Articoli del giornalino settembre/ ottobre 2020
Cari amici, ben ritrovati!
Dopo mesi bui sembra tornare a vedersi un po’ di luce in fondo al tunnel indesideratamente propostoci da questo, ancora per certi versi misterioso, covid 19. Le attività stanno riprendendo, i contagi diminuiscono e speriamo un po’ alla volta di poter tornare a una parvenza di normalità. Di certo parrocchie e associazioni sembrano essere state dimenticate da ogni provvedimento statale di varia natura emesso per l’emergenza e, comunque, il rispetto delle necessarie misure di sicurezza ci ha fin qui costretti a limitare al minimo le nostre attività. Le dovute sanificazioni pre e post riunioni dei luoghi di possibile ritrovo, la dotazione minima standard di 5 mq per partecipante, il distanziamento sociale, etc… sono stati tutti elementi che, nella loro insiemistica, non hanno consentito neanche a noi del Consiglio Direttivo l’usuale svolgimento dei nostri incontri. Ci siamo così confrontati una volta in videoconferenza ed una seconda all’aperto. Dopo l’ultimo nostro giornalino, solo pubblicato sul nostro sito e propostovi per singoli articoli anche a mezzo whatsapp, abbiamo già allestito il numero che uscirà a fine agosto sul quale leggerete questo mio scritto. Leggi tutto... |
“Accomodatevi”
… E finalmente abbiamo potuto andare in chiesa, aperta ai fedeli per la Santa Messa, accolti dalle parole del sacerdote che diceva “Accomodatevi!”
Questa parola, in questo momento di grande tensione, mi è scesa giù fino al cuore e mi sono ritrovata a piangere come una bambina.
Lacrime che scendevano dentro la mascherina e non si fermavano.
Quasi mi vergognavo ma poi, guardandomi furtivamente attorno, ho visto parecchi occhi rossi e bagnati di lacrime.
Non era un pianto di gioia ma neanche di dolore, era un pianto di sollievo, di liberazione e non ero la sola ad essermi tanto emozionata per tutta la tensione accumulata in questi lungi mesi senza uscire da casa, con le strade deserte e negozi e scuole chiuse.
Si poteva uscire solo per fare la spesa, la gente si salutava appena, gli occhi bassi e la paura addosso.
Molte persone hanno perso il lavoro, tante si sono ammalate e gli ospedali erano al collasso.
Nonostante il grande lavoro e il sacrificio di medici e infermieri, molti sono morti.
Insomma un incubo che ci ha trovato impreparati, che ci ha debilitati nel corpo e nella mente e che si è esteso a tutto il mondo: una pandemia sconosciuta, subdola, crudele che ha seminato dolore e morte.
Ora finalmente c’è uno spiraglio di luce, c’è un miglioramento generale, forse possiamo uscire di casa con prudenza e responsabilità e incominceremo a sorridere.
Forse possiamo pensare anche a qualche giorno di vacanza e speriamo che non sia solo un’illusione!
Comunque verrà la fine di questa maledizione e ci troveremo, ci abbracceremo, ci baceremo e ci stringeremo uno all’altro tenendo bene in mente che la salute è il bene più prezioso della nostra vita e che l’amicizia sincera, gli affetti e la famiglia devono prevalere su tutto.
La vita ce lo insegna sempre.
Faremo una grande festa, pregheremo con il cuore in mano e ci “accomoderemo” tutti insieme come fratelli.
Lydia Federico
… E finalmente abbiamo potuto andare in chiesa, aperta ai fedeli per la Santa Messa, accolti dalle parole del sacerdote che diceva “Accomodatevi!”
Questa parola, in questo momento di grande tensione, mi è scesa giù fino al cuore e mi sono ritrovata a piangere come una bambina.
Lacrime che scendevano dentro la mascherina e non si fermavano.
Quasi mi vergognavo ma poi, guardandomi furtivamente attorno, ho visto parecchi occhi rossi e bagnati di lacrime.
