Articoli del giornalino gennaio/febbraio 2020
IMPARIAMO A LEGGERE
Sono giunti i giorni freddi, sovente uggiosi e, senza doverlo decidere, restiamo di più in casa, magari come me accanto a un cammino acceso, passando ore a leggere e a pensare. Imparare a pensare significa infatti anche imparare a leggere: leggere il mondo, le situazioni, gli eventi, ciò che “sta scritto” perché altri lo hanno messo “nero su bianco”. Non a caso i medievali facevano derivare la parola latina “intellegere” – letteralmente “capire” – da intus legere, “leggere dal di dentro”. Leggere è sempre cercare di interrogare e di interpretare: per fare questo occorre ritirarsi dal “commercio” che ci attornia, dimenticare ciò che è presente ai nostri sensi e concentrarci su ciò che vogliamo leggere. Leggere è dunque fissare gli occhi e l’attenzione su dei segni scritti, su un susseguirsi di spazi bianchi e di tratti d’inchiostro disposti ordinatamente sulla superficie di una pagina, fino a uscire quasi da noi stessi (o a scendere nelle nostre profondità…) per immergerci nello scritto. Per leggere serve solo trovare del tempo, saper possedere e ordinare il tempo, cessando di dire: “Non ho tempo!”, e serve un libro al quale dedicare attenzione. Anche in mezzo alla folla, in treno, in autobus, questa operazione rimane possibile e il “lettore” diviene, per chi lo osserva, come un’icona di interiorità, un’immagine di raccoglimento, un’allusione al viaggio della mente. La lettura, di fatto, è una conversazione, un dialogo con chi è assente può essere lontano mille miglia nel tempo e nello spazio: è un ricevere la parola di un altro e farla propria, interpretandola nel dialogo della propria intimità. Sant’Agostino paragonava la Scrittura a uno specchio che rivela il lettore a se stesso, Gregorio Magno parlava della “Scrittura che cresce insieme al lettore” e Marcel Proust, al termine della sua monumentale opera Alla ricerca del tempo perduto, le apriva nuovi orizzonti, ancor più sconfinati, asserendo che i suoi lettori sarebbero stati “lettori di se stessi”, in quanto il suo libro era solo il mezzo offerto loro perché leggessero dentro se stessi. Sì, anche e soprattutto nella nostra società dell’immagine, leggere resta operazione di grande umanizzazione: è una resistenza alla dittatura dell’informazione istantanea, è un viaggio intrapreso con le parole dell’altro, un cammino per edificare la propria interiorità, per imparare e affermare la libertà, per mangiare e bere la parola, cioè per nutrirsi! Certo, quando la barbarie avanza, si mostra innanzitutto tale proprio per l’ostilità verso il leggere, fino alla distruzione dei libri, al rogo delle biblioteche. Non dimentichiamo il monito di Heinrich Heine: “Dove si danno alle fiamme i libri, si finisce per bruciare anche gli uomini!”. Tratto da uno scritto di Padre Enzo Bianchi della Comunità di Bose |

BUON NATALE!
Buon Natale a chi ama dormire ma si sveglia di buon umore;
a chi beve il caffè ma non diventa nervoso;
a chi si saluta ancora con un bacio;
a chi lavora molto e si diverte di più;
a chi va di fretta in auto ma non suona ai semafori;
a chi arriva in ritardo ma non cerca scuse;
a chi spegne il televisore per parlare in famiglia;
a chi è felice il doppio quando fa a metà;
a chi conserva l’entusiasmo di un bambino ma ha pensieri da uomo;
a chi vede nero soltanto quando è buio;
a chi torna ogni anno con stupore e gratitudine alla grotta di Betlemme;
a chi non aspetta il Natale per essere più buono.
Buon Natale a tutti voi da Fernanda
Buon Natale a chi ama dormire ma si sveglia di buon umore;
a chi beve il caffè ma non diventa nervoso;
a chi si saluta ancora con un bacio;
a chi lavora molto e si diverte di più;
a chi va di fretta in auto ma non suona ai semafori;
a chi arriva in ritardo ma non cerca scuse;
a chi spegne il televisore per parlare in famiglia;
a chi è felice il doppio quando fa a metà;
a chi conserva l’entusiasmo di un bambino ma ha pensieri da uomo;
a chi vede nero soltanto quando è buio;
a chi torna ogni anno con stupore e gratitudine alla grotta di Betlemme;
a chi non aspetta il Natale per essere più buono.
