Articoli del giornalino novembre/dicembre 2018
Il Movimento Terza Età di Segrate ha un nuovo presidente
Il giorno 17 settembre 2018 si è riunito il Consiglio Direttivo del nostro Movimento per accogliere la richiesta di Paolo Bontempi di dimettersi dalla carica di Presidente per problemi personali e familiari, nel contempo è subentrato il nuovo presidente Antonio Dallera. Il Consiglio MTE a nome di tutti ringrazia Paolo per l’impegno dedicato in questi anni nel rappresentare il nostro Movimento nei confronti delle amministrazioni pubbliche e nella caparbietà per sviluppare le attività culturali, ricreative e aggreganti; ci auguriamo che il suo modo appassionato di porsi e relazionarsi e la sua simpatia naturale e contagiosa sarà sempre profusa anche in qualità di consigliere della nostra Associazione. Grazie Paolo per avere speso tanta parte della tua vita per il nostro gruppo, per la premura e l’attenzione ai bisogni, autentica fede, ma soprattutto per una grande amicizia che si è sviluppata tra i componenti del Movimento Terzo Età. Questo è alla fine quello che conta e quello che davvero ci contraddistingue, essere amici nella fede comune. Auguri Antonio, siamo tutti con te e insieme costruiremo un Movimento Terza Età sempre migliore ! |
PAURE E SPERANZE
In tutti i tempi e sotto ogni cielo, l'uomo ha bisogno di stabilità e di sicurezza.
Poiché il mondo è in continua evoluzione, i molteplici cambiamenti provocano in molti di noi un senso di insicurezza e di instabilità.
Non ci sono più certezze, ci mancano punti di riferimento e mentre, un tempo, ci si appoggiava a principi che parevano universalmente validi, ora ci accorgiamo che possono assumere significati non più univoci.
La paura che poteva essere in passato tipica dei pavidi, dei deboli, degli anziani è ormai diventata una componente della vita di tutti: sono le paure generate da ciò che ci circonda, da situazioni di nuove povertà che coinvolgono persone giovani e meno giovani che faticano a coniugare le necessità della vita quotidiana.
Si giunge anche al punto di non porci domande perché si scopre che non possiamo darci più risposte.
Si potrebbe pensare che i sensi di paura siamo figli del nostro tempo, ma questo è un retaggio antico.
Nei Proverbi (29,25) dell'Antico Testamento si legge: " La paura è degli uomini una trappola, ma chi confida nel Signore è al sicuro"
C'è chi ritiene questo consiglio solo un palliativo che non risolve i problemi di questo mondo tribolato.
Cerchiamo perciò di essere razionali, ma anche positivi.
Forse non sempre riusciremo a vincere tutte le paure di oggi, ma la speranza che ci viene dall'Alto ci apre uno spirale di luce nell'attesa di un futuro migliore.
Fernanda
In tutti i tempi e sotto ogni cielo, l'uomo ha bisogno di stabilità e di sicurezza.
Poiché il mondo è in continua evoluzione, i molteplici cambiamenti provocano in molti di noi un senso di insicurezza e di instabilità.
Non ci sono più certezze, ci mancano punti di riferimento e mentre, un tempo, ci si appoggiava a principi che parevano universalmente validi, ora ci accorgiamo che possono assumere significati non più univoci.
La paura che poteva essere in passato tipica dei pavidi, dei deboli, degli anziani è ormai diventata una componente della vita di tutti: sono le paure generate da ciò che ci circonda, da situazioni di nuove povertà che coinvolgono persone giovani e meno giovani che faticano a coniugare le necessità della vita quotidiana.
Si giunge anche al punto di non porci domande perché si scopre che non possiamo darci più risposte.
Si potrebbe pensare che i sensi di paura siamo figli del nostro tempo, ma questo è un retaggio antico.
Nei Proverbi (29,25) dell'Antico Testamento si legge: " La paura è degli uomini una trappola, ma chi confida nel Signore è al sicuro"
C'è chi ritiene questo consiglio solo un palliativo che non risolve i problemi di questo mondo tribolato.
Cerchiamo perciò di essere razionali, ma anche positivi.
Forse non sempre riusciremo a vincere tutte le paure di oggi, ma la speranza che ci viene dall'Alto ci apre uno spirale di luce nell'attesa di un futuro migliore.
