Articoli del giornalino settembre/ottobre 2019
LA RASSEGNA STAMPA DEL VENERDI
Colgo volentieri l’invito del Presidente Dallera per contribuire alla redazione del nostro “giornalino” con un “articolo di fondo “un po’ più politico (nel senso della polis) rispetto alle frequenti ed apprezzate notizie sulle iniziative di cultura e svago promosse dal “Movimento Terza Età” di Segrate, Come molti di voi sanno, il venerdì mattina presso il “Centro Verdi” di Segrate un gruppo di volenterosi, coordinati dal sottoscritto e da Enrico Sciarini, si riunisce per commentare titoli e contenuti dei principali giornali pubblicati durante la settimana. Quotidiani di varia tendenza: dal Corriere della Sera a Repubblica, da Libero al Fatto Quotidiano. L’incontro non è solo espositivo, ma caratterizzato dalla partecipazione attiva dei presenti, con commenti, obiezioni e richiami a notizie “dimenticate”. Rispetto ai “Talk- show” televisivi e alle notizie sparse sui vari “social-networks”, il contenuto dei quotidiani è più ricco di fatti concreti e più moderato nelle opinioni espresse dai principali editorialisti. Direi anche più colto e certamente più rispettoso di grammatica e sintassi. È anche vero, peraltro, che di questi tempi la politica e, soprattutto, i politici che la esprimono non sono molto popolari. C’è molta rabbia in giro e molti problemi restano irrisolti: decrescita economica, immigrazione, tasse, per citarne alcuni. Leggi tutto... |
Per la nuova rubrica
TE SE RICORDET I TEMP INDRE’ …
presentiamo :
Paul, Justin e Mussolini
Primi anni settanta.
Paul e Justin erano due ragazzi di colore, venivano dallo Zaire ed erano a Milano per frequentare l’Università.
“Facciamo Veterinaria e Agraria per essere utili al nostro paese, vogliamo insegnare alla nostra gente ad allevare gli animali e a coltivare la terra per non morire di fame e di sete.”
Quando erano arrivati conoscevano solo poche parole di italiano essenziali per sopravvivere ma avevano imparato in fretta la nostra lingua.
Una sera li portammo con noi alla Festa dell’Unità di un paesino della bergamasca e, appena scesi dalla macchina, alcuni anziani che avevano fatto la campagna d’Africa, vedendo i due ragazzi di colore, si avvicinarono per manifestare la loro amicizia.
“Io amico di popolo negro, io stato Africa. Uomo negro mio amico. Tu e tuoi amici bere con amico bianco, io pagare.”
Cercammo di dire ai vecchietti che i due non capivano la lingua italiana ma non c’era verso, loro continuavano con il loro linguaggio da “Io uomo bianco, tu uomo nero, venire in pace.”
Il sindaco del paese, un capopopolo che comandava tutti a bacchetta, ci invitò a tornare anche le sere seguenti come ospiti della manifestazione, naturalmente pasti e bevande compresi.
Ogni sera le stesse manifestazioni di simpatia e noi ce la tiravamo un po’ raccontando un sacco di balle per stupirli.
Per la serata finale dell’evento il programma prevedeva il comizio di un pezzo grosso del partito e ad accoglierlo c’era una batteria di bandiere rosse provenienti dai paesi della zona e qualche sindaco con tanto di fascia tricolore.
Sul piccolo palco c’erano gli organizzatori, Sindaco compreso, schierati per accogliere l’ospite d’onore che avrebbe portato il suo verbo quando, inaspettatamente, lo speaker ebbe una brillante idea.
“Prima del discorso del compagno Onorevole, cedo la parola ai nostri fratelli negri dell’Africa che ci porteranno il saluto della loro terra.”
Paul e Justin stupiti ci chiesero cosa avrebbero potuto dire e noi suggerimmo loro di inventarsi qualcosa sull’amicizia del loro paese verso l’Italia e di essere brevi onde evitare di dire qualche sproposito.
Purtroppo non sapevamo che al loro paese, per imparare la nostra lingua, avevano letto vecchi libri e riviste italiane del ventennio che parlavano con enfasi delle opere nelle “Colonie d’oltremare”.
Paul prese la parola.
“Grazie per l’onore, non ci aspettavamo questo invito e non abbiamo preparato un discorso, quindi quello che posso testimoniare è la grande amicizia dei popoli africani per l’Italia e per il popolo italiano e ringraziarvi per tutto quello che l’Italia ha fatto nel nostro continente. All’epoca io e Justin non eravamo ancora nati ma abbiamo sentito dire molte volte dai grandi del nostro villaggio e letto sui libri di storia che gli italiani, in alcune regioni dell’Africa, hanno costruito ferrovie, strade, scuole, ospedali e acquedotti portando civiltà. Tutto questo grazie all’opera di Benito Mussolini. Viva l’Italia, viva Benito Mussolini!”