Non era un pianto di gioia ma neanche di dolore, era un pianto di sollievo, di liberazione e non ero la sola ad essermi tanto emozionata per tutta la tensione accumulata in questi lungi mesi senza uscire da casa, con le strade deserte e negozi e scuole chiuse.
Si poteva uscire solo per fare la spesa, la gente si salutava appena, gli occhi bassi e la paura addosso.
Molte persone hanno perso il lavoro, tante si sono ammalate e gli ospedali erano al collasso.
Nonostante il grande lavoro e il sacrificio di medici e infermieri, molti sono morti.
Insomma un incubo che ci ha trovato impreparati, che ci ha debilitati nel corpo e nella mente e che si è esteso a tutto il mondo: una pandemia sconosciuta, subdola, crudele che ha seminato dolore e morte.
Ora finalmente c’è uno spiraglio di luce, c’è un miglioramento generale, forse possiamo uscire di casa con prudenza e responsabilità e incominceremo a sorridere.
Forse possiamo pensare anche a qualche giorno di vacanza e speriamo che non sia solo un’illusione!
Comunque verrà la fine di questa maledizione e ci troveremo, ci abbracceremo, ci baceremo e ci stringeremo uno all’altro tenendo bene in mente che la salute è il bene più prezioso della nostra vita e che l’amicizia sincera, gli affetti e la famiglia devono prevalere su tutto.
La vita ce lo insegna sempre.
Faremo una grande festa, pregheremo con il cuore in mano e ci “accomoderemo” tutti insieme come fratelli.
Lydia Federico
LA FORNACE CURTI
In una limpida giornata d’inizio febbraio, abbiamo visitato la fornace Curti in zona Milano Barona.
Sembra incredibile pensare che questo sito, tuttora attivo e funzionante, sia stato voluto dai duchi di Milano Francesco Sforza e Bianca di Savoia per fornire come materiale costruttivo i mattoni, ad uso del nascente Ospedale Ca' Granda, uno dei progetti più lungimiranti ed efficaci del loro dominio.
Fu del duca Francesco lo studio e la conseguente scoperta che si poteva utilizzare la terracotta, anziché il solo marmo, per opere degne di essere tramandate ai posteri in secoli di storia.
La fornace nasce infatti nel 1428 e a tutt' oggi è in possesso della famiglia Curti, rappresentata allora da un nobile di palazzo e ora dagli ultimi suoi due discendenti: fratello e sorella che, per evitarne la chiusura, hanno adibito la parte superiore degli edifici a studio di artisti, scultori e non solo.
Entrando in questo “mondo", guidati appunto dalla signora Curti in persona, pare di percorrere una strada di un borgo composto di botteghe medievali e di una piccola cappella, sovrastata da un S. Cristoforo che dava il nome alla fornace.
Terracottai è la definizione che i Curti si attribuiscono perché, come dice una scritta: “qui tutto è terracotta, tranne il tempo che è d' oro".
La filiera è completa: dal sassolino d'argilla alla cottura finale dell'opera e a giudicare dalla festa per gli occhi che si ha modo di godere, direi che sono bravi sia gli artisti nelle loro creazioni che i terracottai appunto nell'esecuzione del lavoro a regola d'arte!
Un tempo tutto avveniva con l’abilità delle sole mani e l'aiuto di un tornio e di un forno alimentato con tonnellate di legna proveniente dalla Valganna.
Ora ci sono due macchinari efficaci, un'impastatrice del 1919 e una trafilatrice del 1948, perfettamente funzionanti.
Abbiamo seguito tutto il processo di lavorazione fino all'inserimento dell'enorme carrello, su cui vengono appoggiate e ben distribuite le opere in argilla, nel grande forno che le sottopone ad una temperatura di mille e più gradi centigradi.