Fernanda
Il nuovo anno sociale del MTE è iniziatoGià nell’ alto Medioevo da tutta Europa pellegrini, mercanti ed ecclesiastici intraprendevano lunghi viaggi per visitare le tombe degli Apostoli. Uno degli itinerari più antichi, tramandato in un quaderno di viaggio dall’Arcivescovo di Canterbury nel 990-994 è conosciuto come Via Francigena. Il tratto tosco-emiliano è stato per secoli uno degli itinerari più agevoli per raggiungere dalla Mitteleuropa il versante tirrenico e la direzione per Roma. A Vigoleno, antico borgo del Piacentino, una statua di San Rocco posta su un muro adiacente ad un oratorio, ci dice che lì sorgeva uno dei vari luoghi di accoglienza e ristoro per i pellegrini.
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Un Santuario, la campagna e la scienza
Puntuale il nostro amico Peppino aveva portato il pullman, e felice come noi, ci ha salutati con allegria. Nell'arrivare al santuario, ci fece passare tra i due laghi del Mincio e vedere Mantova . Padre Sebastiano, ci invitò a recitare un Padre Nostro, eravamo in pellegrinaggio per la chiusura dell'anno sociale. Il Santuario costruito verso la fine del 1300, era composto da una sola navata, poi, venne ampliato con la cupola dell'altare maggiore ,dove si trova l'icona della Madonna con bambino. Nei fianchi della navata da circa un terzo della chiesa fino all' altar maggiore , vi sono due cassoni lignei mensolati, che vanno da circa tre metri dalla base fino al soffitto, suddivisi in riquadri con: statue lignee, grazie ricevute in calchi di cera riportanti la parte del corpo guarita. Mani, seni, bubboni della peste , alcune statue con vestiti gessati, ed altre con armature di pregio sono state traslate al museo diocesano. Leggi tutto... |
GUERNICA
Il 26 aprile 1937 gli aerei della Legione Condor della Luftwaffe, l’aviazione tedesca, ricordo che i tedeschi erano alleati con i ribelli di Francisco Franco, bombardarono con ordigni incendiari la città di Guernica, una città chiave nella tradizione politica dei paesi baschi, uccidendo più di duemila persone allo scopo di piegarne la resistenza. Quando, nei giorni seguenti, il governo Repubblicano chiese a Pablo Picasso un suo lavoro per il padiglione spagnolo dell’Esposizione Internazionale di Parigi che si sarebbe aperta il 28 maggio dello stesso anno, cioè un mese dopo, l’artista lavorò a quest’opera di testimonianza e condanna contro gli orrori della guerra e in meno di un mese consegnava al mondo questo importante documento ritenuto un simbolo universale nella lotta contro ogni tipo di invasione e oppressione. Dopo averlo visto tante volte riprodotto in libri d’arte o in documentari televisivi, finalmente l’ho visto dal vivo e mi sono tornate alla mente le parole del mio insegnante di Storia dell’Arte quando ci parlava di questo capolavoro, perché di capolavoro si tratta, lui che l’aveva già ammirato, parlandone, si commuoveva fino alle lacrime: “Il grido di dolore del toro, simbolo della Spagna ferita, che anche se non lo possiamo sentire con le nostre orecchie esce dal dipinto a rappresentare la disperazione di un popolo che soffre ..… la disperazione della madre che tiene fra le braccia il figlio oramai senza vita e gli occhi vuoti del bambino morto che drammaticamente, pur nella semplicità del tratto, ti fanno capire che in quel corpo non c’è più vita ….. il filamento della lampadina, all’apparenza uno scarabocchio e la luce che si irradia dal portalampada anche loro a rendere la drammaticità e il clima di paura di quei momenti .…. l’urlo della donna che regge la lampada a olio come volesse portare, nella disperazione, una luce di speranza …. la colomba, simbolo di pace, abbattuta e tanti altri particolari comela smorfia di dolore e l’urlo del cavallo ferito che rendono l’opera altamente drammatica nella sua semplicità. ” Nel capolavoro di Picasso si può notare che, nonostante alcune apparenze che per la semplicità del tratto possono fuorviare, sono raffigurati, oltre agli animali, solo donne, bambini, le vittime di quel bombardamento e di tutte le guerre in generale, gli uomini combattono ma donne e bambini sono indifesi e subiscono la violenza degli assalitori. Guardandolo dal vivo, nella sua imponenza (7,87m x 