quale avrebbero dovuto apporre le proprie firme personalità del mondo scientifico, artistico, religioso ospiti per qualche ragione a Segrate. Non so quante firme siano state apposte su tale registro e neppure so se esista ancora, nel qual caso la firma di Bruno Segre meriterebbe di apparire a tutta pagina. Bruno Segre è stato a Segrate il pomeriggio di martedì 31 gennaio, invitato dall’Amministrazione Comunale per commemorare la Giornata Mondiale della Memoria. Una memoria che il quasi centenario (ma brillantissimo e curioso) avvocato, scrittore, giornalista e storico di fatti italiani di quei tempi, Segre mantiene lucidissima e che gli ha permesso di narrare ai numerosi segratesi che lo hanno ascoltato cos’è stata per lui l’iniqua legge fascista della segregazione razziale del 1938. Ma non ha parlato solo di questo, ha avuto modo di parlare del suo ultimo libro dall’ambiguo titolo “ Che razza di ebreo sono io”. Ha detto che la sua ebraicità, non praticata, è iniziata proprio nel 1938. Ha parlato di Adriano Olivetti con il quale ha lavorato a lungo e del quale mantiene un’immutata ammirazione, tanto da definirlo “un industriale che ha odiato la civiltà industriale”. Segre ha poi usato parole durissime nei confronti dell’attuale governo israeliano e, da sionista convinto, ritiene che solo riconoscendosi reciprocamente due Stati indipendenti, israeliani e palestinesi potranno convivere pacificamente, come fanno gli abitanti del villaggio Nevè Shalom/Wahat as Salam (Oasi di Pace), fondato dal frate domenicano Bruno Hussar e sostenuto dall’Associazione “Amici di Neve” che Segre ha presieduto sino al 2011. In un’intervista rilasciata a “Repubblica” due anni fa, Segre ha detto di conservare bene il suo corpo perché l’anima che ci sta dentro possa stare meglio. Se molte più persone al mondo avessero un’anima come la sua, il pianeta terra continuerebbe a girare intorno al sole, come ha sempre fatto, ma i suoi abitanti ci vivrebbero molto meglio. Enrico |
Inchiostro?
Un po' di tempo fa, facendo ordine in un cassetto, mi sono venute tra le mani le mie pagelle delle scuole elementari e tra le varie materie c'era - disegno e BELLA SCRITTURA - A dire la verità mi è venuto da sorridere! Io ho vissuto la mia infanzia scolastica con penna, pennino, calamaio e inchiostro e la vita non fu tanto facile, tra pennini spuntati e macchie d' inchiostro...Poi, anche noi anziani, abbiamo assistito a diversi passaggi più agevoli con l'arrivo della penna stilografica e ultimamente con la scoperta della biro. Chi mai, però, ai giorni nostri scrive a mano lettere, domande di lavoro, documenti ecc.? Pochissimi. Anche un giornale quotidiano ne ha parlato in questi ultimi tempi, ponendosi una domanda. La bella scrittura o calligrafia è una perdita di tempo, un arnese anacronistico o l'antidoto all'invasione del digitale? Pare invece, a dire dell'articolista, che la calligrafia sia tornata di moda e sia diventata un mestiere con buone fonti di guadagno. In Italia stanno aumentando i corsi e lezioni con penne, pennini, calamai, e piume d'oca per ovviare alla tecnologia che rende le cose indistinte. Negli Stati Uniti scrivere a mano è ormai un ricordo, le lezioni in corsivo sono state sostituite con esercitazioni di battitura sul personal computer. In modo diverso invece la pensano gli psicologi dell'età evolutiva. Infatti spiegano che la calligrafia stimola la facoltà motoria dei bambini e nella crescita chi ha avuto familiarità con le lettere, avrà maggiore abilità con la scrittura e la lettura. Paul Antonio, 42 anni, nato a Trinidad(Antille), ora vive a Londra dove redige i documenti ufficiali della Regina Elisabetta, che per tradizione vengono scritti a mano. Egli è solito dire che il pensiero passa sulla carta attraverso di noi. "Un invito alla riflessione in una società dominata dalla fretta e l'occasione di trovare un tempo lento?" L'argomento non è né troppo serio, né troppo frivolo. Perciò ciascuno di noi può pensarla come vuole. Fernanda |
La rosa bianca
La Rosa Bianca è stato un sparuto gruppo di studenti cristiani (ispirati tra l’altro dal sacerdote cattolico di origine italiana Romano Guardini) che si oppose in modo non violento al regime della Germania nazista. Il movimento fu attivo dal giugno 1942 al febbraio 1943, quando i principali componenti del gruppo vennero arrestati, processati e condannati a morte mediante decapitazione. |
Originale!
Secondo alcuni studiosi, gli antichi Romani (specialmente i soldati) avrebbero visto per la prima volta tigri e leoni e altre specie di fiere non allo stato selvaggio, bensì rinchiusi nei serragli dei Paesi orientali, dove da secoli si usava catturare le bestie feroci e farle combattere davanti al pubblico nell’arena, proprio come facevano per i gladiatori. Il gusto per questo tipo di spettacolo cominciò a diffondersi a Roma dopo la seconda guerra punica (218-201 a.c.), definita non a torto la prima guerra mondiale dell’antichità, |
W il Papa!