Inizialmente tutti avevano ascoltato in silenzio la parola del “fratello negro” ma, quando Paul aveva cominciato l’elenco delle “opere che l’Italia ha fatto in Africa”, i capi del partito, intuendo dove sarebbe andato a finire, avevano cominciato ad agitarsi nervosamente mentre noi cercavamo di fingerci distratti e di non ascoltare.
Quando infine Paul gridò a gran voce “Viva l’Italia, viva Benito Mussolini!” alcuni cercarono di salire sul palco per aggredire i due aggiungendo anche qualche pesante “complimento”.
Per fortuna vennero subito bloccati dal servizio d’ordine.
Paul e Justin, scaraventati giù dal palco, si presero qualche pacca tutt’altro che amichevole e che il servizio d’ordine non riuscì a evitare, si infilarono nella nostra macchina dove noi ci eravamo già rifugiati sperando ci raggiungessero in fretta e, incolumi e inseguiti da un gruppetto di scalmanati urlanti e minacciosi, riuscimmo a scappare.
Quando arrivammo al nostro bar, finalmente al sicuro, la sorprendente meraviglia di Paul.
“Mi avete detto di parlare bene dell’Italia e io l’ho fatto, non ho capito perché si sono arrabbiati così tanto. Guardate che voi italiani siete proprio un popolo strano.”
Gli spiegammo che quei libri erano molto vecchi, che il fascismo in Italia era fuori legge dalla fine della guerra ma non riuscimmo a fargli cambiare opinione sulla stranezza degli italiani..
Paolo
TE SE RICORDET I TEMP INDRE’ …
presentiamo :
Paul, Justin e Mussolini
Primi anni settanta.
Paul e Justin erano due ragazzi di colore, venivano dallo Zaire ed erano a Milano per frequentare l’Università.
“Facciamo Veterinaria e Agraria per essere utili al nostro paese, vogliamo insegnare alla nostra gente ad allevare gli animali e a coltivare la terra per non morire di fame e di sete.”
Quando erano arrivati conoscevano solo poche parole di italiano essenziali per sopravvivere ma avevano imparato in fretta la nostra lingua.
Una sera li portammo con noi alla Festa dell’Unità di un paesino della bergamasca e, appena scesi dalla macchina, alcuni anziani che avevano fatto la campagna d’Africa, vedendo i due ragazzi di colore, si avvicinarono per manifestare la loro amicizia.
“Io amico di popolo negro, io stato Africa. Uomo negro mio amico. Tu e tuoi amici bere con amico bianco, io pagare.”
Cercammo di dire ai vecchietti che i due non capivano la lingua italiana ma non c’era verso, loro continuavano con il loro linguaggio da “Io uomo bianco, tu uomo nero, venire in pace.”
Il sindaco del paese, un capopopolo che comandava tutti a bacchetta, ci invitò a tornare anche le sere seguenti come ospiti della manifestazione, naturalmente pasti e bevande compresi.
Ogni sera le stesse manifestazioni di simpatia e noi ce la tiravamo un po’ raccontando un sacco di balle per stupirli.
Per la serata finale dell’evento il programma prevedeva il comizio di un pezzo grosso del partito e ad accoglierlo c’era una batteria di bandiere rosse provenienti dai paesi della zona e qualche sindaco con tanto di fascia tricolore.
Sul piccolo palco c’erano gli organizzatori, Sindaco compreso, schierati per accogliere l’ospite d’onore che avrebbe portato il suo verbo quando, inaspettatamente, lo speaker ebbe una brillante idea.
“Prima del discorso del compagno Onorevole, cedo la parola ai nostri fratelli negri dell’Africa che ci porteranno il saluto della loro terra.”
Paul e Justin stupiti ci chiesero cosa avrebbero potuto dire e noi suggerimmo loro di inventarsi qualcosa sull’amicizia del loro paese verso l’Italia e di essere brevi onde evitare di dire qualche sproposito.
Purtroppo non sapevamo che al loro paese, per imparare la nostra lingua, avevano letto vecchi libri e riviste italiane del ventennio che parlavano con enfasi delle opere nelle “Colonie d’oltremare”.
Paul prese la parola.
