Articoli del giornalino marzo/aprile 2020
C'e' Pasqua e Pasqua
Auguri, pranzo, vacanze, pulizia, … sono alcune parole che, in primavera, si completano con l'espressione "di Pasqua".
Normale usare parole che emergono in momenti di festa ma... ma che potenza la qualifica " di Pasqua"!
Il riferimento è unicamente cristiano.
Certo possiamo riferirci all'antico passaggio del popolo ebraico da una schiavitù ad una libertà da ricevere e poi da conquistare, eppure si sta parlando di un momento che non ha eguali: c'è un morto che dal cimitero è uscito vivo!
Come è possibile riferirsi in natura a qualcosa che da morto trova vita?
Ciò che è morto, è morto!
Se dovesse riprendere vita... non sarebbe cosa del tutto morta.
Si potrebbe parlare della natura morta in inverno e che rispunta con il calore primaverile ma erano veramente morti i peschi o gli altri alberi prima del loro risveglio?
La primavera tra poco inizierà a parlarci ed è presa come immagine della pasqua... ma come è possibile trovare un’immagine da accompagnare alla Pasqua cristiana?
Di per sé non esiste e anche le uova, i rami di ulivo o di altri alberi non potranno neanche minimamente sfiorare il suo mistero.
Possiamo parlare allora di due elementi uniti.
La forza divina da una parte (si chiama "Amore divino" o anche "Spirito Santo") che Gesù ha fatto conoscere e ha mostrato nel momento umanamente peggiore della sua vita: la morte e la cattiveria gratuita di una lancia che si scaglia contro un corpo già cadavere.
Questo Amore produce la grande novità che porta a... far morire la morte: questo si chiama resurrezione in una vita nuova di Gesù.
Per completare il breve pensiero parliamo, in secondo luogo, di quel regalo che è dato a tutti nella libera accoglienza di questo stesso Amore.
Il momento iniziale è nell’acqua battesimale e si va sviluppando nella vita cristiana.
Questo Spirito che è in noi trasforma e trasfigura la nostra umanità fatta di corpo, di un corpo che passa negli anni insieme alle rughe e alle malattie, che raccoglie il male che si riceve o che si genera.
Diventiamo uomini e donne "vive" nonostante il limite che ci porterà al cimitero; eppure è possibile anticipare "nell'Amore vero, libero, aperto" quello che poi saremo nell'eternità.
Si parla di vita eterna ma (rubo una frase di un amico teologo) di "vita dell'Eterno" che anche noi abbiamo.
Che forza la Pasqua... cristiana!
Che bello poterla augurare: possa tu vivere nella vita dell'Eterno!
don Norberto
Auguri, pranzo, vacanze, pulizia, … sono alcune parole che, in primavera, si completano con l'espressione "di Pasqua".
Normale usare parole che emergono in momenti di festa ma... ma che potenza la qualifica " di Pasqua"!
Il riferimento è unicamente cristiano.
Certo possiamo riferirci all'antico passaggio del popolo ebraico da una schiavitù ad una libertà da ricevere e poi da conquistare, eppure si sta parlando di un momento che non ha eguali: c'è un morto che dal cimitero è uscito vivo!
Come è possibile riferirsi in natura a qualcosa che da morto trova vita?
Ciò che è morto, è morto!
Se dovesse riprendere vita... non sarebbe cosa del tutto morta.
Si potrebbe parlare della natura morta in inverno e che rispunta con il calore primaverile ma erano veramente morti i peschi o gli altri alberi prima del loro risveglio?
La primavera tra poco inizierà a parlarci ed è presa come immagine della pasqua... ma come è possibile trovare un’immagine da accompagnare alla Pasqua cristiana?
Di per sé non esiste e anche le uova, i rami di ulivo o di altri alberi non potranno neanche minimamente sfiorare il suo mistero.
Possiamo parlare allora di due elementi uniti.
La forza divina da una parte (si chiama "Amore divino" o anche "Spirito Santo") che Gesù ha fatto conoscere e ha mostrato nel momento umanamente peggiore della sua vita: la morte e la cattiveria gratuita di una lancia che si scaglia contro un corpo già cadavere.