Sì, viva Papa Francesco a Milano! Erano almeno tre gli argomenti da trattare sul giornalino dell’MTE. Li ho sottoposti a Paolo e lui mi ha chiesto di dare la precedenza alla visita del papa Francesco a Milano. Gli altri due che accenno sono: La firma del Documento di Roma in occasione dei 60 anni dell’Unione Europea e il 39° Convegno Nazionale delle Caritas Diocesane. I primi due avvenimenti hanno avuto luogo contemporaneamente il 25 marzo, il terzo è iniziato il 27 ed è finito il 30 marzo. Non ho fatto parte del milione di persone che hanno seguito il Pontefice a Milano, l’ho seguito tutto il giorno alla TV. L’ho visto al mattino ricevere la stola tessuta dagli abitanti delle “Case bianche”; poi in Duomo a dialogare con sacerdoti e suore; nel carcere di San Vittore; nel Parco di Monza e infine, a sera, allo stadio San Siro con la gioventù. Ho cercato di ascoltare tutto quello che diceva e di prendere nota delle cose più importanti; non avendo a disposizione una dozzina di pagine per accennarle tutte, mi limiterò a riportare la cosa che ritengo sia la più importante. Si tratta della risposta data all’anziana religiosa madre Paola che gli ha chiesto: “Santità, quali periferie esistenziali privilegiare date le nostre poche forze e la nostra minorità nella Società e nella Chiesa?” Risposta di papa Francesco: “Minorità non vuol dire rassegnazione. Non c’è bisogno di essere una moltitudine per essere lievito…ne basta poco per far crescere la farina. Non (dobbiamo) occupare spazi, ma avviare processi.” Se non c’è bisogno di una moltitudine, allora vuol dire che la Chiesa ha oggi bisogno più di qualità che di quantità. Se la parola “processi” la si considera sinonimo di “riforme”, allora vuol dire che la Chiesa ha bisogno di nuovi parametri e di trasformazioni che non tradiscano i principi evangelici, ma sappiano interpretarli, aggiornarli e attuarli nella contemporaneità.
Enrico
Sì, viva Papa Francesco a Milano! Erano almeno tre gli argomenti da trattare sul giornalino dell’MTE. Li ho sottoposti a Paolo e lui mi ha chiesto di dare la precedenza alla visita del papa Francesco a Milano. Gli altri due che accenno sono: La firma del Documento di Roma in occasione dei 60 anni dell’Unione Europea e il 39° Convegno Nazionale delle Caritas Diocesane. I primi due avvenimenti hanno avuto luogo contemporaneamente il 25 marzo, il terzo è iniziato il 27 ed è finito il 30 marzo. Non ho fatto parte del milione di persone che hanno seguito il Pontefice a Milano, l’ho seguito tutto il giorno alla TV. L’ho visto al mattino ricevere la stola tessuta dagli abitanti delle “Case bianche”; poi in Duomo a dialogare con sacerdoti e suore; nel carcere di San Vittore; nel Parco di Monza e infine, a sera, allo stadio San Siro con la gioventù. Ho cercato di ascoltare tutto quello che diceva e di prendere nota delle cose più importanti; non avendo a disposizione una dozzina di pagine per accennarle tutte, mi limiterò a riportare la cosa che ritengo sia la più importante. Si tratta della risposta data all’anziana religiosa madre Paola che gli ha chiesto: “Santità, quali periferie esistenziali privilegiare date le nostre poche forze e la nostra minorità nella Società e nella Chiesa?” Risposta di papa Francesco: “Minorità non vuol dire rassegnazione. Non c’è bisogno di essere una moltitudine per essere lievito…ne basta poco per far crescere la farina. Non (dobbiamo) occupare spazi, ma avviare processi.” Se non c’è bisogno di una moltitudine, allora vuol dire che la Chiesa ha oggi bisogno più di qualità che di quantità. Se la parola “processi” la si considera sinonimo di “riforme”, allora vuol dire che la Chiesa ha bisogno di nuovi parametri e di trasformazioni che non tradiscano i principi evangelici, ma sappiano interpretarli, aggiornarli e attuarli nella contemporaneità.
Enrico
Quanti sono?
Papa Francesco è il duecentosessantaseiesimo Papa della storia della Chiesa Cattolica. Il primo fu un palestinese, uno dei discepoli di Gesù, che passò alla storia papale col nome di Pietro, da cui nei secoli si dice sedersi sul trono di Pietro ogni volta che si elegge un Papa. La Chiesta cattolica ha avuto 213 pontefici italiani, 15 francesi, 8 greci, 7 dall'area tedesca, 3 dalla Spagna, 1 da Portogallo, Dalmazia, Inghilterra, Paesi Bassi, Polonia e Tracia per quanto riguarda il continente europeo, più due di cui il luogo di provenienza è incerto. Tre papi sono africani, 5 sono arrivati dalla Siria e 3 dalla Terra Santa.
Papa Francesco è il duecentosessantaseiesimo Papa della storia della Chiesa Cattolica. Il primo fu un palestinese, uno dei discepoli di Gesù, che passò alla storia papale col nome di Pietro, da cui nei secoli si dice sedersi sul trono di Pietro ogni volta che si elegge un Papa. La Chiesta cattolica ha avuto 213 pontefici italiani, 15 francesi, 8 greci, 7 dall'area tedesca, 3 dalla Spagna, 1 da Portogallo, Dalmazia, Inghilterra, Paesi Bassi, Polonia e Tracia per quanto riguarda il continente europeo, più due di cui il luogo di provenienza è incerto. Tre papi sono africani, 5 sono arrivati dalla Siria e 3 dalla Terra Santa.
