Articoli del giornalino maggio/giugno 2020
Che Pasqua quest'anno!
Parecchie persone di voi sanno che cosa sia una guerra, la miseria, i morti, gli orfani. "Sì - qualcuno mi ha detto - ma non è lo stesso che stiamo vivendo adesso. Ora è peggio". Non so cosa dire, non avendo vissuto quegli anni se non per i racconti di mio papà, di mia mamma o dei nonni. Il fronte era lontano eppure "Pippo" volava basso. Si combatteva al fronte ma la fame, il freddo, le lettere con la notizia di un figlio morto, i rifugi... erano realtà vicinissime. Oggi come allora i cristiani non hanno mai perso "il vizio" (un modo di dire!) di celebrare l'Eucarestia nella pasqua settimanale della domenica e nella Pasqua dopo il plenilunio di primavera. Ieri come oggi e ...per tutti i secoli! Perchè? "Se Dio può tutto poteva evitare le guerre e le epidemie", molti pensano e non dicono, altri lo dicono senza pensare. Perchè la Pasqua allora? Che Dio stesso scenda nella morte è impossibile per concetto! Già che diventi umano è inconcepibile. Che abbia subito la violenza, e la morte è impressionante per uno che, con un dito, butterebbe giù tutti gli uomini del mondo come birilli. Eppure Il Padre invia il Figlio (e già sappiamo che Dio è una relazione d'amore che ha un nome...Spirito Santo) perchè vada a liberare gli uomini sepolti in ogni forma di male, di disperazione, di cattiveria, di...morte (ogni forma di morte)! Il bello è che non è "rimasto infognato" nella morte perchè il Padre lo ha riportato nella vita eterna insieme alle sofferenze e le ferite subite. Grazie al Figlio, se ci attacchiamo a lui, tutti siamo fuori dalla morte (non quella biologica che prima o poi ci tocca) ma quella che diventa cattiveria, male, delusione, non senso, violenza... E perchè ci crediamo non passa settimana in cui non lo si proclama: noi siamo dei vivi, in Gesù vivo! Chiudo con una domanda: "Che ne abbiamo fatto della domenica noi cristiani?", "Che ne abbiamo fatto noi della Pasqua noi cristiani?". Una questione di agnello, di abbacchio, di uova, di lasagne, di colombe? Una faccenda di "gita fuori porta o prova di estate"? Un po' poco no? Un augurio di Pasqua...cristiana (sempre con l'aggiunta se no non si capisce) allora! don Norberto |
Cari soci,
la pandemia in corso non ci permette di stampare né, tanto meno, di distribuire il nostro giornalino.
Abbiamo tuttavia pensato di farVi cosa gradita metterlo ugualmente in opera e trasmettervelo pubblicandolo sul nostro sito.
Per chi poi non è nella condizione di poterlo consultare, abbiamo pensato di inviare, a tutti coloro che ci hanno fornito il numero del loro cellulare e che hanno whatsapp, un messaggio con allegato un articolo al giorno: sarà un modo che ci auguriamo possa farci sentire più vicini e, come al solito, uniti.
Avremo cura di stampare artigianalmente qualche copia di questo numero anomalo al fine di poterlo conservare in archivio al pari di tutti i precedenti nella viva speranza che questa rimanga l’unica volta in cui si è costretti a procedere con tale modalità.
Capite bene tuttavia come, nelle attuali condizioni, fosse impossibile sia poter fare delle attendibili previsioni e sia programmare alcunché ed è questo il motivo per cui il giornalino esce senza alcun calendario di manifestazioni, gite, incontri, etc…
Vedrete che ci rifaremo presto! Voi tenete duro perché non è ancora il momento di mollare la presa.
Vi spero tutti in buona salute, per nulla depressi, capaci di cogliere i pochi ma importanti aspetti positivi che questa situazione ci offre, di riflettere serenamente ma anche criticamente sui comportamenti altrui e pronti a ricordarli per quando la nostra vita riprenderà normalmente.
Badate, non Vi sto chiedendo di prepararVi a essere vendicativi; quando ero più giovane (non meno anziano, eh) un mio direttore spirituale mi fece riflettere su un distinguo che tengo ancor oggi come una mia massima comportamentale: “una cosa è perdonare, un’altra dimenticare!”
Noi non dimenticheremo certo i morti né i nostri moderni supereroi (medici, personale sanitario, volontari, forze dell’ordine e sicurezza, protezione civile, etc…); non dimenticheremo chi ha rinunciato ad un respiratore per cederlo a chi godeva di un’aspettativa di vita maggiore della sua; non dimenticheremo l’uomo vestito di bianco che sale con fatica e sotto una pioggia battente la scalinata di un piazza San Pietro deserta per benedire il mondo intero e non dimenticheremo nemmeno il nostro Sindaco che ci ha quotidianamente informato dell’evolversi della situazione locale con grande partecipazione emotiva e che si è adoperato con diverse iniziative per tutelare i più deboli.
Per tutti loro, a chi ci crede, chiedo di pregare non per “avere” ma per “ringraziare” perché averli avuti così come li abbiamo avuti è già stata una grazia grande.
Ma non dimenticheremo neanche chi ha provato a ghettizzare, a prendere le distanze e, soprattutto, chi ha posposto, anche a livelli alti e internazionali, la solidarietà all’interesse della sua sola nazione (loro sì che qualcosina forse hanno dimenticato).
Basta, scusate lo sfogo: siate felici e state lieti!
Antonio
la pandemia in corso non ci permette di stampare né, tanto meno, di distribuire il nostro giornalino.
Abbiamo tuttavia pensato di farVi cosa gradita metterlo ugualmente in opera e trasmettervelo pubblicandolo sul nostro sito.
Per chi poi non è nella condizione di poterlo consultare, abbiamo pensato di inviare, a tutti coloro che ci hanno fornito il numero del loro cellulare e che hanno whatsapp, un messaggio con allegato un articolo al giorno: sarà un modo che ci auguriamo possa farci sentire più vicini e, come al solito, uniti.
Avremo cura di stampare artigianalmente qualche copia di questo numero anomalo al fine di poterlo conservare in archivio al pari di tutti i precedenti nella viva speranza che questa rimanga l’unica volta in cui si è costretti a procedere con tale modalità.
Capite bene tuttavia come, nelle attuali condizioni, fosse impossibile sia poter fare delle attendibili previsioni e sia programmare alcunché ed è questo il motivo per cui il giornalino esce senza alcun calendario di manifestazioni, gite, incontri, etc…
Vedrete che ci rifaremo presto! Voi tenete duro perché non è ancora il momento di mollare la presa.
Vi spero tutti in buona salute, per nulla depressi, capaci di cogliere i pochi ma importanti aspetti positivi che questa situazione ci offre, di riflettere serenamente ma anche criticamente sui comportamenti altrui e pronti a ricordarli per quando la nostra vita riprenderà normalmente.
Badate, non Vi sto chiedendo di prepararVi a essere vendicativi; quando ero più giovane (non meno anziano, eh) un mio direttore spirituale mi fece riflettere su un distinguo che tengo ancor oggi come una mia massima comportamentale: “una cosa è perdonare, un’altra dimenticare!”
Noi non dimenticheremo certo i morti né i nostri moderni supereroi (medici, personale sanitario, volontari, forze dell’ordine e sicurezza, protezione civile, etc…); non dimenticheremo chi ha rinunciato ad un respiratore per cederlo a chi godeva di un’aspettativa di vita maggiore della sua; non dimenticheremo l’uomo vestito di bianco che sale con fatica e sotto una pioggia battente la scalinata di un piazza San Pietro deserta per benedire il mondo intero e non dimenticheremo nemmeno il nostro Sindaco che ci ha quotidianamente informato dell’evolversi della situazione locale con grande partecipazione emotiva e che si è adoperato con diverse iniziative per tutelare i più deboli.
Per tutti loro, a chi ci crede, chiedo di pregare non per “avere” ma per “ringraziare” perché averli avuti così come li abbiamo avuti è già stata una grazia grande.
Ma non dimenticheremo neanche chi ha provato a ghettizzare, a prendere le distanze e, soprattutto, chi ha posposto, anche a livelli alti e internazionali, la solidarietà all’interesse della sua sola nazione (loro sì che qualcosina forse hanno dimenticato).
Basta, scusate lo sfogo: siate felici e state lieti!
Antonio
LA MEDITAZIONE DEL PAPA
La sera del 27 marzo in una piazza San Pietro incredibilmente deserta e sotto una pioggia battente, Papa Francesco ha impartito la benedizione Urbi et Orbi e ci ha regalato una meditazione dopo la lettura del passo del Vangelo di Marco che vede Gesù placare le acque, sedare la tempesta e salvare i discepoli in barca con lui.
Vi proponiamo dei significativi stralci della meditazione del Papa.
“Venuta la sera”. Così inizia il Vangelo che abbiamo ascoltato. Da settimane sembra che sia scesa la sera. Fitte tenebre si sono addensate sulle nostre piazze, strade e città; si sono impadronite delle nostre vite riempiendo tutto di un silenzio assordante e di un vuoto desolante che paralizza ogni cosa al suo passaggio: si sente nell’aria, si avverte nei gesti, lo dicono gli sguardi. Ci siamo trovati impauriti e smarriti. Come i discepoli del Vangelo siamo stati presi alla sprovvista da una tempesta inaspettata e furiosa. Ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme, tutti bisognosi di confortarci a vicenda. Su questa barca… ci siamo tutti. Come quei discepoli, che parlano a una sola voce e nell’angoscia dicono: «Siamo perduti», così anche noi ci siamo accorti che non possiamo andare avanti ciascuno per conto suo, ma solo insieme.