Questo Amore produce la grande novità che porta a... far morire la morte: questo si chiama resurrezione in una vita nuova di Gesù.
Per completare il breve pensiero parliamo, in secondo luogo, di quel regalo che è dato a tutti nella libera accoglienza di questo stesso Amore.
Il momento iniziale è nell’acqua battesimale e si va sviluppando nella vita cristiana.
Questo Spirito che è in noi trasforma e trasfigura la nostra umanità fatta di corpo, di un corpo che passa negli anni insieme alle rughe e alle malattie, che raccoglie il male che si riceve o che si genera.
Diventiamo uomini e donne "vive" nonostante il limite che ci porterà al cimitero; eppure è possibile anticipare "nell'Amore vero, libero, aperto" quello che poi saremo nell'eternità.
Si parla di vita eterna ma (rubo una frase di un amico teologo) di "vita dell'Eterno" che anche noi abbiamo.
Che forza la Pasqua... cristiana!
Che bello poterla augurare: possa tu vivere nella vita dell'Eterno!
don Norberto
SONNO, INSONNIA E LETTO
L’uomo trascorre un terzo della sua vita in posizione orizzontale. Quindi, poiché il sonno è una funzione fisiologica necessaria per il corpo, ne deriva come conseguenza che fin dalla creazione del mondo l’uomo ha dovuto cercare dei materiali esistenti in quell’epoca per costruirsi dei giacigli su cui dormire (foglie, pelli di animali, etc…). Letto, dal latino lectus, in senso lato designa il giaciglio sul quale normalmente ci si corica per dormire. Il sonno evoca il letto ed il letto riporta al riposo, all’amore, alla malattia, alla nascita ed alla morte. Ma il letto non è sempre riposo: qualche volta, anzi, è il contrario di ciò che vorremmo. Soprattutto è insonnia, ripensa-mento delle cose del giorno, incubo e perfino ossessione. Per secoli è stato il simbolo della nascita e infatti una volta non si nasceva in ospedale (maternità) ma in casa con l’assistenza dell’ostetrica. Via via che i secoli trascorrevano e che la civiltà si sviluppava, il letto diventò il mobile di casa che si prestò a indicare il grado e la complessità delle varie culture. Nella tomba di Tutankamon furono trovati parecchi letti monumentali desti-nati ad assolvere una funzione cerimoniale e, quindi, a stabilire il censo del defunto. Nell’antica Grecia, il letto venne utilizzato come sedile durante i banchetti e quest’usanza fu confermata anche in epoca etrusca. I Romani ne furono grandi consumatori: il famoso “triclinium”, però, si presentava più basso e i commensali vi si sdraiavano sostenendosi sul gomito. Nel Medioevo, il letto diventò un fatto di cultura, cioè un mobile d’arte. Si presentava quasi sempre di legno intagliato e intarsiato ed era avvolto da cortinaggi (tende e tendaggi fastosi). Il letto a baldacchino ebbe origine nel trecento ed era corredato da una pedana per salirvi e scendervi. Nel Rinascimento e successivamente nell’epoca del barocco, il letto trovò un ampio spazio d’evoluzione come si può scoprire attraverso i quadri di famosi pittori. Compagno attrezzato e indispen-sabile nelle notti invernali dei tempi lontani, il letto aveva però l’inconveniente di presentarsi freddo e poco accogliente per cui si inventarono mille modi per riscaldarlo: mattoni roventi, ferri da stiro avvolti nella lana, scaldini di vario genere, borse d’acqua calda, etc. Per non pensare poi alle “soluzioni per dormire” come recita una recente pubblicità: letti di lusso, letti da viaggio, letti chiusi a mo di mobile, letti di ferro, di ottone, etc… Modesto o elegante, semplice o artistico, il letto si utilizza per conciliarci col sonno. Anche se è un po’ il simbolo delle tenebre, in ogni caso il letto fa parte della vita in quanto, dalla nascita alla morte, una parte dell’esistenza scorre sotto le coltri. Fernanda |