3,50m) e nella carica emotiva che trasmette non si può restare insensibili. Nel senso pittorico del termine qualcuno potrebbe dire che anche il suo nipotino sa disegnare in quel modo o forse anche meglio ma l’intenzione di Picasso non era quella di fare un’altra Cappella Sistina, Picasso con Guernica ha voluto realizzare un’opera che con la semplicità e sensibilità che posseggono solo i grandi maestri e con il solo uso dei neri e dei grigi potesse trasmettere un messaggio e una forte denuncia. Come diceva il mio insegnante: “Ha voluto esprimere il terrore e la disperazione con gli occhi e con il linguaggio di un bambino.” Guardando in volto molte persone che come me si sono soffermate per molti minuti davanti al dipinto, alcuni dei quali con gli occhi lucidi, direi che il grande Pablo ci è riuscito egregiamente. P.S. – Vorrei ringraziare Eleonora e Costanzo, oltre che per la loro disponibilità per tutta la durata del nostro viaggio, in particolare per avermi permesso di ammirare, fuori programma, questo importante capolavoro. Grazie di cuore, per me è stata la parte più emozionante di questi quattro giorni e ve ne sono grato. Paolo Ardrizzi |
Preti soldato
Cento anni fa, il 4 novembre 1918 terminava quella che è stata chiamata “Grande Guerra”, poi “Prima Guerra Mondiale”. Mi raccontava mia mamma che sulle strade e sulle piazze di ogni paese e di ogni città si festeggiava la fine della guerra con canti, danze e campane a festa, lei piangeva, non di gioia, ma di dolore. Il suo amato fratello Vito non sarebbe mai ritornato. Era caduto durante una delle tante battaglie sul fronte di Paderno Ponzano nel 1917, aveva ventitrè anni. Ad assisterlo durante le sue ultime ore di vita fu un prete soldato. Ma chi furono i “Preti soldato”pochi lo sanno. All’inizio del conflitto, il 24 maggio 1915 vennero reclutati tutti i sacerdoti e i seminaristi di età soggetta all’obbligo militare. Nel corso dei tre anni di guerra furono arruolati nell’esercito italiano oltre ventimila religiosi, in aggiunta ai circa duemilacinquecento cappellani militari. In quegli anni i rapporti tra il Regno d’Italia e la Santa Sede non erano molto cordiali; non c’era alcun accordo che esentasse i sacerdoti dall’arruolamento, l’unica concessione fu quella di esentarli dall’uso delle armi assegnandoli ai servizi sanitari. Fu proprio uno di questi preti soldato, don Ezio Lorenzini, a soccorrere e veder morire mio zio. Non so come mia madre venne a conoscenza di questo sacerdote, so però che fu Lui ad interessarsi del recupero della salma di mio zio e della tumulazione nel cimitero del paese d’origine. Al termine del conflitto don Lorenzini deve essersi dedicato al recupero dei caduti in guerra. Poi nel 1929 fece pubblicare il Suo diario di guerra dal titolo: “La guerra e i preti soldato”. Ne regalò una copia a mia madre che la custodì come una reliquia. Ora questo Diario è in mio possesso; a pagina 106 si legge: “… tra i feriti più gravi c’erano due milanesi, un soldato e un sergente maggiore che morirono poche ore dopo, erano addirittura fracassati”. Quel sergente maggiore era mio zio. Nella prefazione, spiegando i motivi che lo indussero a pubblicare il Suo diario don Lorenzini scrive: “…. attendevo cioè che qualche voce autorevole si levasse a parlare del – prete soldato – come si è parlato, e molto bene, del fante glorioso, dell’alpino, del bersagliere e via dicendo. Invece nemmeno la più modesta penna ha vergato una riga per ricordare l’opera del prete soldato”. Sono passati cento anni e nessuno lo ha ancora fatto. Non so se riuscirò a far ripubblicare il diario di don Lorenzini, però ci sto provando. Enrico Sciarini GUERNICA: un quadro in movimento
Il dipinto venne ospitato per molti anni al Museum of Modern Art di New York e tornò in patria a Madrid nel 1981 a otto anni dalla morte dell'autore e sei da quella di Francisco Franco, passando prima per il Casón del Buen Retiro (ovvero il Salone da ballo dell'antico Palazzo Reale), poi per il Museo del Prado, infine per il Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofía dal 1992. Quando tornò a Madrid al Cason del Buen Retiro, a pochi passi da Museo del Prado, due studiosi, Jose Maria Cabrera e Maria del Carmen Garrido, esaminarono la tela al microscopio. Scoprirono che era di iuta grezza e deliberatamente preparata con una tecnica antiquata per renderla più resistente agli spostamenti e rendere al quadro una luminosità da vetrata a piombo con qualità riflettenti simili al rivestimento posteriore di uno specchio. Durante gli anni '70 fu un simbolo per gli spagnoli sia della fine del regime franchista che del nazionalismo, così come lo era stato prima, per tutta l'Europa, della resistenza al nazionalsocialismo. |