È facile ritrovarci in questo racconto. Quello che risulta più difficile è capire invece l’atteggiamento di Gesù. Mentre i discepoli sono naturalmente allarmati e disperati, Egli sta a poppa (proprio nella parte della barca che per prima va a fondo) e che fa? Nonostante il trambusto, dorme sereno, fiducioso nel Padre e quando viene svegliato, dopo aver calmato il vento e le acque, si rivolge ai discepoli in tono di rimprovero: «Perché avete paura? Non avete ancora fede?»
Cerchiamo di comprendere. In che cosa consiste la mancanza di fede dei discepoli, che si contrappone alla fiducia di Gesù? Essi non avevano smesso di credere in Lui, infatti lo invocano. Ma vediamo come lo invocano: «Maestro, non t’importa che siamo perduti?». Non t’importa: pensano che Gesù si disinteressi di loro, che non si curi di loro. Tra di noi, nelle nostre famiglie, una delle cose che fa più male è quando ci sentiamo dire: “Non t’importa di me?”. È una frase che ferisce e scatena tempeste nel cuore. Avrà scosso anche Gesù. Perché a nessuno più che a Lui importa di noi. Infatti, una volta invocato, salva i suoi discepoli sfiduciati.
La sera del 27 marzo in una piazza San Pietro incredibilmente deserta e sotto una pioggia battente, Papa Francesco ha impartito la benedizione Urbi et Orbi e ci ha regalato una meditazione dopo la lettura del passo del Vangelo di Marco che vede Gesù placare le acque, sedare la tempesta e salvare i discepoli in barca con lui.
Vi proponiamo dei significativi stralci della meditazione del Papa.
“Venuta la sera”. Così inizia il Vangelo che abbiamo ascoltato. Da settimane sembra che sia scesa la sera. Fitte tenebre si sono addensate sulle nostre piazze, strade e città; si sono impadronite delle nostre vite riempiendo tutto di un silenzio assordante e di un vuoto desolante che paralizza ogni cosa al suo passaggio: si sente nell’aria, si avverte nei gesti, lo dicono gli sguardi. Ci siamo trovati impauriti e smarriti. Come i discepoli del Vangelo siamo stati presi alla sprovvista da una tempesta inaspettata e furiosa. Ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme, tutti bisognosi di confortarci a vicenda. Su questa barca… ci siamo tutti. Come quei discepoli, che parlano a una sola voce e nell’angoscia dicono: «Siamo perduti», così anche noi ci siamo accorti che non possiamo andare avanti ciascuno per conto suo, ma solo insieme.
È facile ritrovarci in questo racconto. Quello che risulta più difficile è capire invece l’atteggiamento di Gesù. Mentre i discepoli sono naturalmente allarmati e disperati, Egli sta a poppa (proprio nella parte della barca che per prima va a fondo) e che fa? Nonostante il trambusto, dorme sereno, fiducioso nel Padre e quando viene svegliato, dopo aver calmato il vento e le acque, si rivolge ai discepoli in tono di rimprovero: «Perché avete paura? Non avete ancora fede?»
Cerchiamo di comprendere. In che cosa consiste la mancanza di fede dei discepoli, che si contrappone alla fiducia di Gesù? Essi non avevano smesso di credere in Lui, infatti lo invocano. Ma vediamo come lo invocano: «Maestro, non t’importa che siamo perduti?». Non t’importa: pensano che Gesù si disinteressi di loro, che non si curi di loro. Tra di noi, nelle nostre famiglie, una delle cose che fa più male è quando ci sentiamo dire: “Non t’importa di me?”. È una frase che ferisce e scatena tempeste nel cuore. Avrà scosso anche Gesù. Perché a nessuno più che a Lui importa di noi. Infatti, una volta invocato, salva i suoi discepoli sfiduciati.
La tempesta smaschera la nostra vulnerabilità e lascia scoperte quelle false e superflue sicurezze con cui abbiamo costruito le nostre agende, i nostri progetti, le nostre abitudini e priorità. Ci dimostra come abbiamo lasciato addormentato e abbandonato ciò che alimenta, sostiene e dà forza alla nostra vita e alla nostra comunità. La tempesta pone allo scoperto tutti i propositi di “imballare” e dimenticare ciò che ha nutrito l’anima dei nostri popoli; tutti quei tentativi di anestetizzare con abitudini apparentemente “salvatrici”, incapaci di fare appello alle nostre radici e di evocare la memoria dei nostri anziani, privandoci così dell’immunità necessaria per far fronte all’avversità.
Con la tempesta, è caduto il trucco di quegli stereotipi con cui mascheravamo i nostri “ego” sempre preoccupati della propria immagine; ed è rimasta scoperta, ancora una volta, quella benedetta appartenenza comune alla quale non possiamo sottrarci: l’appartenenza come fratelli.
«Perché avete paura? Non avete ancora fede?». Signore, la tua Parola stasera ci colpisce e ci riguarda, tutti. In questo nostro mondo, che Tu ami più di noi, siamo andati avanti a tutta velocità, sentendoci forti e capaci in tutto. Avidi di guadagno, ci siamo lasciati assorbire dalle cose e frastornare dalla fretta. Non ci siamo ridestati di fronte a guerre e ingiustizie planetarie, non abbiamo ascoltato il grido dei poveri e del nostro pianeta gravemente malato. Abbiamo proseguito imperterriti, pensando di rimanere sempre sani in un mondo malato. Ora, mentre stiamo in mare agitato, ti imploriamo: “Svegliati Signore!”.
Signore, tu ci rivolgi un appello, un appello alla fede. Che non è tanto credere che Tu esista, ma venire a Te e fidarsi di Te. In questa Quaresima risuona il tuo appello urgente: “Convertitevi”, «ritornate a me con tutto il cuore». Ci chiami a cogliere questo tempo di prova come un tempo di scelta. Non è il tempo del tuo giudizio, ma del nostro giudizio: il tempo di scegliere che cosa conta e che cosa passa, di separare ciò che è necessario da ciò che non lo è. È il tempo di reimpostare la rotta della vita verso di Te, Signore, e verso gli altri. E possiamo guardare a tanti compagni di viaggio esemplari, che, nella paura, hanno reagito donando la propria vita. È la forza operante dello Spirito riversata e plasmata in coraggiose e generose dedizioni. È la vita dello Spirito capace di riscattare, di valorizzare e di mostrare come le nostre vite siano tessute e sostenute da persone comuni – solitamente dimenticate – che non compaiono nei titoli dei giornali e delle riviste né nelle grandi passerelle dell’ultimo show ma, senza dubbio, stanno scrivendo oggi gli avvenimenti decisivi della nostra storia: medici, infermiere e infermieri, addetti dei supermercati, addetti alle pulizie, badanti, trasportatori, forze dell’ordine, volon-tari, sacerdoti, religiose e tanti ma tanti altri che hanno compreso che nessuno si salva da solo. Davanti alla sofferenza, dove si misura il vero sviluppo dei nostri popoli, scopriamo e speri-mentiamo la preghiera sacerdotale di Gesù: «che tutti siano una cosa sola». Quanta gente esercita ogni giorno pazienza e infonde speranza, avendo cura di non seminare panico ma corresponsabilità. Quanti padri, madri, nonni e nonne, insegnanti mostrano ai nostri bambini, con gesti piccoli e quotidiani, come affrontare e attraversare una crisi riadattando abitudini, alzando gli sguardi e stimolando la preghiera. Quante persone pregano, offrono e intercedono per il bene di tutti. La preghiera e il servizio silenzioso: sono le nostre armi vincenti.
Con la tempesta, è caduto il trucco di quegli stereotipi con cui mascheravamo i nostri “ego” sempre preoccupati della propria immagine; ed è rimasta scoperta, ancora una volta, quella benedetta appartenenza comune alla quale non possiamo sottrarci: l’appartenenza come fratelli.
«Perché avete paura? Non avete ancora fede?». Signore, la tua Parola stasera ci colpisce e ci riguarda, tutti. In questo nostro mondo, che Tu ami più di noi, siamo andati avanti a tutta velocità, sentendoci forti e capaci in tutto. Avidi di guadagno, ci siamo lasciati assorbire dalle cose e frastornare dalla fretta. Non ci siamo ridestati di fronte a guerre e ingiustizie planetarie, non abbiamo ascoltato il grido dei poveri e del nostro pianeta gravemente malato. Abbiamo proseguito imperterriti, pensando di rimanere sempre sani in un mondo malato. Ora, mentre stiamo in mare agitato, ti imploriamo: “Svegliati Signore!”.