REPORTAGE DA SANGAKO
Premessa Sangako è un villaggio di 500 anime, dedite all’agricoltura e alla pesca, che è posto nel sud del Senegal. I casi della vita mi ci hanno portato per la prima volta nel 2006 quando ancora lavoravo e da allora due volte all’anno andavo in Senegal a Sangako dove avevo incominciato a colla-borare con la gente del posto per cercare di migliorarne le condizioni di vita. Ormai in pensione, le due volte all’anno si sono unificate in un unico viaggio per un periodo più lungo (quattro mesi più o meno). Io mi chiamo Bruno ma, quando sono a Sangako, sono Bi come mi chiamano i bambini. Mattino del 28/01/2020 a Sangako con 29° Il primo a cantare è il gallo seguito, poco dopo, dal muezzin che, con le sue lodi a Dio, chiama la gente alla preghiera così che il sole si possa alzare su un altro giorno. Le ragazze di casa, prima di andare al liceo, puliscono e lavano tutti i pavimenti, scopano la sabbia dal cortile e poi si lavano e fanno colazione quando il sole comincia a sorgere. Anche io svolgo le mie mansioni mattutine compresa quella di fare la prova della glicemia e di preparare le medicine che dovrò assumere nella giornata. I bambini si sono lavati e preparati per andare a scuola e sono i primi a partire ma non prima di un ultimo controllo da parte di Adama. Anche se non sono tutti suoi figli: due vivono con noi; uno è il figlio di Malik (il fratello maggiore di Babacar) e la bambina è la figlia di un fratello di Adama. Non sono tutti suoi figli ma per lei non c’è differenza: anche se fossero bambini capitati lì da chissà dove, riceverebbero le stesse attenzioni. Nel frattempo le ragazze si sono messe in ghingheri e, bellissime, si avviano al liceo: invio loro con un soffio un bacio dalle punte delle dita e loro ricambiano. Con un gesto rapido acchiappo i loro baci e me li porto al cuore: il sole è ormai sorto. Babacar ha pregato, innaffiato l’orto e le piante e, come me, ha organizzato mentalmente le cose da fare in giornata. Viene a darmi il buongiorno e ci diciamo cosa e come farlo. Anche Adama viene a darmi il buon giorno e a portarmi la colazione; poi ognuno parte con il suo programma. Io, se non ho altre cose urgenti da fare, continuo con l’organizzazione del nuovo laboratorio e con la sistemazione del materiale da lavoro che ho portato dall’Italia. Un giorno uno, un giorno l’altro vengono a trovarmi tutti gli anziani del villaggio ed Adama non manca d’inviarmi, attraverso qual-che bambino non in età scolastica, un bicchierino di the rigorosamente amaro. Questo è l’inizio di una giornata tipica a Sangako ed è più o meno simile per ogni famiglia. Attualmente a Sangako stiamo lavorando alla realizzazione di una biblioteca (per la scuola primaria ma che servirà all’intera comunità) e a lavori vari per il liceo. A Mbiskitè, villaggio abbastanza isolato, abbiamo invece ripristinato il pozzo dell’acqua ormai quasi secco e unica “fonte” di rifornimento per evitare di fare ogni volta 4 km. A Ndoumboudj, villaggio ad una ventina di km da noi, stiamo infine lavorando per creare delle cisterne di raccolta dell’acqua a beneficio di un gruppo di donne che tengono un orto che permette loro di avere una vita migliore. Io sono Birino come i bimbi di Sangako mi chiamano (confidenzialmente Bi) e il mio indirizzo mail è [email protected]. Se volete essere inseriti in una mail list e ricevere notizie da Sangako, su Facebook mi trovate come Orso Bruno. Bruno |
Per la rubrica :
Te se ricordet i temp indre …
L’ATTILIO
Mancavano poche ore alla fine dell’anno, le strade quasi deserte e i pochi ancora in giro avevano fretta di tornare a casa o di andare da qualche parte a festeggiare.