La sede attuale è in attività dal 1890 ma, ai tempi dello Sforza, si trovava in zona Ticinese prima e poi alla Conchetta da cui fu trasferita a seguito di un incendio.
All'interno di un cortile si può ammirare un mezzo busto di donna, dalle proporzioni gigantesche, che ha richiesto un arduo e difficilissimo compito portato a termine con successo.
Lasciatemelo dire: la bellezza e il calore del rosso mattone delle costruzioni tipicamente lombarde, pur essendo più “povera", non ha nulla da invidiare rispetto alla bellezza di edifici più prestigiosi.
Visitate questo luogo nel fine settimana della terza settimana di maggio e mi darete ragione.
Elisa Vigevano
In una limpida giornata d’inizio febbraio, abbiamo visitato la fornace Curti in zona Milano Barona.
Sembra incredibile pensare che questo sito, tuttora attivo e funzionante, sia stato voluto dai duchi di Milano Francesco Sforza e Bianca di Savoia per fornire come materiale costruttivo i mattoni, ad uso del nascente Ospedale Ca' Granda, uno dei progetti più lungimiranti ed efficaci del loro dominio.
Fu del duca Francesco lo studio e la conseguente scoperta che si poteva utilizzare la terracotta, anziché il solo marmo, per opere degne di essere tramandate ai posteri in secoli di storia.
La fornace nasce infatti nel 1428 e a tutt' oggi è in possesso della famiglia Curti, rappresentata allora da un nobile di palazzo e ora dagli ultimi suoi due discendenti: fratello e sorella che, per evitarne la chiusura, hanno adibito la parte superiore degli edifici a studio di artisti, scultori e non solo.
Entrando in questo “mondo", guidati appunto dalla signora Curti in persona, pare di percorrere una strada di un borgo composto di botteghe medievali e di una piccola cappella, sovrastata da un S. Cristoforo che dava il nome alla fornace.
Terracottai è la definizione che i Curti si attribuiscono perché, come dice una scritta: “qui tutto è terracotta, tranne il tempo che è d' oro".
La filiera è completa: dal sassolino d'argilla alla cottura finale dell'opera e a giudicare dalla festa per gli occhi che si ha modo di godere, direi che sono bravi sia gli artisti nelle loro creazioni che i terracottai appunto nell'esecuzione del lavoro a regola d'arte!
Un tempo tutto avveniva con l’abilità delle sole mani e l'aiuto di un tornio e di un forno alimentato con tonnellate di legna proveniente dalla Valganna.
Ora ci sono due macchinari efficaci, un'impastatrice del 1919 e una trafilatrice del 1948, perfettamente funzionanti.
Abbiamo seguito tutto il processo di lavorazione fino all'inserimento dell'enorme carrello, su cui vengono appoggiate e ben distribuite le opere in argilla, nel grande forno che le sottopone ad una temperatura di mille e più gradi centigradi.
La sede attuale è in attività dal 1890 ma, ai tempi dello Sforza, si trovava in zona Ticinese prima e poi alla Conchetta da cui fu trasferita a seguito di un incendio.
All'interno di un cortile si può ammirare un mezzo busto di donna, dalle proporzioni gigantesche, che ha richiesto un arduo e difficilissimo compito portato a termine con successo.
Lasciatemelo dire: la bellezza e il calore del rosso mattone delle costruzioni tipicamente lombarde, pur essendo più “povera", non ha nulla da invidiare rispetto alla bellezza di edifici più prestigiosi.
Visitate questo luogo nel fine settimana della terza settimana di maggio e mi darete ragione.
Elisa Vigevano
L’IPOCRISIA
Da che mondo è mondo l’ipocrisia ha avuto molti rappresentanti in epoche anche molto lontane.
Nell’Antico Testamento, nel libro del Siracide al capitolo 27 - 22, 23) si parla di ipocrisia: “Chi ammicca con l’occhio, trama il male e nessuno potrà distorglielo. Davanti a te il suo parlare è tutto dolce , ammira i tuoi discorsi ma alle tue spalle cambierà il tuo parlare e porrà inciampo alle tue parole”.