Signore, tu ci rivolgi un appello, un appello alla fede. Che non è tanto credere che Tu esista, ma venire a Te e fidarsi di Te. In questa Quaresima risuona il tuo appello urgente: “Convertitevi”, «ritornate a me con tutto il cuore». Ci chiami a cogliere questo tempo di prova come un tempo di scelta. Non è il tempo del tuo giudizio, ma del nostro giudizio: il tempo di scegliere che cosa conta e che cosa passa, di separare ciò che è necessario da ciò che non lo è. È il tempo di reimpostare la rotta della vita verso di Te, Signore, e verso gli altri. E possiamo guardare a tanti compagni di viaggio esemplari, che, nella paura, hanno reagito donando la propria vita. È la forza operante dello Spirito riversata e plasmata in coraggiose e generose dedizioni. È la vita dello Spirito capace di riscattare, di valorizzare e di mostrare come le nostre vite siano tessute e sostenute da persone comuni – solitamente dimenticate – che non compaiono nei titoli dei giornali e delle riviste né nelle grandi passerelle dell’ultimo show ma, senza dubbio, stanno scrivendo oggi gli avvenimenti decisivi della nostra storia: medici, infermiere e infermieri, addetti dei supermercati, addetti alle pulizie, badanti, trasportatori, forze dell’ordine, volon-tari, sacerdoti, religiose e tanti ma tanti altri che hanno compreso che nessuno si salva da solo. Davanti alla sofferenza, dove si misura il vero sviluppo dei nostri popoli, scopriamo e speri-mentiamo la preghiera sacerdotale di Gesù: «che tutti siano una cosa sola». Quanta gente esercita ogni giorno pazienza e infonde speranza, avendo cura di non seminare panico ma corresponsabilità. Quanti padri, madri, nonni e nonne, insegnanti mostrano ai nostri bambini, con gesti piccoli e quotidiani, come affrontare e attraversare una crisi riadattando abitudini, alzando gli sguardi e stimolando la preghiera. Quante persone pregano, offrono e intercedono per il bene di tutti. La preghiera e il servizio silenzioso: sono le nostre armi vincenti.
L’inizio della fede è saperci bisognosi di salvezza. Non siamo autosufficienti, da soli; da soli affondiamo: invitiamo Gesù nelle barche delle nostre vite, consegniamogli le nostre paure, perché Lui le vinca. Come i discepoli sperimenteremo che, con Lui a bordo, non si fa naufragio. Perché questa è la forza di Dio: volgere al bene tutto quello che ci capita, anche le cose brutte. Egli porta il sereno nelle nostre tempeste, perché con Dio la vita non muore mai.
Il Signore ci interpella e, in mezzo alla nostra tempesta, ci invita a risvegliare e attivare la solidarietà e la speranza capaci di dare solidità, sostegno e significato a queste ore in cui tutto sembra naufragare. Il Signore si risveglia per risvegliare e ravvivare la nostra fede pasquale. Abbiamo un’ancora: nella sua croce siamo stati salvati. Abbiamo un timone: nella sua croce siamo stati riscattati. Abbiamo una speranza: nella sua croce siamo stati risanati e abbracciati affinché niente e nessuno ci separi dal suo amore redentore.
Abbracciare la sua croce significa trovare il coraggio di abbracciare tutte le contrarietà del tempo presente, abbandonando per un momento il nostro affanno di onnipotenza e di possesso per dare spazio alla creatività che solo lo Spirito è capace di suscitare. Significa trovare il coraggio di aprire spazi dove tutti possano sentirsi chiamati e permettere nuove forme di ospitalità, di fraternità, di solidarietà. Nella sua croce siamo stati salvati per accogliere la speranza e lasciare che sia essa a rafforzare e sostenere tutte le misure e le strade possibili che ci possono aiutare a custodirci e custodire. Abbracciare il Signore per abbracciare la speranza: ecco la forza della fede, che libera dalla paura e dà speranza.
«Perché avete paura? Non avete ancora fede?». Cari fratelli e sorelle, da questo luogo, che racconta la fede rocciosa di Pietro, stasera voglio affidarvi tutti al Signore, per l’intercessione della Madonna, salute del suo popolo e stella del mare in tempesta. Da questo colonnato che abbraccia Roma e il mondo scenda su di voi, come un abbraccio consolante, la benedizione di Dio. Signore, benedici il mondo, dona salute ai corpi e conforto ai cuori. Ci chiedi di non avere paura. Ma la nostra fede è debole e siamo timorosi. Però Tu, Signore, non lasciarci in balia della tempesta. Ripeti ancora: «Voi non abbiate paura». E noi, insieme a Pietro, “gettiamo in Te ogni preoccupazione, perché Tu hai cura di noi”.
Papa Francesco
Il Signore ci interpella e, in mezzo alla nostra tempesta, ci invita a risvegliare e attivare la solidarietà e la speranza capaci di dare solidità, sostegno e significato a queste ore in cui tutto sembra naufragare. Il Signore si risveglia per risvegliare e ravvivare la nostra fede pasquale. Abbiamo un’ancora: nella sua croce siamo stati salvati. Abbiamo un timone: nella sua croce siamo stati riscattati. Abbiamo una speranza: nella sua croce siamo stati risanati e abbracciati affinché niente e nessuno ci separi dal suo amore redentore.
Abbracciare la sua croce significa trovare il coraggio di abbracciare tutte le contrarietà del tempo presente, abbandonando per un momento il nostro affanno di onnipotenza e di possesso per dare spazio alla creatività che solo lo Spirito è capace di suscitare. Significa trovare il coraggio di aprire spazi dove tutti possano sentirsi chiamati e permettere nuove forme di ospitalità, di fraternità, di solidarietà. Nella sua croce siamo stati salvati per accogliere la speranza e lasciare che sia essa a rafforzare e sostenere tutte le misure e le strade possibili che ci possono aiutare a custodirci e custodire. Abbracciare il Signore per abbracciare la speranza: ecco la forza della fede, che libera dalla paura e dà speranza.
«Perché avete paura? Non avete ancora fede?». Cari fratelli e sorelle, da questo luogo, che racconta la fede rocciosa di Pietro, stasera voglio affidarvi tutti al Signore, per l’intercessione della Madonna, salute del suo popolo e stella del mare in tempesta. Da questo colonnato che abbraccia Roma e il mondo scenda su di voi, come un abbraccio consolante, la benedizione di Dio. Signore, benedici il mondo, dona salute ai corpi e conforto ai cuori. Ci chiedi di non avere paura. Ma la nostra fede è debole e siamo timorosi. Però Tu, Signore, non lasciarci in balia della tempesta. Ripeti ancora: «Voi non abbiate paura». E noi, insieme a Pietro, “gettiamo in Te ogni preoccupazione, perché Tu hai cura di noi”.
Papa Francesco
Questo il testo tradotto dal latino della benedizione ‘Urbi et Orbi’:
«I Santi apostoli Pietro e Paolo, nel cui potere e autorità confidiamo, intercedano per noi presso Dio. Amen.
Per le preghiere e i meriti della beata sempre Vergine Maria, del beato Michele arcangelo, del beato Giovanni Battista, dei santi apostoli Pietro e Paolo, e di tutti i santi, Dio onnipotente abbia misericordia di voi, e, perdonati tutti i vostri peccati, Gesù Cristo vi conduca alla vita eterna. Amen.
Il Signore onnipotente e misericordioso vi conceda l'indulgenza, l'assoluzione e la remissione di tutti i vostri peccati, un periodo di pentimento genuino e fruttuoso, un cuore sempre penitente e una conversione della vita, la grazia e il consiglio dello Spirito Santo, e la perseveranza continua nelle opere buone. Amen.
E la benedizione di Dio onnipotente, Padre † e Figlio † e Spirito † Santo discenda su di voi e con voi rimanga sempre. Amen.»
«I Santi apostoli Pietro e Paolo, nel cui potere e autorità confidiamo, intercedano per noi presso Dio. Amen.
Per le preghiere e i meriti della beata sempre Vergine Maria, del beato Michele arcangelo, del beato Giovanni Battista, dei santi apostoli Pietro e Paolo, e di tutti i santi, Dio onnipotente abbia misericordia di voi, e, perdonati tutti i vostri peccati, Gesù Cristo vi conduca alla vita eterna. Amen.
Il Signore onnipotente e misericordioso vi conceda l'indulgenza, l'assoluzione e la remissione di tutti i vostri peccati, un periodo di pentimento genuino e fruttuoso, un cuore sempre penitente e una conversione della vita, la grazia e il consiglio dello Spirito Santo, e la perseveranza continua nelle opere buone. Amen.
E la benedizione di Dio onnipotente, Padre † e Figlio † e Spirito † Santo discenda su di voi e con voi rimanga sempre. Amen.»
Ecco la trascrizione di una parte del messaggio che Alberto Angela ha lanciato mercoledi 25 marzo dagli schermi televisivi.
Un messaggio di speranza e di altissima sensibilità.
Non dimenticate
Il nostro paese ha certamente preso delle decisioni forti in queste settimane. All'inizio all'estero ci guardavano un po' con curiosità e attenzione e adesso l'Italia è vista come un esempio e un modello da seguire nella lotta a questo virus da parte di tutti i paesi del mondo e io mi sono chiesto come ha fatto questo piccolo Paese come l'Italia ad essere un faro, un esempio da seguire.
Ci sono tante spiegazioni ma io credo che ci sia anche qualcosa che deriva dalla nostra storia, dal nostro patrimonio perché tutto il nostro patrimonio è frutto delle generazioni passate che ci hanno lasciato dei monumenti ma anche dei valori e quei valori si sono accumulati gradualmente nella nostra testa E si chiamano CULTURA. Il modo di parlare, di scrivere, di vivere, di vestirsi, di mangiare. Io credo che tutto questo sia emerso in questo momento di emergenza. Queste antiche radici sono qui con noi è come se tutte le generazioni passate fossero assieme a noi a combattere suggerendoci il modo di comportarci e noi abbiamo ben 3000 anni di civiltà alle spalle. Forse è questo che fa la differenza. Bisogna ancora stringere i denti per un po' . Poi lo sappiamo che tutto finirà e allora chiedo due cose: innanzitutto non dimenticate, una volta che tutto sarà finito, chi in questo momento è in prima linea negli ospedali, tutte le persone che sono state coinvolte con uno spirito di sacrificio immenso e non scordiamoci chi non c'è più. E poi soprattutto quando partirete per fare dei viaggi, perché tutto sarà finito, premiate l'Italia, aiutate chi vive di turismo, cooperative di ragazzi, guide, alberghi, ristoranti che stanno soffrendo tantissimo e soprattutto in questo modo premierete anche il nostro patrimonio e tutte le generazioni passate che stanno lottando idealmente assieme a noi..