Buon Natale a tutti voi da Fernanda

Nuove povertà
Il 23 novembre scorso si è tenuto a Milano un convegno sul tema “Nuove povertà, prospettive del volontariato nel tempo delle emergenze”.
Con il patrocinio del comune di Milano, il convegno è stato organizzato da quattro associazioni di volontariato tra le quali l’AVO di Milano e si è svolto nella prestigiosa sala del Belvedere Jannacci all’ultimo piano del grattacielo Pirelli.
Scopo dichiarato è stato quello di “individuare le vittime di disuguaglianze e povertà come potenziali risorse che disegnino l’intervento del volontariato”.
In altre parole, far sì che siano gli stessi poveri e gli emarginati a collaborare con le associazioni di volontariato.
Erano presenti un centinaio di volontari di svariate associazioni e provenienze.
Dopo il benvenuto della signora Clotilde Camerata, Presidente dell’Associazione Fondatori di una Nuova Cultura per il Volontariato, sono seguite una decina di relazioni tra le quali sono state rimarchevoli quelle del professor Andrea Volterrani (sociologo dell’Università di Roma Tor Vergata) e quella del dottor Alfredo Anzani (presidente del Comitato Etico dell’Ospedale San Raffaele).
Nel Suo intervento, il professor Volterrani ha affermato che non basta aiutare, si deve anche affiancare e far partecipare i poveri per dare voce a chi ancora non ce l’ha, senza avere paura di relazionare con loro.
Per essere sicuro di aver ben compreso le sue parole, la sera stessa inviai una mail al professor Volterrani chiedendogli se avesse inteso dire che: “Nel volontariato ci sarà un vero cambiamento quando si saprà far partecipare anche i poveri.”
Poche ore dopo ho ricevuto la seguente risposta: “… la sua interpretazione è corretta. Solo quando tutti (compresi i poveri e gli marginati) potranno partecipare consapevolmente, avremo un cambiamento. Anche ai convegni.”
Nel suo intervento il professor Anzani ha affermato che anche la malattia è una povertà e ha avanzato critiche all’industria farmaceutica, ai nuovi sacerdoti (della pubblicità) che ci imboniscono, all’economia mondiale da rifondare e al consumismo.
Ha inoltre detto che “povertà e mancanza di cultura si legano” e che “i diritti dei deboli non sono deboli”.
Dopo tali forti interventi è parsa giusta la conclusione del Presidente della FederAVO Massimo Silumbra il quale ha preannunciato che i volontari dell’AVO (Associazione Volontari Ospedalieri), in un prossimo futuro, dovranno essere pronti a prestare la loro assistenza anche fuori dagli ospedali affrontando le varie forme di assistenza domiciliare.
Enrico Sciarini
Il 23 novembre scorso si è tenuto a Milano un convegno sul tema “Nuove povertà, prospettive del volontariato nel tempo delle emergenze”.
Con il patrocinio del comune di Milano, il convegno è stato organizzato da quattro associazioni di volontariato tra le quali l’AVO di Milano e si è svolto nella prestigiosa sala del Belvedere Jannacci all’ultimo piano del grattacielo Pirelli.
Scopo dichiarato è stato quello di “individuare le vittime di disuguaglianze e povertà come potenziali risorse che disegnino l’intervento del volontariato”.
In altre parole, far sì che siano gli stessi poveri e gli emarginati a collaborare con le associazioni di volontariato.
Erano presenti un centinaio di volontari di svariate associazioni e provenienze.
Dopo il benvenuto della signora Clotilde Camerata, Presidente dell’Associazione Fondatori di una Nuova Cultura per il Volontariato, sono seguite una decina di relazioni tra le quali sono state rimarchevoli quelle del professor Andrea Volterrani (sociologo dell’Università di Roma Tor Vergata) e quella del dottor Alfredo Anzani (presidente del Comitato Etico dell’Ospedale San Raffaele).
Nel Suo intervento, il professor Volterrani ha affermato che non basta aiutare, si deve anche affiancare e far partecipare i poveri per dare voce a chi ancora non ce l’ha, senza avere paura di relazionare con loro.
Per essere sicuro di aver ben compreso le sue parole, la sera stessa inviai una mail al professor Volterrani chiedendogli se avesse inteso dire che: “Nel volontariato ci sarà un vero cambiamento quando si saprà far partecipare anche i poveri.”
Poche ore dopo ho ricevuto la seguente risposta: “… la sua interpretazione è corretta. Solo quando tutti (compresi i poveri e gli marginati) potranno partecipare consapevolmente, avremo un cambiamento. Anche ai convegni.”