Cosa ricordiamo
Cosa ricordiamo della Giornata di Spiritualità di M.T.E. del 6/4 scorso? La Somasca è una montagna che da sul lago di Lecco, ha il castello dell'Innominato, ormai rudere dal quale puoi fotografare un paesaggio interamente Manzoniano. La Basilica dei padri Somaschi, voluta dal Papa Giovanni XXIII, con Don Livio che agile ci corre incontro per darci il benvenuto e ci racconta la storia di S.Girolamo, che dopo una carriera militare si dedica ad assistere gli ultimi. Da Venezia, restando sempre entro i confini della stessa Repubblica, si sposta nella Somasca, terra povera che pare dedicata alla santità. Non è consacrato ma è testimone di carità per gli ultimi: poverelli, prostitute, vedove, orfani. A Milano fonda i Martinitt. Si ritira nella Somasca nell'eremo per pregare ma, viene colpito dalla peste. Ospitato da amici muore nel 1537. Papa Pio V° nel 1767 lo dichiara Santo. Nel periodo contestato dalla Riforma lui trasmette ai suoi una sua preghiera che è:”Gesù dolcissimo non essermi Giudice ma Salvatore “. In questa terra operosa ora di Lombardia , a poca distanza dalla Basilica ,si trova il convento dedicato alla” Beata Caterina Cittadini “. Entrambi hanno mandato e mandano Confratelli nel mondo per evangelizzare. La “Casa sul Pozzo” ci ospita per ristorarci con un saporito pranzo. Quanto possono fare i laici! Ben 110 ragazzi da tutto il mondo ci vivono (90 sono i collaboratori laici). Si riparte per andare alla “Filanda Abegg di Garlate” che ora è Museo Civico. Tutto è bello lindo, silenzioso, ideale. La guida Samantha partendo dai gelsi racconta: tutte le filande venivano piazzate vicine a forti disponibilità d'acqua. I funzionamenti dei macchinari erano ottenuti con macchine a vapore, ed i trattamenti per separare il bozzolo dalla crisalide avvenivano in vaschette alla temperatura sui 90°. La presa del filo di seta avveniva manualmente con temperature che superavano i 70°. Le mamme portavano le figlie con le quali lavoravano in coppia dall'età di 9 anni. In filanda non mancavano: odori, calore, rumori. A chiusura della giornata Padre Angelo ha posto la domanda: con quali parole spontanee possiamo concludere? Le risposte sono state: Laici per una chiesa in uscita - S.Girolamo guardava intorno a sé - Fermentarci reciprocamente - Difficoltà di sentirsi utili come anziani - Imparare a guardarsi intorno, pensare e agire con il cuore - Guardare chi sta peggio - Sentirsi popolo - Diventare popolo che “benedice, cioè dice bene” . Anna |
Una domanda
Cari amici, non molto tempo fa siamo andati a Grado e a Marano Lagunare curiosi e desiderosi di vedere questa realtà tanto decantata. Acqua e terra, al limite del mare aperto: uno splendore! E' l'ambiente dove ho vissuto i miei primi 16 anni. Allora la povertà, aiutata dalle tradizioni, sfruttava quello che la terra e il mare davano. Si campava di piccola pesca e di qualcosa fornita dalla fatica della coltivazione dei campi. Qualche gallina, qualche coniglio, qualche maiale. Era una vita “grama”, un po’ per tutti. Ma noi eravamo contenti così. Siamo cresciuti in modo semplice, sereno, senza “grilli” per la testa. Alla prima sera, quando il tempo era stato ventoso e freddo mi posi la domanda : “Cosa mi porto a casa oggi?” Quella zona non la conoscevamo, e non sapevamo che le lagune venete si estendessero così tanto oltre a quelle intorno a Venezia. Il secondo giorno portandoci a Marano Lagunare, con il giro in nave, vedemmo i casoni dei quali, mi parlavano con grande enfasi i cacciatori/pescatori mentre ero bambino. Scendevano da quella barca piatta e bassa, che aveva nel centro la colubrina dalla quale sparavano a raso livello dell'acqua e, con aria stanca, alzavano trionfanti il grappolo di cacciagione. Nel ritorno in pullman , mi vedevo girare con Anna mano nella mano come a noi piace, ed il sogno s'è interrotto perché mi ritornò la domanda “Cosa mi porto a casa oggi ?” Ed il pensiero è corso a quelli che non sono potuti venire; peccato, tutto è stato così bello. Mentre il pullman andava mi sono domandato: ma come mai mi ritorna alla mente questa domanda? Ah già, ricordate la giornata di Spiritualità vissuta con Padre Angelo, non terminava con questa domanda? E' un modo semplice che mi aiuta a rivedere le giornate, spendere un pensiero rivolto agli altri e a volte una preghiera. Armando |
Un Traguardo
Carissimi tutti, il 19 settembre p.v. una nostra cara concittadina, la signora Rea Lea, che tutti conosciamo, compie cent'anni. Non si arriva con una “leggerezza” qualunque a questo traguardo, ma con impegno fattivo ad andare sempre avanti, a dispetto di ogni difficoltà (e di ogni età) che può presentarsi sul proprio cammino. Potrebbe essere nonna, bisnonna o trisnonna di una moltitudine di persone, nipoti e alunni (è stata una maestra conosciuta e apprezzata in tutto il paese); ma lo ha fatto con quel “piglio” giovanile che ormai tutti le riconoscono, anche adesso che di anni ne ha qualcuno di più. Ha fatto parte del mondo sociale, religioso e culturale di Segrate, in tempi non certamente facili; ha lavorato lungamente insieme al fondatore del Movimento Terza Età, sig.Vincenzo Naldi, consegnando ad ognuno quella gioia e serenità “speciali” che non sono da tutti. Con grande professionalità, ma soprattutto con grande affetto, ha insegnato molte cose a tanti: a leggere, a saper scrivere, a fare di conto. I suoi antichi alunni, che le riconoscono tutto questo, e che a loro volta sono padri e nonni, vogliono sempre essere informati sulle condizioni e sullo stato di salute della “signora maestra” della loro infanzia. Lea Rea ha fatto parte (e tutt’ora continua a farlo, sebbene in modi diversi) dell’infanzia e della vita della nostra città, riconoscendo a quella miriade di “piccoli adulti” un’importanza e un futuro fuori del normale. Ora che ha moltissimi anni sulle spalle,e che avrebbe diritto a riposarsi un po’ dalle sue fatiche, non fa che ringraziare tutti per quanto ha ricevuto…ma dovremmo essere noi a dirle grazie per avere “versato” la propria vita nella nostra! Cosa dire di più di un personaggio “eccezionale” come lei?