L’Attilio, mani in tasca e ingobbito nel suo giaccone per ripararsi dal freddo, se ne andava avanti e indietro per la via.
Una sosta alla cooperativa per guardare chi c’era, poi alla latteria per guardare anche lì e poi al bar della Bruna: una breve sosta guardando all’interno come se stesse cercando qualcuno, poi di nuovo alla cooperativa, alla latteria e al bar per almeno cinque o sei volte.
“Ciao Attilio, sarà un’ora che continui a fare avanti e indietro. Cerchi qualcuno?”
“Sono una gallina che non sa dove fare l’uovo. Sto cercando qualcuno per passare in compagnia l’ultimo dell’anno ma, o lo passano in famiglia o hanno già dove andare. Vuol dire che andrò a dormire, tanto Capodanno è un giorno come gli altri, basta non pensarci.”
“Io e mia moglie con il bambino piccolo non andiamo da nessuna parte, vieni da noi che lo passiamo insieme”.
Quando mia moglie gli chiese se gli piacesse il risotto giallo rispose che non aveva fame e noi pensammo che la sua risposta fosse dettata dalla timidezza e quando ci sedemmo a tavola il piatto dell’ospite era pieno fino all’orlo.
Attilio rimase qualche istante a guardare il piatto, poi cominciò a mangiare molto lentamente con piccole forchettate, come se facesse fatica a mandare giù il cibo.
“Attilio, cosa c’è? Non ti piace?
“No, è buono, si sente che è fatto con il brodo di carne e non con il dado”.
Finito il risotto, mia moglie portò in tavola lo zampone con lenticchie e purè e, per fare onore all’ospite, gliene mise nel piatto due fette abbondanti con purè e lenticchie.
“Attilio, mangiane tante che portano soldi, mangiare lenticchie a capodanno porta soldi tutto l’anno.”
Anche lo zampone con purè e lenticchie ricevettero lo stesso trattamento del risotto: il piatto si svuotava lentamente, come se il cibo non volesse saperne di abbandonare la bocca dell’Attilio per prendere la via del suo stomaco.
Dalle smorfie sembrava gli facesse schifo.
Finito lo zampone arrivò in tavola la frutta che l’Attilio schivò dicendo che a lui la frutta dopo mangiato non piaceva.
Passammo al pandoro con crema di mascarpone al caffè che l’Attilio lasciò a decantare nel piatto prima di decidersi a mangiarlo a piccoli bocconi che giravano a lungo da una parte all’altra della bocca prima di essere deglutiti.
Guardare l’Attilio che mangiava era una pena e pensammo che forse non gli era piaciuto quello che gli avevamo offerto.
Dopo avere brindato all’anno nuovo, noi con lo spumante e lui con la Coca Cola, come se avesse avuto fretta di andarsene, ci salutò.
Nei giorni seguenti a un amico comune l’Attilio, raccontò del nostro invito e disse che, tornato a casa, era stato male tutta la notte non riuscendo a digerire nonostante l’Alka Seltzer, la limonata e la boule di acqua calda.
“Era tutto buonissimo, ma non ho avuto il coraggio di dire che quando mi hanno invitato avevo già mangiato a casa mia un piatto di pasta al ragù e tre salsicce in umido con i fagioli. Ma loro erano così gentili che dirgli di no mi sembrava di offenderli.”
Attilio era una persona buona, semplice e riservata.
Per molti anni è stato schiavo della dipendenza dall’alcool, un alcolizzato, ma nella sua semplicità, da solo, come se fosse la cosa più normale di questo mondo, ha trovato la forza di liberarsi dall’alcolismo e ci è riuscito, mi raccontava sempre, vincendo giorno per giorno la sfida con la bottiglia di vino e il bicchiere che teneva sul tavolo della cucina. Quando un male cattivo se l’è portato via erano più di venticinque anni che non toccava alcool, ma questo non tutti lo sapevano e continuavano a chiamarlo “Gaina”. Era uno dei miei migliori amici.