“Grazie per l’onore, non ci aspettavamo questo invito e non abbiamo preparato un discorso, quindi quello che posso testimoniare è la grande amicizia dei popoli africani per l’Italia e per il popolo italiano e ringraziarvi per tutto quello che l’Italia ha fatto nel nostro continente. All’epoca io e Justin non eravamo ancora nati ma abbiamo sentito dire molte volte dai grandi del nostro villaggio e letto sui libri di storia che gli italiani, in alcune regioni dell’Africa, hanno costruito ferrovie, strade, scuole, ospedali e acquedotti portando civiltà. Tutto questo grazie all’opera di Benito Mussolini. Viva l’Italia, viva Benito Mussolini!”
Inizialmente tutti avevano ascoltato in silenzio la parola del “fratello negro” ma, quando Paul aveva cominciato l’elenco delle “opere che l’Italia ha fatto in Africa”, i capi del partito, intuendo dove sarebbe andato a finire, avevano cominciato ad agitarsi nervosamente mentre noi cercavamo di fingerci distratti e di non ascoltare.
Quando infine Paul gridò a gran voce “Viva l’Italia, viva Benito Mussolini!” alcuni cercarono di salire sul palco per aggredire i due aggiungendo anche qualche pesante “complimento”.
Per fortuna vennero subito bloccati dal servizio d’ordine.
Paul e Justin, scaraventati giù dal palco, si presero qualche pacca tutt’altro che amichevole e che il servizio d’ordine non riuscì a evitare, si infilarono nella nostra macchina dove noi ci eravamo già rifugiati sperando ci raggiungessero in fretta e, incolumi e inseguiti da un gruppetto di scalmanati urlanti e minacciosi, riuscimmo a scappare.
Quando arrivammo al nostro bar, finalmente al sicuro, la sorprendente meraviglia di Paul.
“Mi avete detto di parlare bene dell’Italia e io l’ho fatto, non ho capito perché si sono arrabbiati così tanto. Guardate che voi italiani siete proprio un popolo strano.”
Gli spiegammo che quei libri erano molto vecchi, che il fascismo in Italia era fuori legge dalla fine della guerra ma non riuscimmo a fargli cambiare opinione sulla stranezza degli italiani..
Paolo
PADOVA E VILLE VENETE
Prima parte
La tre giorni di maggio 2019 è stata un’interessante e gradevolissima carrellata sul ‘600 – ‘700 veneto di artisti eccelsi quali il Palladio, Canova, Tiepolo e altri.
L' esordio è stato la visita alla Gypsoteca di Possagno, paese natale del Canova.
In una grande struttura, voluta dal fratellastro vescovo Sartori, sono esposte moltissime opere in gesso che costituiscono i “bozzetti" per le realizzazioni marmoree neoclassiche che tutti ben conosciamo.
La curiosità che molti non sapevano erano i vari passaggi compiuti per ottenere l'opera definitiva: prima il modellino in terracotta e poi quello, a grandezza naturale e vuoto, in cui veniva colato il gesso e che, aperto a metà, schiudeva alla vista l'opera in cui venivano infilati innumerevoli chiodini che servivano come punti di riferimento per utilizzare il pantografo e riprodurne le proporzioni (perché col marmo non si può sbagliare!).
Ogni statua poteva richiedere fino a 6-7 anni di lavoro.
Famosissima quella delle Tre Grazie, diventata monumento funebre di Giuseppina Beauharnais, prima moglie di Napoleone, che rappresentavano bellezza, intelligenza e maternità.
Arrivati a Padova, abbiamo visitato l'orto botanico che, fondato nel 1545 (il più antico al mondo), copre due ettari di terreno coltivato nei modi più svariati: interessanti le piante medicinali (di cui alcune velenosissime) e l' introduzione, per la prima volta in Europa, della patata importata dalle Americhe.
Altro gioiello rinascimentale è l'Università del Bò ( che in dialetto significa bue ) e che deriva dal latino “hospicium bovis": stalle, praticamente.
In quella sede “impropria" prese forma, nel 1222, la seconda università al mondo, dopo quella di Bologna.
In un clima di “autogestione" studentesca non erano necessarie le credenziali cattoliche che la Chiesa solitamente richiedeva.
Libero pensiero era la parola d' ordine di quell' ateneo.
Ogni studente poteva aspirare a diventare rettore e in seguito esporvi il proprio stemma.
Le cattedre di giurisprudenza e medicina ebbero docenti fra i più illustri di quei tempi: uno su tutti Galileo Galilei che, pur essendo un fisico e astronomo, vi insegnò ed ebbe una personale cattedra, tuttora visibile, dando lustro all' Università stessa.