Anche noi del MTE di Segrate ci uniremo con gioia a chi volesse intraprendere e promuovere iniziative, festeggiamenti e riconoscimenti nei confronti di Lea Rea, che per la nostra città è stato un gioiello prezioso, una persona che ha lavorato sodo per il bene di tutti.
La Segreteria
Carissimi tutti, il 19 settembre p.v. una nostra cara concittadina, la signora Rea Lea, che tutti conosciamo, compie cent'anni. Non si arriva con una “leggerezza” qualunque a questo traguardo, ma con impegno fattivo ad andare sempre avanti, a dispetto di ogni difficoltà (e di ogni età) che può presentarsi sul proprio cammino. Potrebbe essere nonna, bisnonna o trisnonna di una moltitudine di persone, nipoti e alunni (è stata una maestra conosciuta e apprezzata in tutto il paese); ma lo ha fatto con quel “piglio” giovanile che ormai tutti le riconoscono, anche adesso che di anni ne ha qualcuno di più. Ha fatto parte del mondo sociale, religioso e culturale di Segrate, in tempi non certamente facili; ha lavorato lungamente insieme al fondatore del Movimento Terza Età, sig.Vincenzo Naldi, consegnando ad ognuno quella gioia e serenità “speciali” che non sono da tutti. Con grande professionalità, ma soprattutto con grande affetto, ha insegnato molte cose a tanti: a leggere, a saper scrivere, a fare di conto. I suoi antichi alunni, che le riconoscono tutto questo, e che a loro volta sono padri e nonni, vogliono sempre essere informati sulle condizioni e sullo stato di salute della “signora maestra” della loro infanzia. Lea Rea ha fatto parte (e tutt’ora continua a farlo, sebbene in modi diversi) dell’infanzia e della vita della nostra città, riconoscendo a quella miriade di “piccoli adulti” un’importanza e un futuro fuori del normale. Ora che ha moltissimi anni sulle spalle,e che avrebbe diritto a riposarsi un po’ dalle sue fatiche, non fa che ringraziare tutti per quanto ha ricevuto…ma dovremmo essere noi a dirle grazie per avere “versato” la propria vita nella nostra! Cosa dire di più di un personaggio “eccezionale” come lei?
Anche noi del MTE di Segrate ci uniremo con gioia a chi volesse intraprendere e promuovere iniziative, festeggiamenti e riconoscimenti nei confronti di Lea Rea, che per la nostra città è stato un gioiello prezioso, una persona che ha lavorato sodo per il bene di tutti.
La Segreteria
Malessere?
Malessere? Sofferenza? Spossatezza? Forse sì, forse no; comunque vogliamo misurarci con lo specchio che abbiamo davanti, che riflette una immagine che non vuole essere nostra; che pesca al nostro interno quel “buon esempio” che non riesce ad essere nostro. Caos nella vita politica, caos nella vita morale, caos nella stessa democrazia che sta dimenticando le sue origini per diventare un’anarchia di fatto. Troppi politicanti senza scrupoli, troppi aspiranti padreterni, troppi venditori di fumo, troppi esperti nell’arte di arrangiarsi, troppe parole, troppe poltrone saldamente “incollate” al vincitore di turno. Ma questa l’Italia? Da buoni italiani, secondo le “antiche” tradizioni, la colpa di tutto ciò è sempre degli altri. Ma vogliamo renderci conto che “gli altri” siamo pur sempre noi? Direttamente o indirettamente, lo sappiamo bene, ma siamo noi, noi italiani, gente “a parole” di molta serietà, ma sempre pronta a farci gli affari nostri per poi saltare sul carro del vincitore di giornata e a sventolarne le bandiere. A questo punto voglio solo ringraziare “quel” buon Dio che, per nostra fortuna, ci manda ancora qualche persona onesta e leale e che rema dalla parte giusta, consentendo a questa povera Italia di galleggiare. Perché, ora che le vacche grasse sono finite e i morsi di una crisi economica si fanno sentire, ci accorgiamo di guai nei quali ci siamo cacciati. Povera Italietta, già piena di problemi di suo, dove il lavoro scarseggia anche per gli stessi italiani, e la miseria torna a prosperare assieme alla corruzione e alla delinquenza. Le prospettive, ahimè, sono nere! Riusciremo a cavarcela? Ai posteri l’ardua sentenza, come diceva il Manzoni: non ci spettano questi calcoli, perché onestamente non siamo in grado di svilupparli; essi appartengono solo a chi è capace di versare un briciolo di speranza. Gianfranco Fenomeno
Per il sontuoso matrimonio tra Elena e Ferdinando, una coppia di sposi molto fantasiosa, celebrato in un certo paese italiano, lo stilista che confezionò l’abito da sposa fece un velo nuziale da record, finora imbattuto: largo approssimativamente due metri, era lungo circa tre chilometri, e pesava “abbondantemente” più di due quintali…! VIa della Gatta
Via della Gatta a Roma prende il nome da una statua di marmo di un gatto, a grandezza naturale, proveniente da un antico tempio dedicato a Iside, e oggi visibile sul cornicione di Palazzo Grazioli. Una tradizione vuole che sia stata posizionata lì in ricordo di un miracoloso salvataggio compiuto da un gatto: proprio da quella posizione un felino avrebbe attirato con i suoi miagolii insistenti lo sguardo di una madre sul figlioletto che rischiava di cadere dalla finestra di un palazzo vicino. |