Alberto Angela
Un messaggio di speranza e di altissima sensibilità.
Non dimenticate
Il nostro paese ha certamente preso delle decisioni forti in queste settimane. All'inizio all'estero ci guardavano un po' con curiosità e attenzione e adesso l'Italia è vista come un esempio e un modello da seguire nella lotta a questo virus da parte di tutti i paesi del mondo e io mi sono chiesto come ha fatto questo piccolo Paese come l'Italia ad essere un faro, un esempio da seguire.
Ci sono tante spiegazioni ma io credo che ci sia anche qualcosa che deriva dalla nostra storia, dal nostro patrimonio perché tutto il nostro patrimonio è frutto delle generazioni passate che ci hanno lasciato dei monumenti ma anche dei valori e quei valori si sono accumulati gradualmente nella nostra testa E si chiamano CULTURA. Il modo di parlare, di scrivere, di vivere, di vestirsi, di mangiare. Io credo che tutto questo sia emerso in questo momento di emergenza. Queste antiche radici sono qui con noi è come se tutte le generazioni passate fossero assieme a noi a combattere suggerendoci il modo di comportarci e noi abbiamo ben 3000 anni di civiltà alle spalle. Forse è questo che fa la differenza. Bisogna ancora stringere i denti per un po' . Poi lo sappiamo che tutto finirà e allora chiedo due cose: innanzitutto non dimenticate, una volta che tutto sarà finito, chi in questo momento è in prima linea negli ospedali, tutte le persone che sono state coinvolte con uno spirito di sacrificio immenso e non scordiamoci chi non c'è più. E poi soprattutto quando partirete per fare dei viaggi, perché tutto sarà finito, premiate l'Italia, aiutate chi vive di turismo, cooperative di ragazzi, guide, alberghi, ristoranti che stanno soffrendo tantissimo e soprattutto in questo modo premierete anche il nostro patrimonio e tutte le generazioni passate che stanno lottando idealmente assieme a noi..
Alberto Angela
TUTTI A CASA! MA PER QUANTO?
Con la bizzarra eccezione dell’Antartide e dei suoi 4.000 ricercatori, non c’è angolo del pianeta che non stia sperimentando il flagello del coronavirus.
L’Italia ha ceduto agli Stati Uniti il primato dei contagiati sul totale della popolazione.
Comunque, a fine marzo, si contavano nel nostro Paese oltre 75.500 persone ancora positive oltre ai più di 14.600 guariti e agli 11.600 deceduti.
Da noi è più elevato il tasso di mortalità (rispetto al numero dei contagiati totali che sfiora i 102.000) risultando pari a oltre l’11% a livello nazionale con contro oltre il 16% della Lombardia (6.818 deceduti sui 42.161 casi positivi totali fin qui registrati) da raffrontare con il solo 4% circa della Cina.
La differenza si spiega (anche) con la più elevata anzianità media della popolazione italiana.
A Segrate, come comunicato dal Sindaco, a fine marzo si contavano circa 130 casi e 16 persone decedute (meglio della media lombarda e peggio di quella nazionale).
In mancanza di vaccini e/o di efficaci rimedi, le misure adottate sono simili in tutti i Paesi: chiusura delle scuole, divieto di assembramenti, saracinesche abbassate per gli esercizi commerciali (alimentari a parte), invito a restarsene a casa e a non frequentare amici.
Sono colpi durissimi alla socializzazione che potrebbero anche indurre riflessi pesanti sulle persone psicologicamente più deboli (c’è stato un suicidio a Milano Due!).
Ma ci sono anche notizie positive che è opportuno riportare.
La prima viene dagli Stati Uniti d’America, oggi i più colpiti dal virus rispetto ai predecessori asiatici ed europei, dove è stato annunciato un intervento “neo Keynesiano” da 2.000 miliardi di dollari.
Soldi pubblici destinati a sostenere sia la sanità che i redditi dei cittadini.
Donald Trump non è certo molto simpatico in Europa e tuttavia gli va riconosciuto il merito d’essere riuscito a mettere d’accordo repubblicani e democratici su misure di grande impatto sull’economia e sul welfare.
Anche il governo italiano si sta muovendo bene e, dopo alcuni decreti gravati da toni burocratici, si sta sforzando di allentare un po’ e per quanto possibile i cordoni dell’isolamento e della spesa con aiuti alle famiglie, detrazioni fiscali, compensazioni di reddito ai lavoratori meno protetti, etc…
Proprio sul possibile futuro allentamento delle attuali restrizioni esistono pareri anche del tutto discordanti.
In un’intervista “controcorrente” rilasciata all’Avvenire il 28 marzo scorso, Matteo Renzi ritiene che, per allentare i rischi di povertà diffusa e di malessere sociale, si debbano limitare i vincoli alla socializzazione sin dalle prossime festività pasquali, auspicando anche una progressiva riapertura delle scuole.
Questa proposta è stata accolta con sfavore e irritazione dai politici sia di destra (Salvini) che di sinistra (Calenda) ma sembra però che abbia raccolto un’accoglienza assai più favorevole sui “social”, specialmente fra i giovani.
Nessun dubbio sull’esser favorevoli alla riduzione dei vincoli alle libertà di movimento e d’incontro così come anche verso la riapertura “controllata” dei negozi che forniscono servizi ai cittadini anche riflettendo sull’enorme dimensione del mancato reddito per i lavoratori, i negozianti, i professionisti e gli artigiani. Ma quanto sarà possibile?
Che Dio ci guardi, dunque, dalle previsioni avanzate da Paolo Mieli sul “Corriere” del 26 marzo scorso.
Mieli si rifà ai tragici esempi storici di simili pandemie: dalla peste di Atene del V secolo, alla “morte nera” del Trecento, alla peste descritta da Alessandro Manzoni nei “Promessi Sposi”.
“Finita la prima fase del contagio” scrive Mieli “c’è una tregua, al termine della quale segue sempre una seconda ondata con relative e ancor più dure restrizioni”
Alla faccia dell’ottimismo!
Bruno Colle
Con la bizzarra eccezione dell’Antartide e dei suoi 4.000 ricercatori, non c’è angolo del pianeta che non stia sperimentando il flagello del coronavirus.
L’Italia ha ceduto agli Stati Uniti il primato dei contagiati sul totale della popolazione.
Comunque, a fine marzo, si contavano nel nostro Paese oltre 75.500 persone ancora positive oltre ai più di 14.600 guariti e agli 11.600 deceduti.
Da noi è più elevato il tasso di mortalità (rispetto al numero dei contagiati totali che sfiora i 102.000) risultando pari a oltre l’11% a livello nazionale con contro oltre il 16% della Lombardia (6.818 deceduti sui 42.161 casi positivi totali fin qui registrati) da raffrontare con il solo 4% circa della Cina.
La differenza si spiega (anche) con la più elevata anzianità media della popolazione italiana.
A Segrate, come comunicato dal Sindaco, a fine marzo si contavano circa 130 casi e 16 persone decedute (meglio della media lombarda e peggio di quella nazionale).
In mancanza di vaccini e/o di efficaci rimedi, le misure adottate sono simili in tutti i Paesi: chiusura delle scuole, divieto di assembramenti, saracinesche abbassate per gli esercizi commerciali (alimentari a parte), invito a restarsene a casa e a non frequentare amici.
Sono colpi durissimi alla socializzazione che potrebbero anche indurre riflessi pesanti sulle persone psicologicamente più deboli (c’è stato un suicidio a Milano Due!).
Ma ci sono anche notizie positive che è opportuno riportare.
La prima viene dagli Stati Uniti d’America, oggi i più colpiti dal virus rispetto ai predecessori asiatici ed europei, dove è stato annunciato un intervento “neo Keynesiano” da 2.000 miliardi di dollari.
Soldi pubblici destinati a sostenere sia la sanità che i redditi dei cittadini.
Donald Trump non è certo molto simpatico in Europa e tuttavia gli va riconosciuto il merito d’essere riuscito a mettere d’accordo repubblicani e democratici su misure di grande impatto sull’economia e sul welfare.
Anche il governo italiano si sta muovendo bene e, dopo alcuni decreti gravati da toni burocratici, si sta sforzando di allentare un po’ e per quanto possibile i cordoni dell’isolamento e della spesa con aiuti alle famiglie, detrazioni fiscali, compensazioni di reddito ai lavoratori meno protetti, etc…
Proprio sul possibile futuro allentamento delle attuali restrizioni esistono pareri anche del tutto discordanti.
In un’intervista “controcorrente” rilasciata all’Avvenire il 28 marzo scorso, Matteo Renzi ritiene che, per allentare i rischi di povertà diffusa e di malessere sociale, si debbano limitare i vincoli alla socializzazione sin dalle prossime festività pasquali, auspicando anche una progressiva riapertura delle scuole.