Nella sala di medicina, suddivisa in cucina e teatro anatomici, sin dagli inizi del ‘ 300 Pietro Abano vi effettuava le prime autopsie.
A volte nella cucina venivano bolliti i cadaveri, per recuperarne lo scheletro e i crani di precedenti colleghi venivano riesumati, repertati e studiati.
Un'orchestra di violini “allietava” le disgustose operazioni.
Nel teatro, gli studenti del primo corso, erano riparati da più alte balaustre, per impedirne la caduta a seguito di ovvii svenimenti.
In questa sede, nel 1678, si laureò in filosofia (perché non le fu concesso in Teologia ) la prima donna al mondo: una nobile veneziana che conosceva perfettamente sei lingue, fra le quali
l' ebraico.
Elisa
Prima parte
La tre giorni di maggio 2019 è stata un’interessante e gradevolissima carrellata sul ‘600 – ‘700 veneto di artisti eccelsi quali il Palladio, Canova, Tiepolo e altri.
L' esordio è stato la visita alla Gypsoteca di Possagno, paese natale del Canova.
In una grande struttura, voluta dal fratellastro vescovo Sartori, sono esposte moltissime opere in gesso che costituiscono i “bozzetti" per le realizzazioni marmoree neoclassiche che tutti ben conosciamo.
La curiosità che molti non sapevano erano i vari passaggi compiuti per ottenere l'opera definitiva: prima il modellino in terracotta e poi quello, a grandezza naturale e vuoto, in cui veniva colato il gesso e che, aperto a metà, schiudeva alla vista l'opera in cui venivano infilati innumerevoli chiodini che servivano come punti di riferimento per utilizzare il pantografo e riprodurne le proporzioni (perché col marmo non si può sbagliare!).
Ogni statua poteva richiedere fino a 6-7 anni di lavoro.
Famosissima quella delle Tre Grazie, diventata monumento funebre di Giuseppina Beauharnais, prima moglie di Napoleone, che rappresentavano bellezza, intelligenza e maternità.
Arrivati a Padova, abbiamo visitato l'orto botanico che, fondato nel 1545 (il più antico al mondo), copre due ettari di terreno coltivato nei modi più svariati: interessanti le piante medicinali (di cui alcune velenosissime) e l' introduzione, per la prima volta in Europa, della patata importata dalle Americhe.
Altro gioiello rinascimentale è l'Università del Bò ( che in dialetto significa bue ) e che deriva dal latino “hospicium bovis": stalle, praticamente.
In quella sede “impropria" prese forma, nel 1222, la seconda università al mondo, dopo quella di Bologna.
In un clima di “autogestione" studentesca non erano necessarie le credenziali cattoliche che la Chiesa solitamente richiedeva.
Libero pensiero era la parola d' ordine di quell' ateneo.
Ogni studente poteva aspirare a diventare rettore e in seguito esporvi il proprio stemma.
Le cattedre di giurisprudenza e medicina ebbero docenti fra i più illustri di quei tempi: uno su tutti Galileo Galilei che, pur essendo un fisico e astronomo, vi insegnò ed ebbe una personale cattedra, tuttora visibile, dando lustro all' Università stessa.
Nella sala di medicina, suddivisa in cucina e teatro anatomici, sin dagli inizi del ‘ 300 Pietro Abano vi effettuava le prime autopsie.
A volte nella cucina venivano bolliti i cadaveri, per recuperarne lo scheletro e i crani di precedenti colleghi venivano riesumati, repertati e studiati.
Un'orchestra di violini “allietava” le disgustose operazioni.
Nel teatro, gli studenti del primo corso, erano riparati da più alte balaustre, per impedirne la caduta a seguito di ovvii svenimenti.
In questa sede, nel 1678, si laureò in filosofia (perché non le fu concesso in Teologia ) la prima donna al mondo: una nobile veneziana che conosceva perfettamente sei lingue, fra le quali
l' ebraico.
Elisa
MARIA NELL’ ARTE E NELLA POESIA
Un pomeriggio di maggio per meditare in modo insolito su Maria ce lo ha proposto Isabella Bertario.
Ci ha presentato i momenti più significativi della vita della Vergine attraverso le opere che molti e grandi artisti le hanno dedicato, da Giotto a Piero della Francesca, da Bellini a Raffaello e Caravaggio..
Abbiamo visto la rappresentazione della nascita e dell’educazione di Maria, l’Annunciazione, lo Sposalizio, non le tante Natività ben note, ma la Madonna del parto di Piero della Francesca, alta e solenne con la sua veste aperta verso l’umanità, come madre di Gesù ma anche nostra.