UNA TORTA CON LA CILIEGIA
Siamo ritornati a casa e ogni tanto : vediamo i nipoti , le visite di controllo ci portano via molto tempo, il caldo di Milano è simile a quello che ben ricordiamo e con le novità meteorologiche che non s'avverano. Però, la nostra memoria ci aiuta ad accettare l'inevitabile e intanto ricordiamo la visita al santuario alla Beata Vergine Maria con le tante grazie disseminate alle pareti, che bella cosa la fede e l'amore. Un lago di Carezza da sogno, acqua a specchio con il gruppo del Latemar quasi perfettamente riflesso. Tanto che nelle mie foto ho sentito la necessità di riprendere anche una striscia dell'abetaia posta poco sopra il lago, senza questo confronto, poteva sembrare una foto rovesciata. Leggi tutto... |
MONTAGNES
MON AMOUR 2018 Di queste vacanze estive pienamente godute, la memoria ha scelto : “Pranzo al Passo Cauriol” ai 1600 m.s.l. che raggiungemmo tutti trasportati dai pulmini. La baita , ex stalla, era già predisposta per accogliere i quasi cento ospiti dell'albergo con un'organizzazione di larga esperienza. Nel fronte interno della baita antica, vi erano predisposti spazi e nomi per la distribuzione delle vivande. Mentre, per i commensali, i tavoli avevano già le indicazioni per i gruppi. Il nonno con l'insegna “ un uomo senza pancia è come un cielo senza stelle”... Leggi tutto... |
Da Madrid un reporter particolare…
Mi è stato chiesto di scrivere un breve articolo a commento del recente viaggio a Madrid ma, più che farvene un resoconto turistico, io desidero darvene le mie impressioni perché per me questa è stata la prima trasferta internazionale con i soci del nostro Movimento.
Alla fortuna di un viaggio senza grossi inconvenienti, di un volo tranquillo e di un tempo bellissimo, si è subito affiancata la certezza di poter godere di un’organizzazione perfetta: pullman all’altezza, guida competente e simpatica, albergo di livello, etc… Il tutto impreziosito dalla sicurezza di poter contare sulla continua presenza e assistenza dei due magnifici Eleonora e Costanzo. Ciononostante il ricco programma ed una non preventivabile alta temperatura, al sabato hanno messo a dura prova la nostra resistenza fisica facendo anche levare qualche lamento restato peraltro sempre nei limiti di un civile confronto d’opinioni.
Con un abbinato intervento, Eleonora ed io abbiamo cercato di rimotivare il gruppo sottolineando l’importanza del provare ad andar oltre i limiti fisici che ciascuno di noi si è abituato ad avere nella vita di tutti i giorni.
Il resto, specie per il gentil sesso, l’ha ottenuto la fisicità di un ballerino di flamenco il cui “spettacolo” ha chiuso la giornata.
Eleonora aveva comunque programmato per la domenica la possibilità di affiancare al programma (ancor più impegnativo di quello del sabato) anche un itinerario ridotto con possibilità di rientro in hotel anticipato.
Quando, all’uscita dal Reina Sofia, ho chiesto (non senza una certa apprensione) ad Eleonora quanti avessero scelto di tornare in hotel e lei mi ha risposto che anche chi le aveva preannunciato quest’intenzione aveva poi scelto di continuare a “restare in gruppo”, mi sono accorto d’avere gli occhi lucidi!
Ancora adesso non so quanto, in questo montare a valanga dei sentimenti, abbiano giocato le emozioni derivanti dal poter sostare davanti al Guernica e quanto invece dall’essermi reso conto della forza d’animo di persone che, nonostante l’età e gli acciacchi di ciascuno, mi avevano regalato un indimenticabile gesto di fiducia ascoltando ed accettando la mia richiesta e scoprendo, alla fine e con meravigliata gioia, d’aver coperto a piedi in poco più di due giorni una distanza superiore a quella della maratona olimpica (42,195 Km).