Questa proposta è stata accolta con sfavore e irritazione dai politici sia di destra (Salvini) che di sinistra (Calenda) ma sembra però che abbia raccolto un’accoglienza assai più favorevole sui “social”, specialmente fra i giovani.
Nessun dubbio sull’esser favorevoli alla riduzione dei vincoli alle libertà di movimento e d’incontro così come anche verso la riapertura “controllata” dei negozi che forniscono servizi ai cittadini anche riflettendo sull’enorme dimensione del mancato reddito per i lavoratori, i negozianti, i professionisti e gli artigiani. Ma quanto sarà possibile?
Che Dio ci guardi, dunque, dalle previsioni avanzate da Paolo Mieli sul “Corriere” del 26 marzo scorso.
Mieli si rifà ai tragici esempi storici di simili pandemie: dalla peste di Atene del V secolo, alla “morte nera” del Trecento, alla peste descritta da Alessandro Manzoni nei “Promessi Sposi”.
“Finita la prima fase del contagio” scrive Mieli “c’è una tregua, al termine della quale segue sempre una seconda ondata con relative e ancor più dure restrizioni”
Alla faccia dell’ottimismo!
Bruno Colle
DALLE MIE PRIGIONI
Accidenti al virus e a chi gli ha messo in testa la corona! Anche il sottoscritto, come quasi tutti gli italiani, obbediente e ossequiente alle leggi che lo Stato ha dovuto imporre, sono rinchiuso in casa mia e giro da una stanza all'altra come un animale in gabbia. Mi pare perfino che mi manchi il fiato. Queste sono (e spero provvisoriamente) le mie prigioni che niente hanno a che vedere con quelle di Silvio Pellico.
Ed è stato così che, girando per i saloni del mio modesto piedaterre, l'occhio mi è caduto sul calendario dove solitamente segno eventuali impegni tipo pensione, posta, qualche bolletta condominiale da pagare, ecc..., ecc...
Il mio calendario mi dice che oggi è il 18 marzo; mi fermo di colpo! 18 marzo questa data fa apparire nel grigiore della mia cervice un altro numero, il 23. Qualcosa di importante da ricordare, ma cosa? Ecco ci sono, oggi è la ricorrenza delle cinque giornate di Milano (18/23 marzo 1848).
In altri momenti la città sarebbe stata tutta imbandierata ma in questi giorni così tristi credo che ben pochi si siano ricordati di questo avvenimento.
Ecco perché io, figlio adottivo di questa grande città, corro a prendere la bandiera e la espongo sul balcone di casa a sventolare. E così che io voglio, ancora una volta ringraziare, lasciatemelo dire, la mia Milano per quanto mi ha dato. Ma la bandiera io voglio che sventoli come atto di solidarietà con quanti, leggi personale sanitario di ogni ordine e grado, in questi travagliati giorni stanno facendo per tutti noi cittadini ben più del loro dovere per combattere questo stramaledetto virus. Lui e che gli ha messo in testa la corona.
Gianfranco
Accidenti al virus e a chi gli ha messo in testa la corona! Anche il sottoscritto, come quasi tutti gli italiani, obbediente e ossequiente alle leggi che lo Stato ha dovuto imporre, sono rinchiuso in casa mia e giro da una stanza all'altra come un animale in gabbia. Mi pare perfino che mi manchi il fiato. Queste sono (e spero provvisoriamente) le mie prigioni che niente hanno a che vedere con quelle di Silvio Pellico.
Ed è stato così che, girando per i saloni del mio modesto piedaterre, l'occhio mi è caduto sul calendario dove solitamente segno eventuali impegni tipo pensione, posta, qualche bolletta condominiale da pagare, ecc..., ecc...
Il mio calendario mi dice che oggi è il 18 marzo; mi fermo di colpo! 18 marzo questa data fa apparire nel grigiore della mia cervice un altro numero, il 23. Qualcosa di importante da ricordare, ma cosa? Ecco ci sono, oggi è la ricorrenza delle cinque giornate di Milano (18/23 marzo 1848).
In altri momenti la città sarebbe stata tutta imbandierata ma in questi giorni così tristi credo che ben pochi si siano ricordati di questo avvenimento.
Ecco perché io, figlio adottivo di questa grande città, corro a prendere la bandiera e la espongo sul balcone di casa a sventolare. E così che io voglio, ancora una volta ringraziare, lasciatemelo dire, la mia Milano per quanto mi ha dato. Ma la bandiera io voglio che sventoli come atto di solidarietà con quanti, leggi personale sanitario di ogni ordine e grado, in questi travagliati giorni stanno facendo per tutti noi cittadini ben più del loro dovere per combattere questo stramaledetto virus. Lui e che gli ha messo in testa la corona.
Gianfranco
Profeti da ascoltare
Il giorno 20 marzo don Stefano ha mandato a una ventina di segratesi che sono sulla sua mail-list “10 consigli per vivere i giorni di isolamento”. Sono dieci consigli che suor Maria Teresa della Comunità delle Carmelitane Scalze di Cadice (Spagna), ha messo sulla loro pagina internet. A differenza dei Comandamenti biblici, mi pare non ci sia l’obbligo di osservarli tutti, così ho scelto di mettere in evidenza il settimo che consiglia di essere selettivi. Poi il nono che invita a programmare i cambiamenti che dovremo mettere in atto al termine dell’isolamento. Suor Maria Teresa non indica quali dovranno essere questi cambiamenti, raccomanda solo “un buon discernimento”. Purtroppo proprio qui sta la difficoltà, è molto difficile scegliere nel mare pressoché infinito delle informazioni che ci vengono propinate quotidianamente. Mai come ora siamo invasi da “falsi profeti” che si nascondono nella virtualità digitale e in tutti i mezzi d’informazione. Bisognerebbe aver imparato dalla compianta professoressa segratese Luciana Margelli che “Altri si vantino pure di quello che hanno scritto, io sono orgogliosa di quello che ho letto”. Evidentemente avendo scelto argomenti e Autori di provata affidabilità. Mi azzardo a dare qualche nome di chi considero “moderni profeti da ascoltare”. Inizierei con l’Abbè Pierre e con il suo “Testamento” pubblicato nel 1994. Lì ho trovato nuovi paradigmi per la società e per la Chiesa fondati sull’Amore. (Non solo quello per il prossimo, ma soprattutto quello per la Pace). Un altro grande profeta è stato il sociologo tedesco Urich Beck, morto nel 2015 il quale ha scritto “La società del rischio” nel 1986. Già allora aveva definito i rischi (compresi quelli virali), “un prodotto della modernizzazione”. Rischi globalizzati e socializzati, e ha anche affermato che per evitarli sia necessario che i monopoli (ossia le multinazionali) “producano auto-critica”. Ci sono poi profeti meno noti come Manuel Sager che nell’editoriale della rivista “Un solo mondo” del 1° marzo 2020 scrive: “Nessun Paese può tutelarsi da solo contro le pandemie, i cambiamenti climatici, la penuria d’acqua, gli attacchi informatici, il terrorismo … più che interrogarci contro quali Stati dovremmo difenderci, dobbiamo piuttosto interrogarci con quali Stati collaborare per lottare contro tali pericoli.” Anche noi della terza età dobbiamo fare un po’ di autocritica: Ci siamo lasciati incantare dalle sirene della pubblicità e del consumismo; al termine dell’isolamento dovremo evitare ai nostri nipoti di cadere nello stesso errore.
Enrico Sciarini
Il giorno 20 marzo don Stefano ha mandato a una ventina di segratesi che sono sulla sua mail-list “10 consigli per vivere i giorni di isolamento”. Sono dieci consigli che suor Maria Teresa della Comunità delle Carmelitane Scalze di Cadice (Spagna), ha messo sulla loro pagina internet. A differenza dei Comandamenti biblici, mi pare non ci sia l’obbligo di osservarli tutti, così ho scelto di mettere in evidenza il settimo che consiglia di essere selettivi. Poi il nono che invita a programmare i cambiamenti che dovremo mettere in atto al termine dell’isolamento. Suor Maria Teresa non indica quali dovranno essere questi cambiamenti, raccomanda solo “un buon discernimento”. Purtroppo proprio qui sta la difficoltà, è molto difficile scegliere nel mare pressoché infinito delle informazioni che ci vengono propinate quotidianamente. Mai come ora siamo invasi da “falsi profeti” che si nascondono nella virtualità digitale e in tutti i mezzi d’informazione. Bisognerebbe aver imparato dalla compianta professoressa segratese Luciana Margelli che “Altri si vantino pure di quello che hanno scritto, io sono orgogliosa di quello che ho letto”. Evidentemente avendo scelto argomenti e Autori di provata affidabilità. Mi azzardo a dare qualche nome di chi considero “moderni profeti da ascoltare”. Inizierei con l’Abbè Pierre e con il suo “Testamento” pubblicato nel 1994. Lì ho trovato nuovi paradigmi per la società e per la Chiesa fondati sull’Amore. (Non solo quello per il prossimo, ma soprattutto quello per la Pace). Un altro grande profeta è stato il sociologo tedesco Urich Beck, morto nel 2015 il quale ha scritto “La società del rischio” nel 1986. Già allora aveva definito i rischi (compresi quelli virali), “un prodotto della modernizzazione”. Rischi globalizzati e socializzati, e ha anche affermato che per evitarli sia necessario che i monopoli (ossia le multinazionali) “producano auto-critica”. Ci sono poi profeti meno noti come Manuel Sager che nell’editoriale della rivista “Un solo mondo” del 1° marzo 2020 scrive: “Nessun Paese può tutelarsi da solo contro le pandemie, i cambiamenti climatici, la penuria d’acqua, gli attacchi informatici, il terrorismo … più che interrogarci contro quali Stati dovremmo difenderci, dobbiamo piuttosto interrogarci con quali Stati collaborare per lottare contro tali pericoli.” Anche noi della terza età dobbiamo fare un po’ di autocritica: Ci siamo lasciati incantare dalle sirene della pubblicità e del consumismo; al termine dell’isolamento dovremo evitare ai nostri nipoti di cadere nello stesso errore.