L’evangelista Luca dice che Gesù lanciò l’avvertimento in relazione al comportamento tenuto dai Farisei: “Guardatevi dal lievito dei Farisei” che definisce sepolcri imbiancati.
Essi infatti, nell’agire quotidiano, dietro a una maschera costruita ad arte, recitavano la parte dei giusti mentre, in realtà, erano profondamente iniqui e ingiusti.
Dante Alighieri ha collocato gli ipocriti nella VI bolgia dell’VIII cerchio del Purgatorio indicandoli come fraudolenti costretti a indossare dei robusti mantelli con cappucci (simili alle cappe dei monaci) che rano dorati sulla parte esterna e appesantiti di piombo all’interno in modo tale da procurare forti dolori e a obbligare gli ipocriti a muoversi lentamente.
Anche la letteratura ha fatto un buon uso dell’ipocrisia e Moliere, nel suo “Tartufo”, parla di questo personaggio famoso e originale che simboleggia un impostore di professione.
Allo stesso modo si muove “Arlecchino servo di due padroni” (di diverso stampo e cultura) nella bella e sempre attuale commedia di Carlo Goldoni.
Pirandello, nei “Sei personaggi in cerca d’autore”, ci spiega il suo pensiero filosofico a proposito dell’ipocrisia.
Infatti, secondo lui, nella nostra società malata di finzione e di arrivismo, risulta difficile realizzare persone autenticamente valide.
Siamo, invece, burattini di noi stessi sempre a cavallo fra finzione e realtà e abbiamo bisogno di servirci dell’ipocrisia per nascondere le verità e per salvare le apparenze.
Lo scrittore libanese Gibran Khalil ha così espresso il suo giudizio sull’ipocrisia: “Come è stupido colui chi vuole rimediare all’odio degli occhi con il sorriso sulle labbra”.
In ultima analisi si può definire l’ipocrisia come la discordanza tra l’essere e la volontà di apparire e, per metterla in pratica, occorrono ambizione e capacità di simulazione oltre che trovare attorno a sé un terreno di umanità fragile, distratta e corruttibile all’interno della quale agire indisturbati e con successo.
Non so se sono riuscita a spiegare il concetto, più semplicemente l’ipocrisia è certo un male che ci circonda con finalità rivolte costantemente a ingannare, a ferire e a estorcere favori e ricchezze.
Il termine ipocrisia deriva dal greco “Ypo” (sotto) e “Krisis” (oro) per cui riesce facile comprendere la sua valenza e intuire come convivano felicemente coloro che, nella società tecnologica e burocratizzata, riescono con la loro intelligenza e professionalità a superare e a imporsi su quanti invece queste doti le hanno acquisite con i propri sacrifici tentando di farsi strada nel sociale corrotto (la così detta ipocrisia del perbenismo).
Certo l’apparenza affascina e conquista procurando amicizie e favori ma, nel contempo, potrebbe sorgere spontanea la domanda: “l’ipocrita può essere felice?”.
La risposta non è certamente facile: sì, no, forse, mai?! …
Fernanda
Da che mondo è mondo l’ipocrisia ha avuto molti rappresentanti in epoche anche molto lontane.
Nell’Antico Testamento, nel libro del Siracide al capitolo 27 - 22, 23) si parla di ipocrisia: “Chi ammicca con l’occhio, trama il male e nessuno potrà distorglielo. Davanti a te il suo parlare è tutto dolce , ammira i tuoi discorsi ma alle tue spalle cambierà il tuo parlare e porrà inciampo alle tue parole”.
L’evangelista Luca dice che Gesù lanciò l’avvertimento in relazione al comportamento tenuto dai Farisei: “Guardatevi dal lievito dei Farisei” che definisce sepolcri imbiancati.