Paolo
Te se ricordet i temp indre …
L’ATTILIO
Mancavano poche ore alla fine dell’anno, le strade quasi deserte e i pochi ancora in giro avevano fretta di tornare a casa o di andare da qualche parte a festeggiare.
L’Attilio, mani in tasca e ingobbito nel suo giaccone per ripararsi dal freddo, se ne andava avanti e indietro per la via.
Una sosta alla cooperativa per guardare chi c’era, poi alla latteria per guardare anche lì e poi al bar della Bruna: una breve sosta guardando all’interno come se stesse cercando qualcuno, poi di nuovo alla cooperativa, alla latteria e al bar per almeno cinque o sei volte.
“Ciao Attilio, sarà un’ora che continui a fare avanti e indietro. Cerchi qualcuno?”
“Sono una gallina che non sa dove fare l’uovo. Sto cercando qualcuno per passare in compagnia l’ultimo dell’anno ma, o lo passano in famiglia o hanno già dove andare. Vuol dire che andrò a dormire, tanto Capodanno è un giorno come gli altri, basta non pensarci.”
“Io e mia moglie con il bambino piccolo non andiamo da nessuna parte, vieni da noi che lo passiamo insieme”.
Quando mia moglie gli chiese se gli piacesse il risotto giallo rispose che non aveva fame e noi pensammo che la sua risposta fosse dettata dalla timidezza e quando ci sedemmo a tavola il piatto dell’ospite era pieno fino all’orlo.
Attilio rimase qualche istante a guardare il piatto, poi cominciò a mangiare molto lentamente con piccole forchettate, come se facesse fatica a mandare giù il cibo.
“Attilio, cosa c’è? Non ti piace?
“No, è buono, si sente che è fatto con il brodo di carne e non con il dado”.
Finito il risotto, mia moglie portò in tavola lo zampone con lenticchie e purè e, per fare onore all’ospite, gliene mise nel piatto due fette abbondanti con purè e lenticchie.
“Attilio, mangiane tante che portano soldi, mangiare lenticchie a capodanno porta soldi tutto l’anno.”
Anche lo zampone con purè e lenticchie ricevettero lo stesso trattamento del risotto: il piatto si svuotava lentamente, come se il cibo non volesse saperne di abbandonare la bocca dell’Attilio per prendere la via del suo stomaco.
Dalle smorfie sembrava gli facesse schifo.
Finito lo zampone arrivò in tavola la frutta che l’Attilio schivò dicendo che a lui la frutta dopo mangiato non piaceva.
Passammo al pandoro con crema di mascarpone al caffè che l’Attilio lasciò a decantare nel piatto prima di decidersi a mangiarlo a piccoli bocconi che giravano a lungo da una parte all’altra della bocca prima di essere deglutiti.
Guardare l’Attilio che mangiava era una pena e pensammo che forse non gli era piaciuto quello che gli avevamo offerto.
Dopo avere brindato all’anno nuovo, noi con lo spumante e lui con la Coca Cola, come se avesse avuto fretta di andarsene, ci salutò.
Nei giorni seguenti a un amico comune l’Attilio, raccontò del nostro invito e disse che, tornato a casa, era stato male tutta la notte non riuscendo a digerire nonostante l’Alka Seltzer, la limonata e la boule di acqua calda.
“Era tutto buonissimo, ma non ho avuto il coraggio di dire che quando mi hanno invitato avevo già mangiato a casa mia un piatto di pasta al ragù e tre salsicce in umido con i fagioli. Ma loro erano così gentili che dirgli di no mi sembrava di offenderli.”
Attilio era una persona buona, semplice e riservata.
Per molti anni è stato schiavo della dipendenza dall’alcool, un alcolizzato, ma nella sua semplicità, da solo, come se fosse la cosa più normale di questo mondo, ha trovato la forza di liberarsi dall’alcolismo e ci è riuscito, mi raccontava sempre, vincendo giorno per giorno la sfida con la bottiglia di vino e il bicchiere che teneva sul tavolo della cucina. Quando un male cattivo se l’è portato via erano più di venticinque anni che non toccava alcool, ma questo non tutti lo sapevano e continuavano a chiamarlo “Gaina”. Era uno dei miei migliori amici.