Enrico Sciarini
L’ULTIMA CAREZZA
E’ l’alba: all’aeroporto Charles de Gaulle di Parigi atterra l’aereo proveniente dalla Costa d’Avorio.
Si scaricano i bagagli e tra questi c’è un grande fagotto irrigidito dal gelo.
E’ un bambino nero, riccioluto di circa 10 anni.Come sarà finito nella stiva del Boeing? Forse si sarà arrampicato di nascosto tra le ruote dell’apparecchio pensando di arrivare a Parigi in Europa.
Succede (mi dicono) che qualcuno tenti questa strada per fuggire dall’inferno della povertà e della prostituzione per poi fare questa fine stroncati dal freddo e dalla mancanza d’ossigeno.
Di solito si tratta di adulti e qualcuno, pur stremato, è riuscito anche a sopravvivere ma un povero bambino di 10 anni cosa mai potrà aver pensato, voluto, sperato?
Nessuno mai potrà saperlo e nemmeno si sa il suo nome perché nessuno lo stava aspettando tra le mille luci di Parigi.
Lui, abituato al sole del deserto, si è trovato al buio, al freddo senza uno straccio per coprirsi. Avrà visto calare il sole, spuntare le stelle e la luna nel cielo infinito e sarà stato felice: avrà pensato d’avercela fatta!
Poi però, pian piano, sarà caduto nel sonno di quel gelo profondo che ha fatto finire tutte le sue speranze e le sue illusioni!
Cosa sperava di trovare a Parigi? Cosa può spingere un bambino a tentare una simile impresa?
Per imitare gli amici? No! Per fuggire dalla povertà? No!
Io sono sicura che questo povero cucciolo d’uomo indifeso volesse e sperasse ardentemente di trovare qualcuno che amava, di trovarlo lì ad aspettarlo: forse una mamma che non c’era più e che tornasse a stringerlo fra le sue braccia e che lo accarezzasse dolcemente!“E’ un altro clandestino” avranno detto gli operai dell’aeroporto. Ma questo era un povero bambino di 10 anni che voleva soltanto una carezza. Lidia
E’ l’alba: all’aeroporto Charles de Gaulle di Parigi atterra l’aereo proveniente dalla Costa d’Avorio.
Si scaricano i bagagli e tra questi c’è un grande fagotto irrigidito dal gelo.
E’ un bambino nero, riccioluto di circa 10 anni.Come sarà finito nella stiva del Boeing? Forse si sarà arrampicato di nascosto tra le ruote dell’apparecchio pensando di arrivare a Parigi in Europa.
Succede (mi dicono) che qualcuno tenti questa strada per fuggire dall’inferno della povertà e della prostituzione per poi fare questa fine stroncati dal freddo e dalla mancanza d’ossigeno.
Di solito si tratta di adulti e qualcuno, pur stremato, è riuscito anche a sopravvivere ma un povero bambino di 10 anni cosa mai potrà aver pensato, voluto, sperato?
Nessuno mai potrà saperlo e nemmeno si sa il suo nome perché nessuno lo stava aspettando tra le mille luci di Parigi.
Lui, abituato al sole del deserto, si è trovato al buio, al freddo senza uno straccio per coprirsi. Avrà visto calare il sole, spuntare le stelle e la luna nel cielo infinito e sarà stato felice: avrà pensato d’avercela fatta!
Poi però, pian piano, sarà caduto nel sonno di quel gelo profondo che ha fatto finire tutte le sue speranze e le sue illusioni!
Cosa sperava di trovare a Parigi? Cosa può spingere un bambino a tentare una simile impresa?
Per imitare gli amici? No! Per fuggire dalla povertà? No!
Io sono sicura che questo povero cucciolo d’uomo indifeso volesse e sperasse ardentemente di trovare qualcuno che amava, di trovarlo lì ad aspettarlo: forse una mamma che non c’era più e che tornasse a stringerlo fra le sue braccia e che lo accarezzasse dolcemente!“E’ un altro clandestino” avranno detto gli operai dell’aeroporto. Ma questo era un povero bambino di 10 anni che voleva soltanto una carezza. Lidia
Questa piccola grande ospitalità
Mai come oggi le parole accoglienza e ospitalità risuonano con frequenza sulle nostre labbra, segnate da sentimenti e accenti diversi. A volte sono considerate parole evocatrici di virtù, altre volte sono impiegate per definire atteggiamenti detestabili, ritenuti contrari al bene comune.
Quando si parla di accoglienza, ci si riferisce soprattutto all’atteg-giamento che si deve o non si deve assumere nei confronti dei migranti che approdano sulle nostre terre, attraversando il Mediterraneo. Ma l’accoglienza e l’ospitalità dovrebbero essere innanzitutto realtà quotidiane, che pratichiamo per andare oltre il dialogo, oltre l’incontro, verso una comunicazione più vitale, verso la comunione. L’ospitalità, infatti, non si ferma all’incontro con l’altro sul terreno neutrale di una lingua comune, ma lascia entrare l’altro nel proprio spazio, nella propria casa.
L’ospitalità è una comunicazione fatta di gesti meno ambigui e nel contempo meno espliciti delle parole, ma capaci di accendere una generosa e benevola relazione con l’altro. L’ospitalità riguarda la relazione io-tu che non può essere letta come minaccia alla centralità della mia persona ma come evento in cui io stesso mi costituisco, divento più umano: mai senza l’altro.
D’altronde, fin dall’inizio della nostra esistenza siamo segnati dalla presenza dell’altro: l’altro che è in competizione con noi per l’amore di nostra madre (padre, fratelli, sorelle); l’altro che minaccia la mia unicità e la mia centralità, ma che può essere alleato, complice, amato e amante. L’ospitalità sta nello spazio dell’etica, ed è significativo che Tacito attesti che la parola latina humanitas sia sinonimo di hospitalitas. Si diventa umani attraverso la pratica dell’ospitalità.
L’ospitalità concerne molte dimensioni della nostra vita, nelle relazioni personali e nelle storie condivise, negli incontri sociali, politici o religiosi. Nell’antichità, nel nostro Mediterraneo, l’ospitalità era ritenuta una grazia più che una virtù, perché si pensava che stranieri e viandanti fossero inviati dagli dèi e che, ospitando chi si presentava alla porta di casa, si ospitasse Dio. La filantropia, cioè l’amore per l’umanità, era associata all’amore di Dio, e questa certezza ispirava un’ospitalità sacra, assoluta, gratuita.
Oggi invece le nostre case sono sovente inaccessibili, le nostre abitazioni piccole e l’ospitalità concreta, vera, quella di chi invita in casa e alla propria tavola, è ormai diventata rara. E pensare che pochi decenni fa, nelle nostre terre, quando c’era un pasto di festa si lasciava sempre una sedia vuota attorno alla tavola, ripetendo: “Se arriva un ospite inatteso, tutto è pronto”.
Tratto da uno scritto di Enzo Bianchi della Comunità di Bose
Mai come oggi le parole accoglienza e ospitalità risuonano con frequenza sulle nostre labbra, segnate da sentimenti e accenti diversi. A volte sono considerate parole evocatrici di virtù, altre volte sono impiegate per definire atteggiamenti detestabili, ritenuti contrari al bene comune.
Quando si parla di accoglienza, ci si riferisce soprattutto all’atteg-giamento che si deve o non si deve assumere nei confronti dei migranti che approdano sulle nostre terre, attraversando il Mediterraneo. Ma l’accoglienza e l’ospitalità dovrebbero essere innanzitutto realtà quotidiane, che pratichiamo per andare oltre il dialogo, oltre l’incontro, verso una comunicazione più vitale, verso la comunione. L’ospitalità, infatti, non si ferma all’incontro con l’altro sul terreno neutrale di una lingua comune, ma lascia entrare l’altro nel proprio spazio, nella propria casa.
L’ospitalità è una comunicazione fatta di gesti meno ambigui e nel contempo meno espliciti delle parole, ma capaci di accendere una generosa e benevola relazione con l’altro. L’ospitalità riguarda la relazione io-tu che non può essere letta come minaccia alla centralità della mia persona ma come evento in cui io stesso mi costituisco, divento più umano: mai senza l’altro.
D’altronde, fin dall’inizio della nostra esistenza siamo segnati dalla presenza dell’altro: l’altro che è in competizione con noi per l’amore di nostra madre (padre, fratelli, sorelle); l’altro che minaccia la mia unicità e la mia centralità, ma che può essere alleato, complice, amato e amante. L’ospitalità sta nello spazio dell’etica, ed è significativo che Tacito attesti che la parola latina humanitas sia sinonimo di hospitalitas. Si diventa umani attraverso la pratica dell’ospitalità.