Nel suo intervento il professor Anzani ha affermato che anche la malattia è una povertà e ha avanzato critiche all’industria farmaceutica, ai nuovi sacerdoti (della pubblicità) che ci imboniscono, all’economia mondiale da rifondare e al consumismo.
Ha inoltre detto che “povertà e mancanza di cultura si legano” e che “i diritti dei deboli non sono deboli”.
Dopo tali forti interventi è parsa giusta la conclusione del Presidente della FederAVO Massimo Silumbra il quale ha preannunciato che i volontari dell’AVO (Associazione Volontari Ospedalieri), in un prossimo futuro, dovranno essere pronti a prestare la loro assistenza anche fuori dagli ospedali affrontando le varie forme di assistenza domiciliare.
Enrico Sciarini
![]() VACANZE IN CROAZIA
Dal 20 luglio scorso ho partecipato al viaggio/tour per visitare le meraviglie della Costa Dalmata. Era la prima volta che partecipavo a questa vacanza e ne sono rimasta veramente entusiasta. Innanzi tutto vorrei fare quindi i complimenti agli organizzatori e a tutti i componenti del gruppo. Con Eleonora e Costanzo (nostri angeli custodi) abbiamo visitato luoghi molto interessanti per cultura e meraviglie naturali, ricchi di storia antica e contemporanea. La prima tappa è stata a Parenzo dove abbiamo ammirato il borgo antico d’epoca romana e l’importante basilica Eufrasiana eretta a metà del VI secolo. Leggi tutto... |
![]() LA CA' GRANDA
DEI MILANESI Un altro luogo così ampio, arieggiato e spazioso come questo non credo esista nel cuore di Milano. L'Università Statale, ex Ospedale Ca' Granda di via Festa del Perdono, è veramente un luogo unico, immerso in un verde giardino e con meravigliosi cortili, che ci è stato fatto apprezzare fino in fondo dall’espertissima guida che ci ha condotti, in una soleggiata giornata d'ottobre, alla sua scoperta. Fortemente voluto dal duca Francesco Sforza e sorto nel lontano A.D. 1456, il primo ospedale di Milano aperto a tutti è stato progettato dal Filarete per ospitare fino a 4.800 malati in numero uguale fra uomini e donne. Leggi tutto... |

MALTA, L’ISOLA DEI CAVALIERI
Una vacanza tra cultura, storia ed evasione.
Prima tappa a La Valletta, la capitale di Malta: un piccolo gioiello affacciato su due porti che venne realizzato dai Cavalieri di San Giovanni, ordine religioso cattolico, tra il XVI e il XVII secolo.
E’ una città fortificata, ricca di siti storici come la cattedrale di San Giovanni, capolavoro di architettura barocca, al cui interno abbiamo potuto ammirare due capolavori di Caravaggio: la “Decollazione di San Giovanni Battista” e il “San Girolamo scrivente”.
Durante la passeggiata a piedi alla scoperta della meravigliosa architettura che nasce dalla contaminazione di varie civiltà e culture che si sono succedute nei secoli, incontriamo il palazzo del Parlamento, moderna opera di Renzo Piano, costruito recuperando le rovine dell’Opera House e considerato uno degli edifici più belli d’Europa.
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Una vacanza tra cultura, storia ed evasione.
Prima tappa a La Valletta, la capitale di Malta: un piccolo gioiello affacciato su due porti che venne realizzato dai Cavalieri di San Giovanni, ordine religioso cattolico, tra il XVI e il XVII secolo.
E’ una città fortificata, ricca di siti storici come la cattedrale di San Giovanni, capolavoro di architettura barocca, al cui interno abbiamo potuto ammirare due capolavori di Caravaggio: la “Decollazione di San Giovanni Battista” e il “San Girolamo scrivente”.
Durante la passeggiata a piedi alla scoperta della meravigliosa architettura che nasce dalla contaminazione di varie civiltà e culture che si sono succedute nei secoli, incontriamo il palazzo del Parlamento, moderna opera di Renzo Piano, costruito recuperando le rovine dell’Opera House e considerato uno degli edifici più belli d’Europa.
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La Polenta degli Alpini
La polenta è quel grande collante della solidarietà ideato da degli uomini che hanno un cuore grosso così e che noi, gente comune, chiamiamo alpini.