Paolo
MOMENTI DI RIFLESSIONE
Abbiamo conosciuto il nuovo parroco di Segrate Centro, don Norberto Brigatti.
Nel primo incontro ci ha raccontato delle sue esperienze passate e dei momenti di incontro con la nostra comunità.
Ci ha fatto riflettere sul Natale, festa amata da tutti, Cristiani e non, per la tenerezza verso questo bambinello e per l’atmosfera del Natale che avvolge proprio tutti.
Forse, però, ciò che differenzia i Cristiani non è il solo credere alla venuta di Gesù Bambino nel mondo.
Certo, un Dio che si fa uomo è già un elemento portante del Cristianesimo ma ancora di più lo è un Dio-Uomo che muore su una croce e che poi risorge.
E’, cioè, la Resurrezione della carne che distingue il Cristianesimo ed è la sconfitta della morte che rende la Pasqua la nostra festa per eccellenza.
Quindi si dovrebbe ribaltare il noto detto proverbiale rendendolo “Natale con chi vuoi e Pasqua con i tuoi”! Ci siamo poi rivisti con don Norberto durante l’Avvento per leggere e commentare la lettera che l’Arcivescovo Delpini ha scritto ai suoi diocesani.
Tra le varie sottolineature, mi ha colpito l’invito dell’Arcivescovo (ribadito da don Norberto) di recuperare “il tempo di Nazareth”.
A Nazareth infatti Gesù ha vissuto per trent’anni ma, nonostante ciò, poco si sa di questo periodo.
Sembra sia stato un periodo in cui Gesù non abbia fatto “nulla” di speciale: ha vissuto e meditato, si è preparato.
L’augurio che ci è stato fatto è stato quindi quello di imparare ad apprezzare i tempi vuoti, il dopo-Natale, il dopo le Feste, senza l’ansia dei regali, senza la frenesia dei preparativi e il “gran fare” che contraddistingue le feste.
Impariamo a vivere con calma, dando importanza alle giuste cose, magari rivivendo i bei momenti appena trascorsi.
Il consiglio di don Norberto è stato quello di rileggere con calma ed attenzione i primi capitoli del Vangelo di Matteo e di Luca che propongono la nascita del Messia.
Certo li abbiamo già ascoltati durante le funzioni del periodo natalizio ma, forse, la nostra mente era già distratta da tanto altro.
Proviamo quindi a rileggerli ora, per vivere appieno quel messaggio.
Paola
Abbiamo conosciuto il nuovo parroco di Segrate Centro, don Norberto Brigatti.
Nel primo incontro ci ha raccontato delle sue esperienze passate e dei momenti di incontro con la nostra comunità.
Ci ha fatto riflettere sul Natale, festa amata da tutti, Cristiani e non, per la tenerezza verso questo bambinello e per l’atmosfera del Natale che avvolge proprio tutti.
Forse, però, ciò che differenzia i Cristiani non è il solo credere alla venuta di Gesù Bambino nel mondo.
Certo, un Dio che si fa uomo è già un elemento portante del Cristianesimo ma ancora di più lo è un Dio-Uomo che muore su una croce e che poi risorge.
E’, cioè, la Resurrezione della carne che distingue il Cristianesimo ed è la sconfitta della morte che rende la Pasqua la nostra festa per eccellenza.
Quindi si dovrebbe ribaltare il noto detto proverbiale rendendolo “Natale con chi vuoi e Pasqua con i tuoi”! Ci siamo poi rivisti con don Norberto durante l’Avvento per leggere e commentare la lettera che l’Arcivescovo Delpini ha scritto ai suoi diocesani.
Tra le varie sottolineature, mi ha colpito l’invito dell’Arcivescovo (ribadito da don Norberto) di recuperare “il tempo di Nazareth”.