Pizzoccheri
I pizzoccheri (chi non li ha mai assaggiati, almeno una volta?) sono un tipo di pasta di origine valtellinese, tipici in particolare di Teglio, comune in cui non a caso è stato costituita l’Accademia del Pizzocchero che si occupa di divulgarne la conoscenza e dare indicazioni sul prodotto. Sono comunque conosciuti praticamente in tutto il mondo e ulteriormente apprezzati nei mesi freddi. Nello specifico si tratta di tagliatelle spesse circa 3 mm, larghe 1 cm e lunghe 7, composte per due parti da farina di grano saraceno (elemento che conferisce la colorazione grigiastra) e per la restante da farina di frumento. Le sue origini sono estremamente antiche e la sua tipicità è stata riconosciuta col marchio PAT (Prodotto Agroalimentare Tradizionale). La storia dei pizzoccheri è lunga è a volte confusa, ma trova sicure testimonianze in diverse epoche storiche della penisola italiana. Ortensio Landi, un umanista del XVI secolo, li cita nel suo “Catalogo dell’inventario delle cose che si mangiano, et delle bevande ch’eggedì s’usano” (1548), parlando in particolare di tale “Meluzza Comasca”, nota per i suoi deliziosi “pinzocheri”. L’indicazione “comasca” delle origini della donna non devono fuorviare, poiché ai tempi nella diocesi di Como era incluso tutto il territorio valtellinese; non è un caso che, a quanto si narra, lo stesso Lando avesse visitato una famiglia nella capitale del pizzocchero, ovvero Teglio. Ancora intorno al 1800 essi vengono citati in maniera significativa: Lehmann, in “Die Republik Graubunden” (1798), si dilunga sui “perzockel”, specie di tagliatelle di farina e uova, cui si aggiungono burro e formaggio grattato. Avvicinandoci al modernità essi entrano sempre più prepotentemente nei testi di alimentazione e studi popolari, emergendo come piatto tipico della zona ma conosciuto e amato ben oltre la sua zona di produzione. Al fine di onorare quanto indicato dalla tradizione e ribadito tramite l’attribuzione del marchio PAT, occorre rispettare l’originalità territoriale di questa pietanza. Gli ingredienti dunque, incluse le verdure, devono rigorosamente provenire dall’area valtellinese; soprattutto il burro ed il formaggio sono ulteriormente apprezzati se provenienti dagli alpeggi circostanti. Nel comune di Teglio si svolge ogni estate la Festa del Pizzocchero, mentre a settembre si celebra il “Pizzocchero d’oro”, manifestazioni che indicano quanto sia sentita l’appartenenza di questa specialità. Ci sono state infinite speculazioni circa l’origine del nome di questa pasta: c’è chi dice che provenga dalla radice “pit” o “piz”, ad indicare il “pezzetto” oppure il “pinzare”, relativo alla forma schiacciata del prodotto. Secondo altre ipotesi ci si potrebbe richiamare al termine longobardo “bizzo” (boccone), ma questa è la strada meno praticata e accettata in generale. |
Spigolature
Si narra che Enrico Caruso, dopo aver cantato a Milano in una festa di beneficenza, fu invitato dall’Arcivescovo il quale, per fargli una gradita sorpresa, fece preparare delle uova sode con monete d’oro al posto dei tuorli. «Eminenza – disse commosso il grande tenore quando si accorse del contenuto delle uova – è evidente che lei non conosce i miei gusti: delle uova quello che preferisco è il bianco; si riprenda dunque il giallo».
Si narra che Enrico Caruso, dopo aver cantato a Milano in una festa di beneficenza, fu invitato dall’Arcivescovo il quale, per fargli una gradita sorpresa, fece preparare delle uova sode con monete d’oro al posto dei tuorli. «Eminenza – disse commosso il grande tenore quando si accorse del contenuto delle uova – è evidente che lei non conosce i miei gusti: delle uova quello che preferisco è il bianco; si riprenda dunque il giallo».
Le vedovelle
Le vedovelle sono le tipiche e famose fontanelle di Milano, che devono il loro nome all'incessante filo d'acqua che sgorga, simile a un pianto perenne di vedova.
Gli abitanti di Milano usano anche dire: "andiamo a bere al bar del Drago verde" perché il rubinetto ha la forma di testa di drago.
Distribuite su tutto il territorio del Comune di Milano ne sono attualmente in funzione 481.
Il materiale che le costituisce è la ghisa del tipico colore verde e sono state disegnate nel 1931. La prima fontanella è quella di Piazza della Scala, che differisce dalle altre per il fatto di essere in bronzo. La quantità d'acqua erogata dalle fontanelle è irrisoria in confronto alla portata d'acqua distribuita dall'acquedotto milanese; infatti, a fronte di un flusso istantaneo medio erogato di circa 7500 litri/secondo, la portata dell'insieme delle fontanelle è pari a 8 l/s .