Amici, vi ho scritto nella mia presentazione d’aver accettato l’incarico alla presidenza del Movimento con una certa apprensione: oggi vi dico che sono fiero di voi e di essere il vostro presidente!
E Madrid? Sicuramente una bella città anche se non una vera “capitale”, almeno non come la intendo io: non ai livelli di Praga o di Vienna, per intenderci.
Ammirevoli per ospitalità e cortesia gli spagnoli: tutti i giovani ti cedono il posto a sedere sui mezzi pubblici e tutti gli automobilisti si fermano per far passare i pedoni sulle strisce.
E i ballerini di flamenco? No, grazie!
Antonio
Mi è stato chiesto di scrivere un breve articolo a commento del recente viaggio a Madrid ma, più che farvene un resoconto turistico, io desidero darvene le mie impressioni perché per me questa è stata la prima trasferta internazionale con i soci del nostro Movimento.
Alla fortuna di un viaggio senza grossi inconvenienti, di un volo tranquillo e di un tempo bellissimo, si è subito affiancata la certezza di poter godere di un’organizzazione perfetta: pullman all’altezza, guida competente e simpatica, albergo di livello, etc… Il tutto impreziosito dalla sicurezza di poter contare sulla continua presenza e assistenza dei due magnifici Eleonora e Costanzo. Ciononostante il ricco programma ed una non preventivabile alta temperatura, al sabato hanno messo a dura prova la nostra resistenza fisica facendo anche levare qualche lamento restato peraltro sempre nei limiti di un civile confronto d’opinioni.
Con un abbinato intervento, Eleonora ed io abbiamo cercato di rimotivare il gruppo sottolineando l’importanza del provare ad andar oltre i limiti fisici che ciascuno di noi si è abituato ad avere nella vita di tutti i giorni.
Il resto, specie per il gentil sesso, l’ha ottenuto la fisicità di un ballerino di flamenco il cui “spettacolo” ha chiuso la giornata.
Eleonora aveva comunque programmato per la domenica la possibilità di affiancare al programma (ancor più impegnativo di quello del sabato) anche un itinerario ridotto con possibilità di rientro in hotel anticipato.
Quando, all’uscita dal Reina Sofia, ho chiesto (non senza una certa apprensione) ad Eleonora quanti avessero scelto di tornare in hotel e lei mi ha risposto che anche chi le aveva preannunciato quest’intenzione aveva poi scelto di continuare a “restare in gruppo”, mi sono accorto d’avere gli occhi lucidi!
Ancora adesso non so quanto, in questo montare a valanga dei sentimenti, abbiano giocato le emozioni derivanti dal poter sostare davanti al Guernica e quanto invece dall’essermi reso conto della forza d’animo di persone che, nonostante l’età e gli acciacchi di ciascuno, mi avevano regalato un indimenticabile gesto di fiducia ascoltando ed accettando la mia richiesta e scoprendo, alla fine e con meravigliata gioia, d’aver coperto a piedi in poco più di due giorni una distanza superiore a quella della maratona olimpica (42,195 Km).
Amici, vi ho scritto nella mia presentazione d’aver accettato l’incarico alla presidenza del Movimento con una certa apprensione: oggi vi dico che sono fiero di voi e di essere il vostro presidente!
E Madrid? Sicuramente una bella città anche se non una vera “capitale”, almeno non come la intendo io: non ai livelli di Praga o di Vienna, per intenderci.
Ammirevoli per ospitalità e cortesia gli spagnoli: tutti i giovani ti cedono il posto a sedere sui mezzi pubblici e tutti gli automobilisti si fermano per far passare i pedoni sulle strisce.
E i ballerini di flamenco? No, grazie!
Antonio
Un racconto di storia realmente accaduta, drammatica e poetica
MILANO BRUCIA
Lisa faceva i compiti sul tavolo di cucina di sua madre. Era il posto che le piaceva di più, sempre caldo e odoroso di buono, lo stesso tavolo attorno al quale le donne di casa si radunavano per tirare la sfoglia o ricamare, chiacchierando. era la fine di ottobre e la prima media appena iniziata. La sua amica preferita, compagna di banco fin dalle Elementari, la guardava speranzosa di un aiuto per gli esercizi di grammatica, dimenandosi sulla sedia e sgranocchiando i biscotti che nella scatola di latta sulla piattaia non mancavano mai. Le sirene la tolsero dall’impaccio. “Sarà di sicuro un’altra esercitazione”.