Se c'è ancora qualcuno che non sia mai andato alle loro adunate a mangiarsi un bel piatto di polenta calda con salamella, spezzatino o gorgonzola accompagnati da un buon bicchiere di vino, alzi la mano!
Io per primo, quando gli amici alpini organizzano questi pranzi rigorosamente all'aperto, faccio il possibile per non mancare mai; un po’ per simpatia, un po’ perché, da padano purosangue quale sono, sono un gran polentone e anche per poter unire, insieme a quello di tanti altri golosoni come me, il mio piccolo contributo per quegli atti di solidarietà che, in occasione del Natale, i miei amici alpini, accompagnati da un coro di canti della montagna, distribuiscono alle opere benefiche del circondario.
Nonostante tutto il mio amore per la montagna, alla visita della chiamata alle armi e col fisichetto che mi ritrovavo (sì e no 60 kg con le scarpe), hanno pensato che non ero adatto a portare la penna nera.
D'altronde l'esercito non era fatto di soli alpini e così mi spedirono in fanteria dove mi sono sorbito dei bei diciotto mesi di naja.
Ricordo, con un pizzico di nostalgia ma non poi più di tanto, che passeggiando durante la libera uscita per le strade della savoiarda Torino, tra fanti e alpini capitava spesso, quando ci si incrociava, che volassero gli sfottò tra le burbe dei vari gruppi per poi salutarci con una risata e un ciao.
A tanti anni di distanza ho avuto occasione di conoscere, qui al mio paese, l'esistenza di una sezione ANA di “penne nere”: uomini veri e sempre pronti ai quali basta un fischio del capo per andare a dare una mano ovunque ce ne sia bisogno senza chiedere perché.
Gente fatta così gli alpini, gente a cui puoi stringere la mano senza timori e questo è il principale motivo che mi ha spinto a chiedere la tessera di iscrizione, sia pure come sostenitore, che mi è stata concessa e che io mi riprometto di rispettare perché penso che, al di là della penna nera o no, vi siano ben più alti valori che ci uniscono: quali l'amor di Patria e il rispetto per il nostro Tricolore: sentimenti oggi pressoché dimenticati!
G.Franco
La polenta è quel grande collante della solidarietà ideato da degli uomini che hanno un cuore grosso così e che noi, gente comune, chiamiamo alpini.
Se c'è ancora qualcuno che non sia mai andato alle loro adunate a mangiarsi un bel piatto di polenta calda con salamella, spezzatino o gorgonzola accompagnati da un buon bicchiere di vino, alzi la mano!
Io per primo, quando gli amici alpini organizzano questi pranzi rigorosamente all'aperto, faccio il possibile per non mancare mai; un po’ per simpatia, un po’ perché, da padano purosangue quale sono, sono un gran polentone e anche per poter unire, insieme a quello di tanti altri golosoni come me, il mio piccolo contributo per quegli atti di solidarietà che, in occasione del Natale, i miei amici alpini, accompagnati da un coro di canti della montagna, distribuiscono alle opere benefiche del circondario.
Nonostante tutto il mio amore per la montagna, alla visita della chiamata alle armi e col fisichetto che mi ritrovavo (sì e no 60 kg con le scarpe), hanno pensato che non ero adatto a portare la penna nera.
D'altronde l'esercito non era fatto di soli alpini e così mi spedirono in fanteria dove mi sono sorbito dei bei diciotto mesi di naja.
Ricordo, con un pizzico di nostalgia ma non poi più di tanto, che passeggiando durante la libera uscita per le strade della savoiarda Torino, tra fanti e alpini capitava spesso, quando ci si incrociava, che volassero gli sfottò tra le burbe dei vari gruppi per poi salutarci con una risata e un ciao.
A tanti anni di distanza ho avuto occasione di conoscere, qui al mio paese, l'esistenza di una sezione ANA di “penne nere”: uomini veri e sempre pronti ai quali basta un fischio del capo per andare a dare una mano ovunque ce ne sia bisogno senza chiedere perché.
Gente fatta così gli alpini, gente a cui puoi stringere la mano senza timori e questo è il principale motivo che mi ha spinto a chiedere la tessera di iscrizione, sia pure come sostenitore, che mi è stata concessa e che io mi riprometto di rispettare perché penso che, al di là della penna nera o no, vi siano ben più alti valori che ci uniscono: quali l'amor di Patria e il rispetto per il nostro Tricolore: sentimenti oggi pressoché dimenticati!
G.Franco

THE FULL MONTY
Sabato 16 novembre, in un pomeriggio uggioso, siamo sbarcati al Teatro della Luna per assistere al musical The Full Monty.