A Nazareth infatti Gesù ha vissuto per trent’anni ma, nonostante ciò, poco si sa di questo periodo.
Sembra sia stato un periodo in cui Gesù non abbia fatto “nulla” di speciale: ha vissuto e meditato, si è preparato.
L’augurio che ci è stato fatto è stato quindi quello di imparare ad apprezzare i tempi vuoti, il dopo-Natale, il dopo le Feste, senza l’ansia dei regali, senza la frenesia dei preparativi e il “gran fare” che contraddistingue le feste.
Impariamo a vivere con calma, dando importanza alle giuste cose, magari rivivendo i bei momenti appena trascorsi.
Il consiglio di don Norberto è stato quello di rileggere con calma ed attenzione i primi capitoli del Vangelo di Matteo e di Luca che propongono la nascita del Messia.
Certo li abbiamo già ascoltati durante le funzioni del periodo natalizio ma, forse, la nostra mente era già distratta da tanto altro.
Proviamo quindi a rileggerli ora, per vivere appieno quel messaggio.
Paola
IN MEMORIA DI GIANNI GOMARASCA
E’ con commozione che ricordo insieme a tutto il Movimento Terza Eta’, il nostro amico Gianni Gomarasca, grande sostenitore e promotore dell’Associazione sin dalla sua nascita. Gianni era una fucina di iniziative, promuoveva viaggi, recite teatrali (sia come regista che come attore), pranzi sociali, etc ... e fu insignito per tali motivi dal Comune di Segrate dell'ape d'oro.
Possiamo dire che la sua scomparsa lascia un segno tangibile, in particolare per noi amici anziani, perché chiude la parentesi di una vita caratterizzata da un mondo semplice, gioioso, pieno di affetti e di fraternità.
Addio caro Gianni e grazie per tutto quello che hai fatto per noi e un abbraccio forte alla cara Milena che ti ha sostenuto e accompagnato in tutto il percorso della tua vita.
Paolo Bontempi
LETTERA APERTA A GIANNI GOMARASCA
Caro Amico e Maestro.
Maestro perché grazie a te, nel movimento terza età, è nato un gruppo teatrale che è cresciuto sotto la tua guida arricchita dall’esperienza di aver frequentato l'accademia di recitazione di Milano.
Abbiamo cominciato con testi in milanese, scritti anche da te, per poi passare a rappresentazioni di più "alto livello": basterà ricordare “Gianni Schicchi” di Giacomo Puccini, “La Cavalleria Rusticana” di Pietro Mascagni, “La Marcolfa” di Dario Fo, “La Giara” di Luigi Pirandello, “Il Barbiere di Siviglia” di Giacomo Rossini, etc ...
Sempre paziente con noi, ci hai insegnato i trucchi della recitazione, portandoci modestamente ad essere una compagnia di successo e, proprio grazie all'entusiasmo degli spettatori, hai trovato lo sprint per proseguire nell'indovinata avventura da te avviata.
Quando è nata, ci si trovava in parrocchia il mercoledì e spesso vi condividevamo una pizza.
Poi sei arrivato tu che amavi cucinare e che ti sei proposto come cuoco.
Ti abbiamo promosso a pieni voti e mi ricordo che, condendo tutto con molto burro, dicevi: “vè fù morì, colesterolo assicurato”.
Eri bravo a raccontare barzellette: quante risate ci siamo fatte.
Organizzavi viaggi: quanti bei posti abbiamo visto!
Tu sempre allegro, disponibile e competente.
La tua cara Milena è stata fortunata ad avere condiviso la sua vita con una persona eccezionale ma questa fortuna l'abbiamo avuta anche noi che ti abbiamo conosciuto e frequentato per molti anni.
Ora che sei lassù assieme a tanti altri nostri amici che prima di te hanno già fatto questo "passo in avanti" (come dicono gli alpini), organizza qualche cosa e tienili allegri.
Datti da fare perché ultimamente hai fatto un po' il lazzarone quaggiù!
Ciao Gianni.