L’ospitalità concerne molte dimensioni della nostra vita, nelle relazioni personali e nelle storie condivise, negli incontri sociali, politici o religiosi. Nell’antichità, nel nostro Mediterraneo, l’ospitalità era ritenuta una grazia più che una virtù, perché si pensava che stranieri e viandanti fossero inviati dagli dèi e che, ospitando chi si presentava alla porta di casa, si ospitasse Dio. La filantropia, cioè l’amore per l’umanità, era associata all’amore di Dio, e questa certezza ispirava un’ospitalità sacra, assoluta, gratuita.
Oggi invece le nostre case sono sovente inaccessibili, le nostre abitazioni piccole e l’ospitalità concreta, vera, quella di chi invita in casa e alla propria tavola, è ormai diventata rara. E pensare che pochi decenni fa, nelle nostre terre, quando c’era un pasto di festa si lasciava sempre una sedia vuota attorno alla tavola, ripetendo: “Se arriva un ospite inatteso, tutto è pronto”.
Tratto da uno scritto di Enzo Bianchi della Comunità di Bose
La Comunità monastica di Bose è una comunità religiosa formata da monaci di entrambi i sessi, provenienti da Chiese cristiane diverse. Sin dalla fondazione, la Comunità di Bose promuove un intenso dialogo ecumenico fra le differenti Chiese e denominazioni cristiane. Il fondatore della comunità è Enzo Bianchi; dal 26 gennaio 2017 il priore è Luciano Manicardi. Ha sede dal 1965 a Bose, frazione del comune di Magnano, in provincia di Biella. La comunità nacque l'8 dicembre 1965, giorno in cui si chiudeva il Concilio Vaticano II, quando Enzo Bianchi decise di iniziare a vivere, solo, in una casa affittata presso le cascine di Bose, una frazione del comune di Magnano. I primi confratelli giunsero tre anni dopo, e fra essi c'erano anche una donna e un pastore protestante.
RICORDO DI PADRE DARIO
Cari amici, come probabilmente molti di voi già sapranno il 13 marzo ci ha lasciato Padre Dario Martino che ha trascorso lunghi anni al servizio della comunità della parrocchia di Sant’Ambrogio ad Fontes al Villaggio Ambrosiano.
Quando vi è giunto, nel 1965, non vi esisteva alcun tipo di comunità e le attività religiose raramente e solo occasionalmente andavano oltre le celebrazioni liturgiche: non c’erano gruppi, associazioni, etc…
Con suo fratello Vittorio è stata una figura importante per tanti giovani di allora (che ancor oggi sono parte attiva della comunità) perché, insieme, hanno reso vitale la parrocchia non solo da un punto di vista ecclesiastico ma anche umanamente andando a coinvolgere aspetti sociali, lavorativi, culturali, sportivi, etc...
Con Dario sono nati i gruppi dei ministranti, dei lettori, degli scout, la polisportiva, la filodrammatica e, ancora, tanti e tanti altri.
A Dario e a Vittorio tanti di noi devono il merito, oltre che d’aver reso “meno brutta” la nostra chiesa, anche di essere stati delle vere e preziosissime guide per la nostra crescita umana, cristiana, sociale e anche lavorativa.
Partito alla fine del 1978 come missionario nei barrios di Buenos Ayres, è rientrato sporadicamente a Segrate riuscendo ancor meglio a concretizzare la missionarietà della nostra parrocchia e a istituire una sorta di gemellaggio con quella argentina di San Vicente de Paul.
Il suo lavoro in terra di missione ha dell’incredibile per le tante opere sociali e di promozione umana che è riuscito a realizzarvi.
Minato nella salute, è definitivamente rientrato in Italia all’inizio del secondo decennio del nostro secolo e si è spento il 13 marzo scorso. Purtroppo le note restrizioni per la pandemia in atto non ci hanno neppure concesso di onorarlo degnamente.
Personalmente ringrazio il buon Dio per aver messo Dario sulla mia strada perché lui mi ha letteralmente trasformato caratterialmente (ero schivo ed introverso) permettendomi di riuscire a fare quel poco di buono che ho compiuto in famiglia, in parrocchia e nel mondo del lavoro.
Per salutarlo mi è tornata in mente la targa che, come filodrammatica, gli donammo pochi mesi prima che partisse per la missione.
Era il 28 giugno del 1978 e Dario, quella sera, sedette per l’ultima volta, sullo sgabello di regia dirigendo la commedia “Relazione sentimentale”.
Sulla targa era incisa una battuta che Zago (il suo autore preferito che ora incontrerà lassù nel Paradiso) mise in bocca ad un suo personaggio per fargli esprimere, pur nel paradosso delle parole, la certezza che non avrebbe mai più potuto dimenticare e, quindi, mi faccio portavoce di tanti amici per dirti che “noi non ti diciamo che ti ricorderemo, anzi faremo di tutto per dimenticarti …”.
E, come per il personaggio di Elisa, anche per noi i puntini stanno ad indicare il montare a valanga dei sentimenti che chiudono le nostre labbra e fermano la nostra penna, … ma non la speranza.
Arrivederci, dunque, caro Dario: come dicono i lombardi “ti sia lieve la terra” ma, soprattutto, come diceva invece il tuo amato fratello Vittorio, che anche tu possa “in pace passare sotto l’architrave della casa nella quale torneremo un giorno ad incontrarci tutti!”
Antonio
Cari amici, come probabilmente molti di voi già sapranno il 13 marzo ci ha lasciato Padre Dario Martino che ha trascorso lunghi anni al servizio della comunità della parrocchia di Sant’Ambrogio ad Fontes al Villaggio Ambrosiano.
Quando vi è giunto, nel 1965, non vi esisteva alcun tipo di comunità e le attività religiose raramente e solo occasionalmente andavano oltre le celebrazioni liturgiche: non c’erano gruppi, associazioni, etc…
Con suo fratello Vittorio è stata una figura importante per tanti giovani di allora (che ancor oggi sono parte attiva della comunità) perché, insieme, hanno reso vitale la parrocchia non solo da un punto di vista ecclesiastico ma anche umanamente andando a coinvolgere aspetti sociali, lavorativi, culturali, sportivi, etc...
Con Dario sono nati i gruppi dei ministranti, dei lettori, degli scout, la polisportiva, la filodrammatica e, ancora, tanti e tanti altri.
A Dario e a Vittorio tanti di noi devono il merito, oltre che d’aver reso “meno brutta” la nostra chiesa, anche di essere stati delle vere e preziosissime guide per la nostra crescita umana, cristiana, sociale e anche lavorativa.
Partito alla fine del 1978 come missionario nei barrios di Buenos Ayres, è rientrato sporadicamente a Segrate riuscendo ancor meglio a concretizzare la missionarietà della nostra parrocchia e a istituire una sorta di gemellaggio con quella argentina di San Vicente de Paul.
Il suo lavoro in terra di missione ha dell’incredibile per le tante opere sociali e di promozione umana che è riuscito a realizzarvi.
Minato nella salute, è definitivamente rientrato in Italia all’inizio del secondo decennio del nostro secolo e si è spento il 13 marzo scorso. Purtroppo le note restrizioni per la pandemia in atto non ci hanno neppure concesso di onorarlo degnamente.
Personalmente ringrazio il buon Dio per aver messo Dario sulla mia strada perché lui mi ha letteralmente trasformato caratterialmente (ero schivo ed introverso) permettendomi di riuscire a fare quel poco di buono che ho compiuto in famiglia, in parrocchia e nel mondo del lavoro.
Per salutarlo mi è tornata in mente la targa che, come filodrammatica, gli donammo pochi mesi prima che partisse per la missione.
Era il 28 giugno del 1978 e Dario, quella sera, sedette per l’ultima volta, sullo sgabello di regia dirigendo la commedia “Relazione sentimentale”.
Sulla targa era incisa una battuta che Zago (il suo autore preferito che ora incontrerà lassù nel Paradiso) mise in bocca ad un suo personaggio per fargli esprimere, pur nel paradosso delle parole, la certezza che non avrebbe mai più potuto dimenticare e, quindi, mi faccio portavoce di tanti amici per dirti che “noi non ti diciamo che ti ricorderemo, anzi faremo di tutto per dimenticarti …”.
E, come per il personaggio di Elisa, anche per noi i puntini stanno ad indicare il montare a valanga dei sentimenti che chiudono le nostre labbra e fermano la nostra penna, … ma non la speranza.
Arrivederci, dunque, caro Dario: come dicono i lombardi “ti sia lieve la terra” ma, soprattutto, come diceva invece il tuo amato fratello Vittorio, che anche tu possa “in pace passare sotto l’architrave della casa nella quale torneremo un giorno ad incontrarci tutti!”
Antonio
I TERRAPIATTISTI
In un settimanale del gennaio scorso ho letto un articolo che parlava dei terrapiattisti e l’argomento ha suscitato la mia curiosità.
Chi sono i terrapiattisti?
Secondo una teoria del XIX° secolo, sono coloro che sostengono che la terra sia piatta.
Com’è noto questa teoria può costituire un ritorno a ciò che credevano i popoli antichi anche se già alla fine del V° secolo avanti Cristo il fatto che la terra fosse un globo era una teoria assodata e anche nel Medioevo venne confermato questo concetto.
Il movimento dei terrapiattisti è cominciato nel XIX° secolo quando l’inglese Samuel Birley iniziò a fare osservazioni su un canale artificiale perfettamente rettilineo (che si trova nella Contea di Cambrige) che non evidenziava nessuna curvatura dell’ac-qua e da ciò dedusse che la terra fosse piatta.
Con alterne vicende, le idee dell’inglese passarono in America e si diffusero poi nel mondo e anche quando gli astronauti dallo spazio mostrarono le prime immagini della terra tonda, i terrapiattisti sostennero che le foto e le riprese spaziali fossero false e taroccate.