Molti possono pensare che le vedovelle generino spreco d'acqua, ma non è così. Il flusso d'acqua continuo delle vedovelle non è utile solo per dissetarsi, ma svolge anche l'importante funzione di mantenere l'acqua sempre in movimento preservandone la freschezza e la buona qualità in corrispondenza delle tubazioni terminali cieche, le cosiddette "teste morte".
Inoltre, l'interruzione del flusso potrebbe portare alla stagnazione dell'acqua e contribuire alla formazione di pericolosa flora batterica attorno alla bocca del "drago" da cui sgorga l'acqua.
Anche la portata in uscita dalle fontanelle non si disperde inutilmente; al contrario l'acqua si scarica in fognatura, raggiunge i depuratori di Milano, viene disinfettata e quindi impiegata dai consorzi agricoli per l'irrigazione dei campi a sud di Milano. È stata comunque realizzata, qualche anno fa, la mappature delle vedovelle ancora esistenti: sono quasi 500 ancora in esercizio!
(da una ricerca di) Chiara
Le vedovelle sono le tipiche e famose fontanelle di Milano, che devono il loro nome all'incessante filo d'acqua che sgorga, simile a un pianto perenne di vedova.
Gli abitanti di Milano usano anche dire: "andiamo a bere al bar del Drago verde" perché il rubinetto ha la forma di testa di drago.
Distribuite su tutto il territorio del Comune di Milano ne sono attualmente in funzione 481.
Il materiale che le costituisce è la ghisa del tipico colore verde e sono state disegnate nel 1931. La prima fontanella è quella di Piazza della Scala, che differisce dalle altre per il fatto di essere in bronzo. La quantità d'acqua erogata dalle fontanelle è irrisoria in confronto alla portata d'acqua distribuita dall'acquedotto milanese; infatti, a fronte di un flusso istantaneo medio erogato di circa 7500 litri/secondo, la portata dell'insieme delle fontanelle è pari a 8 l/s .
Molti possono pensare che le vedovelle generino spreco d'acqua, ma non è così. Il flusso d'acqua continuo delle vedovelle non è utile solo per dissetarsi, ma svolge anche l'importante funzione di mantenere l'acqua sempre in movimento preservandone la freschezza e la buona qualità in corrispondenza delle tubazioni terminali cieche, le cosiddette "teste morte".
Inoltre, l'interruzione del flusso potrebbe portare alla stagnazione dell'acqua e contribuire alla formazione di pericolosa flora batterica attorno alla bocca del "drago" da cui sgorga l'acqua.
Anche la portata in uscita dalle fontanelle non si disperde inutilmente; al contrario l'acqua si scarica in fognatura, raggiunge i depuratori di Milano, viene disinfettata e quindi impiegata dai consorzi agricoli per l'irrigazione dei campi a sud di Milano. È stata comunque realizzata, qualche anno fa, la mappature delle vedovelle ancora esistenti: sono quasi 500 ancora in esercizio!
(da una ricerca di) Chiara
Ginnastica dolce
Ginnastica dolce: che cos’è? Proponiamo una ginnastica di stabilizzazione, mobilizzazione e coordinazione, dedicata alla terza età ma non solo! Obiettivi generali degli incontri sono il mantenimento e il miglioramento della forma fisica della persona nella terza età; ogni lezione ha obiettivi specifici come la mobilità articolare, l'aumento della forza di base sulle varie catene muscolari, lo sviluppo della coordinazione neuro-muscolare, l’aumento dell'equilibrio personale. La ginnastica dolce è un particolare tipo di attività fisica caratterizzata dalla bassa intensità e dalla piacevolezza dell’esecuzione. Si tratta di una ginnastica eseguita con movimenti lenti, graduali, a basso impatto che si svolge in gruppo, in ambiente piacevole e armonioso, con sottofondo musicale. E' costituita da esercizi fisici studiati per avvicinare al movimento persone sedentarie, sovrappeso, anziani o con lievi problemi di tipo ortopedico o posturale, che non possono praticare, magari solo momentaneamente, sport più impegnativi. Essa prevede: riscaldamento iniziale con esercizi di tipo aerobico, come la camminata veloce e la corsa lenta; esercizi di tipo respiratorio e posturali; stretching degli arti superiori, della colonna vertebrale e degli arti inferiori; esercizi di mobilizzazione e di rinforzo muscolare (lieve tonificazione) eseguiti in modo da non richiedere a muscoli e articolazioni eccessivi sforzi e carichi meccanici; esercizi di equilibrio; rilassamento finale. La ginnastica dolce ottiene l’effetto del miglioramento del sistema cardio-vascolare, del tono muscolare, dell’efficienza fisica generale e dell’aspetto estetico. Produce un efficace aumento dell’autostima e della sicurezza di sé, producendo un importante miglioramento dell’umore e del benessere in generale. Permette di recuperare la forma fisica dopo periodi di fermo forzato per traumi o incidenti. La ginnastica dolce è particolarmente raccomandata a persone sedentarie che intendono recuperare la forma fisica, anziani, persone con lievi problemi ortopedici, posturali, rieducativi. Ornella |