Marisa
E’ con commozione che ricordo insieme a tutto il Movimento Terza Eta’, il nostro amico Gianni Gomarasca, grande sostenitore e promotore dell’Associazione sin dalla sua nascita. Gianni era una fucina di iniziative, promuoveva viaggi, recite teatrali (sia come regista che come attore), pranzi sociali, etc ... e fu insignito per tali motivi dal Comune di Segrate dell'ape d'oro.
Possiamo dire che la sua scomparsa lascia un segno tangibile, in particolare per noi amici anziani, perché chiude la parentesi di una vita caratterizzata da un mondo semplice, gioioso, pieno di affetti e di fraternità.
Addio caro Gianni e grazie per tutto quello che hai fatto per noi e un abbraccio forte alla cara Milena che ti ha sostenuto e accompagnato in tutto il percorso della tua vita.
Paolo Bontempi
LETTERA APERTA A GIANNI GOMARASCA
Caro Amico e Maestro.
Maestro perché grazie a te, nel movimento terza età, è nato un gruppo teatrale che è cresciuto sotto la tua guida arricchita dall’esperienza di aver frequentato l'accademia di recitazione di Milano.
Abbiamo cominciato con testi in milanese, scritti anche da te, per poi passare a rappresentazioni di più "alto livello": basterà ricordare “Gianni Schicchi” di Giacomo Puccini, “La Cavalleria Rusticana” di Pietro Mascagni, “La Marcolfa” di Dario Fo, “La Giara” di Luigi Pirandello, “Il Barbiere di Siviglia” di Giacomo Rossini, etc ...
Sempre paziente con noi, ci hai insegnato i trucchi della recitazione, portandoci modestamente ad essere una compagnia di successo e, proprio grazie all'entusiasmo degli spettatori, hai trovato lo sprint per proseguire nell'indovinata avventura da te avviata.
Quando è nata, ci si trovava in parrocchia il mercoledì e spesso vi condividevamo una pizza.
Poi sei arrivato tu che amavi cucinare e che ti sei proposto come cuoco.
Ti abbiamo promosso a pieni voti e mi ricordo che, condendo tutto con molto burro, dicevi: “vè fù morì, colesterolo assicurato”.
Eri bravo a raccontare barzellette: quante risate ci siamo fatte.
Organizzavi viaggi: quanti bei posti abbiamo visto!
Tu sempre allegro, disponibile e competente.
La tua cara Milena è stata fortunata ad avere condiviso la sua vita con una persona eccezionale ma questa fortuna l'abbiamo avuta anche noi che ti abbiamo conosciuto e frequentato per molti anni.
Ora che sei lassù assieme a tanti altri nostri amici che prima di te hanno già fatto questo "passo in avanti" (come dicono gli alpini), organizza qualche cosa e tienili allegri.
Datti da fare perché ultimamente hai fatto un po' il lazzarone quaggiù!
Ciao Gianni.
Marisa
Ecco infine il messaggio della moglie: "Esprimo i miei più sentiti ringraziamenti per la grande partecipazione al mio grande dolore. Gianni mi ha lasciato un grande vuoto che sarà difficile colmare. Un grande abbraccio. Con affetto, Milena“
VIAGGIO IN FRIULI
Una regione con due diverse entità storiche, culturali, linguistiche, architettoniche e gastronomiche: siamo stati a Trieste nella Venezia Giulia e a Udine, Gorizia e Pordenone nel Friuli.
Accompagnati da Costanzo, supportati da Ornella e Giorgio, con la presenza del Presidente Antonio e anche di Padre Massimo, abbiamo raggiunto Trieste (porto marittimo sin dal 1° secolo a.c.) ed incontrato la dotta guida Robert.
Prima tappa la triste e angosciante Risiera di San Sabba: unico campo di concentramento in Italia dotato di forno crematorio.
Qui non venivano impiegate le camere a gas ma i “camion a gas” e, incredibilmente, la gente dei dintorni sapeva, immaginava ma taceva.
Vedere le cellette e pensare che ognuna ospitava sei persone toglie il fiato.
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