Pubblico per la maggior parte composto da donne con, alle nostre spalle, scalmanate signore bergamasche che speravano di vedere “i gioielli nascosti” dei protagonisti.
A condurre il pubblico nel vivo Paolo Conticini e Luca Ward insieme a Gianni Fantoni Jonis Bascir e Nicolas Vaporidis.
Il musical si rifà al film di grande successo del 1997 e, nella versione italiana, la vicenda è stata spostata dalla Sheffield del film a Torino. dell’occupazione, adesso fa i conti con la crisi economica e con la fine di un’epoca.
Con una vita e un salario completamente da reinventare, i sei operai si rimboccheranno le maniche riuscendo, con coraggio e un pizzico di incoscienza, a dare una svolta alle loro vite: nonostante la timidezza, il senso di inadeguatezza e le iniziali difficoltà, non solo lo striptease non avrà più segreti, ma riusciranno anche a conoscere più a fondo se stessi e a ritrovare i valori dell’amicizia e della solidarietà.
Quando nel 1997 uscì il film la disoccupazione sembrava un fulmine a ciel sereno con cui iniziare a fare i conti.
Ebbene, riproporre ancora oggi questo titolo ha il sapore amaro della presa d’atto che questi conti non sono stati ancora chiusi perché l’incredibile attualità di questo testo fa sentire forte la sua voce ancora nel 2019 e forse ancora di più di allora.
Il lavoro è il tema dei temi ed ecco che il musical, genere di intrattenimento popolare per eccellenza, corre a ricoprire il proprio ruolo di “specchio della realtà” proponendo due ore e mezza di puro divertimento ma lasciando anche riflettere lo spettatore su come a volte basti un’idea, una semplice idea, qualunque essa sia, per dare una
svolta alla propria vita ma a patto si credere però in sé stessi.
“Ricca di sfumature è proprio la carica esplosiva di autostima e incitazione a reagire che trasmette.” (Massimo Romeo Piparo).
Applauditissimi i protagonisti ma soprattutto Gianni Fantoni per la sua prestanza fisica….
Unico neo: ci aspettavamo la colonna sonora con le musiche originali del film.
Ornella
Sabato 16 novembre, in un pomeriggio uggioso, siamo sbarcati al Teatro della Luna per assistere al musical The Full Monty.
Pubblico per la maggior parte composto da donne con, alle nostre spalle, scalmanate signore bergamasche che speravano di vedere “i gioielli nascosti” dei protagonisti.
A condurre il pubblico nel vivo Paolo Conticini e Luca Ward insieme a Gianni Fantoni Jonis Bascir e Nicolas Vaporidis.
Il musical si rifà al film di grande successo del 1997 e, nella versione italiana, la vicenda è stata spostata dalla Sheffield del film a Torino. dell’occupazione, adesso fa i conti con la crisi economica e con la fine di un’epoca.
Con una vita e un salario completamente da reinventare, i sei operai si rimboccheranno le maniche riuscendo, con coraggio e un pizzico di incoscienza, a dare una svolta alle loro vite: nonostante la timidezza, il senso di inadeguatezza e le iniziali difficoltà, non solo lo striptease non avrà più segreti, ma riusciranno anche a conoscere più a fondo se stessi e a ritrovare i valori dell’amicizia e della solidarietà.
Quando nel 1997 uscì il film la disoccupazione sembrava un fulmine a ciel sereno con cui iniziare a fare i conti.
Ebbene, riproporre ancora oggi questo titolo ha il sapore amaro della presa d’atto che questi conti non sono stati ancora chiusi perché l’incredibile attualità di questo testo fa sentire forte la sua voce ancora nel 2019 e forse ancora di più di allora.
Il lavoro è il tema dei temi ed ecco che il musical, genere di intrattenimento popolare per eccellenza, corre a ricoprire il proprio ruolo di “specchio della realtà” proponendo due ore e mezza di puro divertimento ma lasciando anche riflettere lo spettatore su come a volte basti un’idea, una semplice idea, qualunque essa sia, per dare una
svolta alla propria vita ma a patto si credere però in sé stessi.
“Ricca di sfumature è proprio la carica esplosiva di autostima e incitazione a reagire che trasmette.” (Massimo Romeo Piparo).
Applauditissimi i protagonisti ma soprattutto Gianni Fantoni per la sua prestanza fisica….
Unico neo: ci aspettavamo la colonna sonora con le musiche originali del film.
Ornella
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