Essi infatti, nell’agire quotidiano, dietro a una maschera costruita ad arte, recitavano la parte dei giusti mentre, in realtà, erano profondamente iniqui e ingiusti.
Dante Alighieri ha collocato gli ipocriti nella VI bolgia dell’VIII cerchio del Purgatorio indicandoli come fraudolenti costretti a indossare dei robusti mantelli con cappucci (simili alle cappe dei monaci) che rano dorati sulla parte esterna e appesantiti di piombo all’interno in modo tale da procurare forti dolori e a obbligare gli ipocriti a muoversi lentamente.
Anche la letteratura ha fatto un buon uso dell’ipocrisia e Moliere, nel suo “Tartufo”, parla di questo personaggio famoso e originale che simboleggia un impostore di professione.
Allo stesso modo si muove “Arlecchino servo di due padroni” (di diverso stampo e cultura) nella bella e sempre attuale commedia di Carlo Goldoni.
Pirandello, nei “Sei personaggi in cerca d’autore”, ci spiega il suo pensiero filosofico a proposito dell’ipocrisia.
Infatti, secondo lui, nella nostra società malata di finzione e di arrivismo, risulta difficile realizzare persone autenticamente valide.
Siamo, invece, burattini di noi stessi sempre a cavallo fra finzione e realtà e abbiamo bisogno di servirci dell’ipocrisia per nascondere le verità e per salvare le apparenze.
Lo scrittore libanese Gibran Khalil ha così espresso il suo giudizio sull’ipocrisia: “Come è stupido colui chi vuole rimediare all’odio degli occhi con il sorriso sulle labbra”.
In ultima analisi si può definire l’ipocrisia come la discordanza tra l’essere e la volontà di apparire e, per metterla in pratica, occorrono ambizione e capacità di simulazione oltre che trovare attorno a sé un terreno di umanità fragile, distratta e corruttibile all’interno della quale agire indisturbati e con successo.
Non so se sono riuscita a spiegare il concetto, più semplicemente l’ipocrisia è certo un male che ci circonda con finalità rivolte costantemente a ingannare, a ferire e a estorcere favori e ricchezze.
Il termine ipocrisia deriva dal greco “Ypo” (sotto) e “Krisis” (oro) per cui riesce facile comprendere la sua valenza e intuire come convivano felicemente coloro che, nella società tecnologica e burocratizzata, riescono con la loro intelligenza e professionalità a superare e a imporsi su quanti invece queste doti le hanno acquisite con i propri sacrifici tentando di farsi strada nel sociale corrotto (la così detta ipocrisia del perbenismo).
Certo l’apparenza affascina e conquista procurando amicizie e favori ma, nel contempo, potrebbe sorgere spontanea la domanda: “l’ipocrita può essere felice?”.
La risposta non è certamente facile: sì, no, forse, mai?! …
Fernanda
RASSEGNA STAMPA
Oltre alla quotidiana diatriba sugli effetti e sui rischi delle riaperture (che da sempre ho personalmente auspicato), i quotidiani di questi giorni mettono in evidenza un evento che potrebbe rivelarsi epocale.
Si tratta dell'accordo fra Angela Merkel ed Emmanuel Macron per costituire un fondo di 500 miliardi di euro da destinare, a fondo perduto, ai Paesi UE che più hanno risentito delle conseguenze economiche dell'epidemia. Parte di questi 500 miliardi potrebbero finire a Roma senza accrescere il nostro già mostruoso debito pubblico.
" Spiazzati i sovranisti", titola la Repubblica e Bonanni parla di una "mossa del cavallo" con cui Germania e Francia mandano all'Europa e ai mercati un segnale di leadership forte e lungamente atteso.
Una mossa a sorpresa che sposta il gioco in avanti ma anche di lato, saltando a piè pari il dibattito sulla mutualizzazione dei debiti.
Altre testate nazionali (Corriere e Stampa) commentano favorevolmente la notizia mentre i quotidiani più vicini all'opposizione tentano di ridurne la portata.