Una ventina d’anni fa i terrapiattisti sembra-vano in via d’estinzione ma, con l’avvento di internet, la rete ha fatto risuscitare il movimento che ha raggiunto un pubblico inimmagina-bile facendo leva sul disagio diffusosi nei confronti delle istituzioni scientifiche, religiose e politiche. Secondo un’indagine di YouGov, sono circa 29 milioni i terrapiattisti presenti solo negli Stati Uniti!
Il 22 febbraio scorso un trafiletto pubblicato da un quotidiano locale dava notizia che l’inglese Michael Hughes (di 64 anni) , volendo dimostrare che la terra fosse piatta, aveva costruito in casa un razzo a vapore e che, volendo dimostrare praticamente la sua teoria, vi salì a bordo.
Ma il razzo si schiantò nel deserto della California e così questo temerario teorico ci ha rimesso la vita.
Sulla forma della terra si può anche sorridere ma pare che questi terrapiattisti neghino anche il riscaldamento globale, l’utilità dei vaccini, l’evoluzione della specie e tutta la storia così com’è scritta nei libri.
Assodato che nel secolo in cui stiamo vivendo non mancano problematiche di ogni genere e grado, penso proprio che dei terrapiattisti non ne sentivamo certo la necessità!
Ho ragione o sbaglio?
Fernanda
In un settimanale del gennaio scorso ho letto un articolo che parlava dei terrapiattisti e l’argomento ha suscitato la mia curiosità.
Chi sono i terrapiattisti?
Secondo una teoria del XIX° secolo, sono coloro che sostengono che la terra sia piatta.
Com’è noto questa teoria può costituire un ritorno a ciò che credevano i popoli antichi anche se già alla fine del V° secolo avanti Cristo il fatto che la terra fosse un globo era una teoria assodata e anche nel Medioevo venne confermato questo concetto.
Il movimento dei terrapiattisti è cominciato nel XIX° secolo quando l’inglese Samuel Birley iniziò a fare osservazioni su un canale artificiale perfettamente rettilineo (che si trova nella Contea di Cambrige) che non evidenziava nessuna curvatura dell’ac-qua e da ciò dedusse che la terra fosse piatta.
Con alterne vicende, le idee dell’inglese passarono in America e si diffusero poi nel mondo e anche quando gli astronauti dallo spazio mostrarono le prime immagini della terra tonda, i terrapiattisti sostennero che le foto e le riprese spaziali fossero false e taroccate.
Una ventina d’anni fa i terrapiattisti sembra-vano in via d’estinzione ma, con l’avvento di internet, la rete ha fatto risuscitare il movimento che ha raggiunto un pubblico inimmagina-bile facendo leva sul disagio diffusosi nei confronti delle istituzioni scientifiche, religiose e politiche. Secondo un’indagine di YouGov, sono circa 29 milioni i terrapiattisti presenti solo negli Stati Uniti!
Il 22 febbraio scorso un trafiletto pubblicato da un quotidiano locale dava notizia che l’inglese Michael Hughes (di 64 anni) , volendo dimostrare che la terra fosse piatta, aveva costruito in casa un razzo a vapore e che, volendo dimostrare praticamente la sua teoria, vi salì a bordo.
Ma il razzo si schiantò nel deserto della California e così questo temerario teorico ci ha rimesso la vita.
Sulla forma della terra si può anche sorridere ma pare che questi terrapiattisti neghino anche il riscaldamento globale, l’utilità dei vaccini, l’evoluzione della specie e tutta la storia così com’è scritta nei libri.
Assodato che nel secolo in cui stiamo vivendo non mancano problematiche di ogni genere e grado, penso proprio che dei terrapiattisti non ne sentivamo certo la necessità!
Ho ragione o sbaglio?
Fernanda
Costituente Terra
Nel 1941 Altiero Spinelli e Ernesto Rossi, confinati sull’isola di Ventotene, scrissero un documento titolato: “Per un’Europa libera e unita”, successivamente conosciuto come “Manifesto di Ventotene”, dal quale scaturì quella che è oggi l’Unione Europea. All’inizio del loro “Manifesto” ne furono a conoscenza ben poche persone, ma, meno di un decennio dopo, quel “Manifesto” ha suscitato l’interesse di Capi di Governo illuminati quali furono Conrad Adenauer, Robert Schuman e Alcide De Gasperi che ne fecero il documento basilare per la costituzione della Comunità Economica Europea. Il 21 febbraio scorso, nella stupenda sede della Biblioteca Valliceliana di Roma, due italiani hanno dato vita alla “Scuola Costituente Terra” che è un Pensiero, una Costituzione, una Politica a livello planetario. I due sono: l’ex Senatore e giornalista Raniero La Valle e l’ex magistrato e filosofo del diritto Luigi Ferrajoli. Il loro non è un Manifesto; quello che si prefiggono è l’avvio di una Carta Costituzionale che, partendo dalla Carta delle Nazioni Unite e dalla Dichiarazione Universale dei Diritti umani, formuli una Costituzione sovranazionale, valida su tutta la Terra allo scopo di evitare: la catastrofe ecologica, le guerre, la povertà e le disuguaglianze. Un gruppo di oltre duecento persone ha già aderito a questa “Scuola”, il cui scopo non è quello di insegnare un sapere già noto, ma di suscitare un nuovo pensiero a cominciare da quello “dell’unità del popolo della Terra”. Un unico popolo e una scuola che non insegnerà più l’arte della guerra, ma insegnerà l’arte della Pace. Come non è stata un’utopia quella di Spinelli e Rossi, sarebbe altrettanto bello che non lo fosse neppure il progetto di La Valle e Ferrajoli. Chissà, forse i futuro anche l’MTE potrebbe aderire al progetto; per adesso basti sapere che i profeti esistono ancora. Enrico Sciarini UNA GIORNATA NEL DUCATO
Il ducato di Parma era uno dei tanti staterelli italiani prima dell’unità nazionale e sorge, tra il Po e la montagna, in un territorio punteggiato da un ricco panorama di castelli. Sabato 22 febbraio abbiamo visitato le, vicine fra loro, rocche di Soragna e di Fontanellato. Leggi tutto... |
ANNIVERSARI NEL 2020
Quest’anno ricorrono tanti anniversari da festeggiare ed è bello e, soprattutto, doveroso, ricordarsi di personaggi che hanno contrassegnato la nostra cultura e offerto proposte per il nostro vivere quotidiano. - 500 anni sono passati dalla morte di Raffaello Sanzio, spirato a Roma all’età di soli 37 anni. Raffaello va ricordato come un maestro della pittura rinascimentale ma anche come uno dei primi artisti che si preoccupò del fatto che il nostro patrimonio culturale non dovesse essere soggetto all’incuria degli uomini! - 200 anni sono passati dalla nascita di Ludwing Van Beethoven. In tutto il mondo si moltiplicano le iniziative per celebrare gli aspetti più attuali del compositore: la sua anima cosmopolita e il suo timoroso rispetto per la natura. Basti pensare all’Inno alla Gioia o alla Sinfonia Pastorale. Lui stesso dovette traslocare dalla casa di Bonn per le esondazioni che colpirono tutto il nord Europa nel tempo in cui visse. - 150 anni sono trascorsi dalla nascita di Florence Nigtingale (forse poco conosciuta dal pubblico) che, battezzata in onore della città di Firenze in cui visse i primi anni della sua vita, fu la fondatrice dell’assistenza infermieristica moderna. A seguito della sua esperienza in un ospedale turco dove erano ospitati i feriti della guerra di Crimea, nel 1854 teorizzò i requisiti necessari per un’assistenza dignitosa ai malati anche se già qualche anno prima aveva fondato a Londra un ospedale per donne povere. - 150 anni sono passati dalla nascita di Maria Montessori, educatrice che propugnò un metodo personale d’insegnamento nato dall’osservazione dei comportamenti dei bambini che lei definiva “esseri completi dotati di energie creative”. - 100 anni sono trascorsi dalla morte di Gianni Rodari, nato a Omegna (NO), mio corregionale e insegnante, che è stato autore di letteratura per l’infanzia e che si inserisce nel solco della grande tradizione umoristica italiana: da Carlo Collodi (Pinocchio) a Sergio Tofano (Il signor Bonaventura). Questi sono gli anniversari più noti ma non se ne possono tralasciare altri come: - i 100 anni dalla nascita di Federico Fellini: un genio rivoluzionario considerato il maestro del surreale e del grottesco, a cui si sono ispirati schiere di registi da Woody Allen fino a Paolo Sorrentino; - i 50 anni dalla morte di Jimi Hendrix, scomparso all’età di 27 anni in un hotel di Londra. Fu considerato il miglior chitarrista della storia del rock; - i 30 anni trascorsi dalla prima Guerra del Golfo: il 2 agosto 1990 il presidente iracheno Saddam Hussein invase il Kuwait. Sono invece passati 75 anni dallo scoppio dell’atomica a Hiroshima. Ed infine un ultimo anniversario da citare che è un po’ particolare: l’1 aprile di 50 anni fa il Presidente U.S.A. Richard Nixon firmava la legge che imponeva di scrivere sui pacchetti di sigarette la scritta “nuoce gravemente alla salute”. Parole sante, Presidente ma mai abbastanza ascoltate! “Sic transit gloria mundi” dicevano i latini. Fernanda |
E ORA… UN PO’ DI UMORISMO!
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