Mormorò la mamma, “Andiamo bambine vestitevi che usciamo”. Il rifugio era stato allestito nelle cantine del palazzo, appena rinforzate da qualche colonna in cemento armato a sostegno delle volte in mattoni. Il capofabbricato portava tutti giù e poi si aspettava buoni buoni il cessato allarme. Mamma raccontava storie bellissime, per passare un po’ di tempo, piene di principesse, fate e maghi, e finiva che tutti, facendo finta di niente, stavano incantati ad ascoltarla. In realtà nessuno era veramente ad affrontare ciò ciò che stava accadendo. Ma quando Lisa uscì in strada vide la pancia degli aerei sulla loro testa. Un uomo vestito di grigio prese le due ragazzine per il braccio e le spinse con forza verso l’ingresso del rifugio antiaereo, già pieno di gente, soprattutto donne e bambini, perchè gli uomini , come il suo papà, a quell’ora erano al lavoro negli uffici, nei negozi, nelle fabbriche. Qualcuno si era portato una coperta, ma non faceva freddo, forse sarebbe stato meglio qualche bottiglia d’acqua. Fecero appena in tempo a sedersi per terra , strette sotto la mantellina ad uncinetto della mamma quando iniziarono i sibili e poi le esplosioni. Le bambine erano terrorizzate, il rumore le faceva sobbalzare e gridare, anche se la mamma cercava di tenerle calme. Un ragazzino appena più grande di loro le prendeva in giro: “Sono i fischi a far paura, se sentite lo scoppio e siete ancora vive è perchè la bomba è caduta lontano.” Le donne iniziarono a pregare, un’Avemaria dietro l’altra. Dopo una breve pausa, tutto incominciò più assordante di prima e il rifugio si riempì di cenere e fumo. Dovevano uscire o sarebbero morti tutti, soffocati. Un uomo prese un tubo di ferro e strappò le inferriate della finestrella della cantina. Il palazzo ondeggiò come durante il terremoto. “Fuori tutti, prima i bambini ! Vieni, Lisa !”. Due braccia forti la presero per la vita e Lisa, leggera come in un sogno, fu alzata e pressata fuori, in strada. Lisa uscì a respirare e per un momento non vide nulla, accecata dalla polvere dei calcinacci e dalle lacrime. Poi guardò in alto. Gli occhi sbarrati della bambina fissarono a lungo il cielo rosso sangue che avvolgeva Milano. Ciò che era rimasto delle case nella cerchia dei Navigli era in fiamme e gli uomini, arrampicati sui tetti, staccavano con le mani dalle tegole gli spezzoni incendiari e li gettavano in strada. Il fuoco aveva colpito il cuore della città, la popolazione più indifesa. Le scintille volavano verso l’alto, disegnando un nuovo ignobile firmamento contro il cielo, e ricadevano sulle spalle di chi correva a portare soccorsi ai meno fortunati. Girò la testa in un tempo infinitamente rallentato, la faccia sporca, le trecce sfatte. Sembrava ancora più piccola e magra, tanto era pallida. L’incendio era orrendo e, tuttavia, affascinante, le fiamme altissime avevano sfumature vermiglie e porpora e Lisa non avrebbe più scordato le urla, il fumo, il calore come non avrebbe più potuto sopportare i fragorosi scoppi di un violento temporale o dei giochi pirotecnici. Lisa prese il respiro più profondo che poteva e, volgendosi indietro, guardò in su, verso casa sua. La parete esterna della cucina era crollata, la casa aperta come la casa delle bambole, i quadri ancora appesi, ma il pavimento e i mobili non c’erano più, rotolati in strada tra le macerie. Neanche il suo tavolo preferito, neanche i suoi compiti di scuola. Alcuni ragazzi le si avvicinarono. Qualcuno osò un bacio sulla guancia.