Poi Maria sotto la Croce, la Pietà, la “Dormitio Virginis “o “Transitus” perché per Maria si è preferito parlare, secondo un’antica tradizione, non di morte ma di passaggio al cielo.
Questi artisti hanno trovato spesso l’ispirazione in vari passi dei Vangeli apocrifi, nella Legenda Aurea (testo della fine del ‘200) e nell’ Apocalisse.
Isabella ci ha fatto notare alcuni fra i particolari più narrativi e curiosi, come nella nascita o nell’educazione della Vergine, ma ha sottolineato come anche la naturalezza dei gesti quotidiani sia arricchita da simboli mariani come la rosa senza spine, il giglio, la conchiglia o l’immagine del giardino chiuso nell’ Annunciazione del Beato Angelico.
Sono tutti simboli che indicano la purezza di Maria ma forse non avevamo mai pensato che la corona delle dodici stelle che fanno parte dell’iconografia della Immacolata Concezione, si ritrovino anche nella bandiera dell’ Europa, sottolineandone così le sue, non sempre riconosciute, radici cristiane.
Nel susseguirsi dei dipinti, tutti di altissima qualità, abbiamo percepito come molto forte e significativo il contrasto tra le figure della Vergine bella, giovane, snella, dalle mani affusolate, congiunte sul petto di Masolino o del Beato Angelico, e il viso stanco, invecchiato, segnato dal dolore di madre, nella Pietà di Giovanni Bellini.
La presentazione è stata accompagnata dalla lettura di passi di Erri de Luca, di versi di una poetessa dalla vita complessa e tormentata come Alda Merini e chiusa dalla bellissima preghiera che Dante fa pronunciare a San Bernardo nel Paradiso e che nella contrapposizione dei termini fa capire la grandezza di Maria e la sua importanza nella Chiesa:
“Vergine e madre, figlia del tuo figlio,
umile ed alta più che creatura
termine fisso d’etterno consiglio……”
Laura Re
Un pomeriggio di maggio per meditare in modo insolito su Maria ce lo ha proposto Isabella Bertario.
Ci ha presentato i momenti più significativi della vita della Vergine attraverso le opere che molti e grandi artisti le hanno dedicato, da Giotto a Piero della Francesca, da Bellini a Raffaello e Caravaggio..
Abbiamo visto la rappresentazione della nascita e dell’educazione di Maria, l’Annunciazione, lo Sposalizio, non le tante Natività ben note, ma la Madonna del parto di Piero della Francesca, alta e solenne con la sua veste aperta verso l’umanità, come madre di Gesù ma anche nostra.
Poi Maria sotto la Croce, la Pietà, la “Dormitio Virginis “o “Transitus” perché per Maria si è preferito parlare, secondo un’antica tradizione, non di morte ma di passaggio al cielo.
Questi artisti hanno trovato spesso l’ispirazione in vari passi dei Vangeli apocrifi, nella Legenda Aurea (testo della fine del ‘200) e nell’ Apocalisse.
Isabella ci ha fatto notare alcuni fra i particolari più narrativi e curiosi, come nella nascita o nell’educazione della Vergine, ma ha sottolineato come anche la naturalezza dei gesti quotidiani sia arricchita da simboli mariani come la rosa senza spine, il giglio, la conchiglia o l’immagine del giardino chiuso nell’ Annunciazione del Beato Angelico.
Sono tutti simboli che indicano la purezza di Maria ma forse non avevamo mai pensato che la corona delle dodici stelle che fanno parte dell’iconografia della Immacolata Concezione, si ritrovino anche nella bandiera dell’ Europa, sottolineandone così le sue, non sempre riconosciute, radici cristiane.
Nel susseguirsi dei dipinti, tutti di altissima qualità, abbiamo percepito come molto forte e significativo il contrasto tra le figure della Vergine bella, giovane, snella, dalle mani affusolate, congiunte sul petto di Masolino o del Beato Angelico, e il viso stanco, invecchiato, segnato dal dolore di madre, nella Pietà di Giovanni Bellini.
La presentazione è stata accompagnata dalla lettura di passi di Erri de Luca, di versi di una poetessa dalla vita complessa e tormentata come Alda Merini e chiusa dalla bellissima preghiera che Dante fa pronunciare a San Bernardo nel Paradiso e che nella contrapposizione dei termini fa capire la grandezza di Maria e la sua importanza nella Chiesa:
“Vergine e madre, figlia del tuo figlio,
umile ed alta più che creatura
termine fisso d’etterno consiglio……”
Laura Re
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