Così la Verità, il Tempo e il GIornale che parla di "500 miliardi di prestiti", una vera "bufala" giornalistica!
L'iniziativa della Merkel e di Macron è troppo vistosa per essere ritrattata dai proponenti e, soprattutto, ha la forza di reprimere le resistenze di alcuni Paesi dell'Unione (Austria, Svezia e Danimarca) che, per le loro modeste dimensioni economiche e politiche, non potranno opporsi a lungo a un disegno così ambizioso (si potrebbe anche cacciarli dalla UE!).
Ma, dietro questo accordo che è un vero "Piano Marshall" europeo, c'è un disegno di rilancio della strategia unitaria fondato sull'alleanza fra liberal-riformisti (Macron) e liberal-cattolici (Merkel) a cui potrebbero aderire, per le loro tradizioni, anche Spagna, Belgio, Italia e qualche Paese dell'area ex - comunista.
Questo dell'alleanza fra le due componenti liberali (cattolica e riformista) può quindi costituire il disegno politico per un rilancio europeo liberato dai sovranismi e magari anche da qualche partner inglobato con troppa fretta.
E' questo il disegno politico coltivato da Schuman e Brandt ,da Mitterand e Kohl e, per l'Italia, da De Gasperi e Spinelli.
Un disegno politico che ha caratterizzato le fasi più felici del centro-sinistra in Italia, con Saragat e Fanfani e con Moro e Craxi.
Ci sono oggi in Italia le condizioni per una simile riproposizione dell'alleanza fra due riformismi?
Oggi prevalgono i timori per una riedizione del populismo-pauperista che gli italiani hanno malauguratamente scelto con le elezioni del 2018.
Ma non mancano leaders desiderosi di riproporre il modello riformista: dalla Bonino a Calenda, da Renzi a Martelli.
Se son rose fioriranno! Basta che non si litighi troppo per inutili protagonismi.
Bruno Colle
Oltre alla quotidiana diatriba sugli effetti e sui rischi delle riaperture (che da sempre ho personalmente auspicato), i quotidiani di questi giorni mettono in evidenza un evento che potrebbe rivelarsi epocale.
Si tratta dell'accordo fra Angela Merkel ed Emmanuel Macron per costituire un fondo di 500 miliardi di euro da destinare, a fondo perduto, ai Paesi UE che più hanno risentito delle conseguenze economiche dell'epidemia. Parte di questi 500 miliardi potrebbero finire a Roma senza accrescere il nostro già mostruoso debito pubblico.
" Spiazzati i sovranisti", titola la Repubblica e Bonanni parla di una "mossa del cavallo" con cui Germania e Francia mandano all'Europa e ai mercati un segnale di leadership forte e lungamente atteso.
Una mossa a sorpresa che sposta il gioco in avanti ma anche di lato, saltando a piè pari il dibattito sulla mutualizzazione dei debiti.
Altre testate nazionali (Corriere e Stampa) commentano favorevolmente la notizia mentre i quotidiani più vicini all'opposizione tentano di ridurne la portata.
Così la Verità, il Tempo e il GIornale che parla di "500 miliardi di prestiti", una vera "bufala" giornalistica!
L'iniziativa della Merkel e di Macron è troppo vistosa per essere ritrattata dai proponenti e, soprattutto, ha la forza di reprimere le resistenze di alcuni Paesi dell'Unione (Austria, Svezia e Danimarca) che, per le loro modeste dimensioni economiche e politiche, non potranno opporsi a lungo a un disegno così ambizioso (si potrebbe anche cacciarli dalla UE!).
Ma, dietro questo accordo che è un vero "Piano Marshall" europeo, c'è un disegno di rilancio della strategia unitaria fondato sull'alleanza fra liberal-riformisti (Macron) e liberal-cattolici (Merkel) a cui potrebbero aderire, per le loro tradizioni, anche Spagna, Belgio, Italia e qualche Paese dell'area ex - comunista.