Raccolto da Lauris Zanussi
MILANO BRUCIA
Lisa faceva i compiti sul tavolo di cucina di sua madre. Era il posto che le piaceva di più, sempre caldo e odoroso di buono, lo stesso tavolo attorno al quale le donne di casa si radunavano per tirare la sfoglia o ricamare, chiacchierando. era la fine di ottobre e la prima media appena iniziata. La sua amica preferita, compagna di banco fin dalle Elementari, la guardava speranzosa di un aiuto per gli esercizi di grammatica, dimenandosi sulla sedia e sgranocchiando i biscotti che nella scatola di latta sulla piattaia non mancavano mai. Le sirene la tolsero dall’impaccio. “Sarà di sicuro un’altra esercitazione”.
Mormorò la mamma, “Andiamo bambine vestitevi che usciamo”. Il rifugio era stato allestito nelle cantine del palazzo, appena rinforzate da qualche colonna in cemento armato a sostegno delle volte in mattoni. Il capofabbricato portava tutti giù e poi si aspettava buoni buoni il cessato allarme. Mamma raccontava storie bellissime, per passare un po’ di tempo, piene di principesse, fate e maghi, e finiva che tutti, facendo finta di niente, stavano incantati ad ascoltarla. In realtà nessuno era veramente ad affrontare ciò ciò che stava accadendo. Ma quando Lisa uscì in strada vide la pancia degli aerei sulla loro testa. Un uomo vestito di grigio prese le due ragazzine per il braccio e le spinse con forza verso l’ingresso del rifugio antiaereo, già pieno di gente, soprattutto donne e bambini, perchè gli uomini , come il suo papà, a quell’ora erano al lavoro negli uffici, nei negozi, nelle fabbriche. Qualcuno si era portato una coperta, ma non faceva freddo, forse sarebbe stato meglio qualche bottiglia d’acqua. Fecero appena in tempo a sedersi per terra , strette sotto la mantellina ad uncinetto della mamma quando iniziarono i sibili e poi le esplosioni. Le bambine erano terrorizzate, il rumore le faceva sobbalzare e gridare, anche se la mamma cercava di tenerle calme. Un ragazzino appena più grande di loro le prendeva in giro: “Sono i fischi a far paura, se sentite lo scoppio e siete ancora vive è perchè la bomba è caduta lontano.” Le donne iniziarono a pregare, un’Avemaria dietro l’altra. Dopo una breve pausa, tutto incominciò più assordante di prima e il rifugio si riempì di cenere e fumo. Dovevano uscire o sarebbero morti tutti, soffocati. Un uomo prese un tubo di ferro e strappò le inferriate della finestrella della cantina. Il palazzo ondeggiò come durante il terremoto. “Fuori tutti, prima i bambini ! Vieni, Lisa !”. Due braccia forti la presero per la vita e Lisa, leggera come in un sogno, fu alzata e pressata fuori, in strada. Lisa uscì a respirare e per un momento non vide nulla, accecata dalla polvere dei calcinacci e dalle lacrime. Poi guardò in alto. Gli occhi sbarrati della bambina fissarono a lungo il cielo rosso sangue che avvolgeva Milano. Ciò che era rimasto delle case nella cerchia dei Navigli era in fiamme e gli uomini, arrampicati sui tetti, staccavano con le mani dalle tegole gli spezzoni incendiari e li gettavano in strada. Il fuoco aveva colpito il cuore della città, la popolazione più indifesa. Le scintille volavano verso l’alto, disegnando un nuovo ignobile firmamento contro il cielo, e ricadevano sulle spalle di chi correva a portare soccorsi ai meno fortunati. Girò la testa in un tempo infinitamente rallentato, la faccia sporca, le trecce sfatte. Sembrava ancora più piccola e magra, tanto era pallida. L’incendio era orrendo e, tuttavia, affascinante, le fiamme altissime avevano sfumature vermiglie e porpora e Lisa non avrebbe più scordato le urla, il fumo, il calore come non avrebbe più potuto sopportare i fragorosi scoppi di un violento temporale o dei giochi pirotecnici. Lisa prese il respiro più profondo che poteva e, volgendosi indietro, guardò in su, verso casa sua. La parete esterna della cucina era crollata, la casa aperta come la casa delle bambole, i quadri ancora appesi, ma il pavimento e i mobili non c’erano più, rotolati in strada tra le macerie. Neanche il suo tavolo preferito, neanche i suoi compiti di scuola. Alcuni ragazzi le si avvicinarono. Qualcuno osò un bacio sulla guancia.
Raccolto da Lauris Zanussi
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