AROMATERAPIA
Cioè un tipo di medicina alternativa che si avvale dell’uso di determinati oli vegetali essenziali che hanno effetti antidolorifici, rilassanti, stimolanti e aiutano a sconfiggere la depressione e a regolare diverse funzioni corporee. Alcuni di essi possiedono proprietà antibiotiche, antibatteriche, antifungine e antisettiche e possono essere applicati sulla pelle attraverso massaggi, inalati con vapori, aggiunti all’acqua del bagno o assunti per via orale sotto forma di gocce o capsule. A seconda della pianta, l’olio aromatico, o essenziale, viene estratto da foglie, radici, corteccia, fiori, semi, frutti, resina e quindi diluito con acqua o con olio non profumato come quello di jojoba. I meccanismi coinvolti sono due: l’olfatto e le proprietà assorbenti della cute. Gli aromaterapeuti sostengono che l’inalazione di determinati profumi stimoli il cervello a rilasciare sostanze chimiche che combattono stress e affaticamento e che alcuni oli abbiano un effetto terapeutico quando vengono assorbiti dalla pelle. Il potere psicoterapeutico dell’aromaterapia è dato dal legame esistente tra olfatto, profilo emozionale e memoria. I profumi emanati dagli aromi agiscono direttamente sui centri nervosi del cervello senza alcun coinvolgimento del pensiero razionale. Gli aromaterapeuti affermano che affezioni anche molto diverse fra loro, quali, ad esempio, disturbi della pelle, vari tipi di infiammazioni, cefalee, dolori muscolari, disturbi circolatori e respiratori, ecc., eucalipto, lavanda, menta, rosa, ecc.) è particolarmente efficace su uno o più determinati disturbi. Gli oli aromatici sembrano avere poteri benefici anche su stati emotivi che determinano sofferenza nell’individuo: ad esempio, l'olio di rosa sarebbe benefico contro la gelosia, la camomilla contro la collera e l'issòpo contro la depressione. Silvana STRANO…
La maggior parte del raccolto annuo di tutte le piante che vengono coltivate sul nostro pianeta è costituito da appena una dozzina di specie: cinque cereali (grano, mais, riso, orzo e sorgo); tre tuberi (patata, manioca, patata dolce); due piante da zucchero (canna e barbabietola); e una sola da frutto. |
SACRO MONTE DI ORTA
Malgrado il tempo grigio e piovoso abbiamo trascorso una piacevolissima giornata in luoghi vicini a noi e interessanti da visitare.
I Sacri Monti sono località tipiche del nord della Lombardia e del Piemonte, nate intorno al 16^ secolo per fronteggiare la perdita di fedeli Cattolici a favore di Luterani e Protestanti che scendevano in Italia dalla Germania e dalla Svizzera. Dovevano essere una specie di “barriera spirituale” a difesa della Fede Cattolica. Il Sacro Monte di Orta (m.400) è composto da 20 cappelle ed è tutelato dal Parco Riserva del Sacro Monte; le cappelle sono tutte diverse architettonicamente, ma all’interno di tutte si trovano statue in terracotta a grandezza naturale, vestite secondo la moda del tempo; in alcune cappelle si possono ammirare numerosissime statue e le pareti delle cappelle sono tutte affrescate. Il fil rouge che le lega è la figura di Francesco d’Assisi, che viene rappresentato in vari momenti della sua vita nel tentativo di paragonare Francesco a Cristo. Leggi tutto...
Paola
Malgrado il tempo grigio e piovoso abbiamo trascorso una piacevolissima giornata in luoghi vicini a noi e interessanti da visitare.
I Sacri Monti sono località tipiche del nord della Lombardia e del Piemonte, nate intorno al 16^ secolo per fronteggiare la perdita di fedeli Cattolici a favore di Luterani e Protestanti che scendevano in Italia dalla Germania e dalla Svizzera. Dovevano essere una specie di “barriera spirituale” a difesa della Fede Cattolica. Il Sacro Monte di Orta (m.400) è composto da 20 cappelle ed è tutelato dal Parco Riserva del Sacro Monte; le cappelle sono tutte diverse architettonicamente, ma all’interno di tutte si trovano statue in terracotta a grandezza naturale, vestite secondo la moda del tempo; in alcune cappelle si possono ammirare numerosissime statue e le pareti delle cappelle sono tutte affrescate. Il fil rouge che le lega è la figura di Francesco d’Assisi, che viene rappresentato in vari momenti della sua vita nel tentativo di paragonare Francesco a Cristo. Leggi tutto...
Paola
Milanes baüscia
È un vocabolo dialettale, attestato in area lombarda, atto a designare una persona che si dà delle arie, uno sbruffone. Letteralmente significa saliva, bavetta; ma per estensione può significare anche abitante di Milano. Baüscia indica in senso ironico anche una tipologia di piccolo imprenditore poco aperto alle innovazioni, egocentrico, che non ama collaborare o condividere potere e decisioni. Tipicamente è un soggetto che vuole decidere e intervenire anche nelle aree aziendali di cui non ha competenza. La modifica in baüscia avviene soprattutto quando la piccola impresa ha una crescita e si industrializza necessitando così di diversificare e diramare questi processi di cambiamento. Insomma, il milanes baüscia è il classico fanfarone, lo sbruffone che si incontra nelle vie del centro di Milano. Il vocabolo è particolarmente attestato e utilizzato nel gergo sportivo, con riferimento al club calcistico milanese dell'Inter. Per lunghi decenni del XX secolo, e segnatamente a partire dagli anni venti, i tifosi milanisti furono per la maggior parte di estrazione proletaria, spesso immigrati; per questo motivo dagli interisti essi venivano soprannominati casciavit (cacciaviti) allo scopo di indicarne l'origine popolare e operaia. I milanisti chiamavano viceversa baüscia, i rivali, essendo allora la tifoseria nerazzurra composta per lo più dalla medio-alta borghesia di origine prettamente meneghina. Lo stesso significato ce l'ha anche ganassa che, rispetto al baüscia, oltre alle parole ci mette l'atteggiamento. E’ colui che agisce per mettersi in mostra. Si rifà all'italiano ganascia (il complesso di mandibola e guancia) e indica un mangione, o più propriamente un "mascellone", una persona che si atteggia con "la mascella alta e tesa, spinta in avanti, volitivamente", un vanitoso che si compiace nel spararle grosse. (da una ricerca di) Lucia Curiosità
Secondo una antica tradizione, che si perde nella notte dei tempi, la polka, la tipica danza boema – regione che occupa la parte centrale della repubblica ceca - affermatasi verso il 1830, venne inventata da una servetta di bassa estrazione sociale, che amava ballare da sola nella sua stanza, ma che era costretta a compiere soltanto minuscoli passi alla volta, essendo l'ambiente assai piccolo. |
Gli Sforza
La famiglia Sforza, cioè un groviglio di nomi, di nobiltà e di esperienze, fu la casata nobiliare che resse il ducato di Milano dal 1450 al 1535. Il nome della famiglia deriva forse dal soprannome del suo fondatore, Muzio Attendolo (Cotignola, 1369 - vicino a Ravenna, 1424), un capitano di ventura della Romagna al servizio dei re Angioini di Napoli, chiamato Sforza (forte) per la sua prestanza. Fu la dinastia di condottieri italiani che ebbe maggior fortuna. Il primo duca di Milano fu il figlio maggiore di Muzio Attendolo, Francesco (1401-1466), che acquisì il titolo ducale grazie al suo matrimonio con Bianca Maria Visconti, ultima erede del duca Filippo Maria Visconti, morto nel 1447. Da questo matrimonio originò il ramo principale della famiglia. Il successore di Francesco I fu Galeazzo Maria (1444-1476), duca dal 1466 alla morte, che sposò Bona di Savoia. Fra le sue figlie illegittime va segnalata Caterina Sforza, che sposò dapprima Girolamo Riario, divenendo signora di Forlì ed Imola, e fu poi la madre di Giovanni dalle Bande Nere. Successore di Galeazzo Maria fu il figlio Gian Galeazzo (1469-1494), che sposò Isabella d'Aragona. Gian Galeazzo, a causa della sua debolezza ed inettitudine, in pratica non governò mai direttamente, e la reggenza del direttamente, e la reggenza del ducato fu fin dall'inizio nelle mani dello zio Ludovico Sforza detto il Moro, che ebbe il titolo di duca; Ludovico il Moro sposò Beatrice d'Este. A riprova del prestigio goduto dal casato milanese in quel periodo vi è il matrimonio celebrato tra Bianca Maria, sorella di Gian Galeazzo e l'imperatore Massimiliano I d'Asburgo. Ludovico il Moro governò sul Ducato di Milano fino al 1500, anno in cui fu definitivamente sconfitto e preso prigioniero dai francesi. Dopo che i francesi furono cacciati dall'esercito di mercenari svizzeri dell'impero (1512), il ducato di Milano tornò per alcuni anni nelle mani dei figli di Ludovico il Moro, Massimiliano (1493-1530) e Francesco II (1495-1535), che sposò Cristina di Danimarca, nipote dell'imperatore Carlo V. Costoro, coinvolti nelle guerre tra Francia ed Impero, regnarono ad intervalli e sotto la protezione degli Asburgo, ai quali, dopo la morte di Francesco II senza eredi, passò il ducato. Da Giovanni Paolo (1497-1535), figlio naturale di Ludovico il Moro e di Lucrezia Crivelli, discese il ramo dei Marchesi di Caravaggio, estinto nel 1717. Da Sforza Secondo, figlio naturale di Francesco I, discese il ramo dei conti di Borgonovo Val Tidone, estinto nel 1679; da Jacopetto, figlio naturale di Sforza Secondo, discese il ramo dei Conti di Castel San Giovanni, che giunse fino al XX secolo e a cui appartenne a Carlo Sforza. (da una ricerca di) Daniele |
Foeura el dent……foeura el torment!
Così si diceva, quando si doveva risolvere qualche faccenda complicata, che sarebbe costata alquanto dolore e qualche dispiacere. Ma la sofferenza è ben sopportabile se si conoscono in anticipo i risultati: senza il dente malato i dolori non ci saranno più! Il milanese, avveduto e sagace, non tira in lungo le questioni complicate; risolve le sue pene senza troppi impicci, per non averne più in futuro. |
BARLAFÜS
La parola «barlafüs» è metà germanica e metà latina. È formata infatti da "barna", che nell'antico germanico era la piastrina forata dentro la quale si infilava la punta del fuso (latino "fusus"), perché questo stesse ben fisso al suo posto durante la filatura. Il «barlafüs» era un arnese da lavoro molto modesto; si capisce, quindi, perché più tardi, qualsiasi oggetto di poco conto si sia chiamato così. |
A batt i pagn……cumpar la stria!
Questa espressione è usata quando ci si vede comparire dinanzi la persona di cui si sta parlando. Equivarrebbe al latino “lupus in fabula”. L'origine di questo modo dire è abbastanza noto. Esso ricorda episodi antichi che accadevano al tempo in cui si credeva che esistessero le streghe, capaci de strià, cioè di fare malefici. Si dice che a quei tempi i magistrati se ne occupassero direttamente. La persona che pensava di aver subito il malocchio o si sentiva perseguitata si rivolgeva al magistrato, il quale batteva i panni di colui che aveva subito il maleficio. La prima persona che sopraggiungeva era ritenuta responsabile del malocchio e veniva condannata! Ci sono codici e procedure giudiziarie che confermano queste circostanze. |
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