Questo dell'alleanza fra le due componenti liberali (cattolica e riformista) può quindi costituire il disegno politico per un rilancio europeo liberato dai sovranismi e magari anche da qualche partner inglobato con troppa fretta.
E' questo il disegno politico coltivato da Schuman e Brandt ,da Mitterand e Kohl e, per l'Italia, da De Gasperi e Spinelli.
Un disegno politico che ha caratterizzato le fasi più felici del centro-sinistra in Italia, con Saragat e Fanfani e con Moro e Craxi.
Ci sono oggi in Italia le condizioni per una simile riproposizione dell'alleanza fra due riformismi?
Oggi prevalgono i timori per una riedizione del populismo-pauperista che gli italiani hanno malauguratamente scelto con le elezioni del 2018.
Ma non mancano leaders desiderosi di riproporre il modello riformista: dalla Bonino a Calenda, da Renzi a Martelli.
Se son rose fioriranno! Basta che non si litighi troppo per inutili protagonismi.
Bruno Colle
REPORTAGE DA SANDAKO
Sono partito per un viaggio a Sangako, villaggio agricolo e di pescatori in Senegal, il 17 dicembre 2019 avendovi programmato la mia permanenza fino al 22 di aprile di quest’anno.
Poi, però, qualcosa ha stravolto il mondo; qualcosa ci ha fatto capire che non siamo noi a decidere.
Abbiamo avuto la libertà di scegliere ma l’abbiamo usata male nonostante che ci fossero stati inviati parecchi avvertimenti: ghiacciai che si sciolgono, nubifragi dove non dovrebbe piovere, siccità dove servirebbe acqua, etc…, eppure abbiamo continuato a pensare di poter comprare ogni cosa e di poter vivere sulle spalle degli “ultimi”.
Ed ecco allora un altro “messaggero” che non è più terribile degli altri ma che ha la funzione di una “livella”: ha, toccato tutti e dappertutto.
Anche questo “inviato speciale”, chiamato corona virus, non è arrivato all’improvviso ma aveva già inviato un suo ignorato biglietto da visita.
Così il mio ritorno in Italia è stato rinviato già più d’una volta e l’ultimo aggiornamento mi dice: per il tuo volo ne riparliamo a giugno.
.
Quindi, dal momento che devo stare almeno un altro mese a Sangako, domenica mi sono inviato un po’ di denaro poiché qui bisogna pagare quasi ovunque in contanti.
Qui ritirare soldi al bancomat non è semplice così come non è semplice trovare una banca e quindi ieri siamo andati a Toubacouta all’ufficio.postale per ritirare l’argent ma “il n'y a pas d'argent”, amun kalis, non ci sono soldi e l’impiegato, per il ritiro del denaro, mi ha consigliato di andare a Kaolack ad un centinaio di chilometri di distanza.
Essendo già tardo pomeriggio, ho deciso di andarci l’indomani.
Di prima mattina partenza per Kaolak: strada libera, in tutto il tragitto le auto si potevano contare, ma passava così tanto tempo fra l’una e l’altra che a quella successiva ti eri già dimenticato a quanto ammontava il conto.
Non mancavano invece, come di consueto, carretti trainati da asini con a bordo diverse persone una attaccata all'altra ma tutte con la mascherina.
All'uscita da Passì, grosso centro a trequarti di strada, c’è un posto di blocco e mi chiedono da dove arrivi e il lasciapassare che non ho.
Mi spiegano che avrei dovuto chiederlo alla gendarmeria di Sokone (altro grosso centro a metà strada) ma, per questa volta, mi lasciano passare … “un fiorino”!
Giungo fino a Kaolack senza altri intoppi e vado in banca a ritirare il malloppo: la maschera ce l’ho ma non la pistola, eppure potrei starnutire o, addirittura, sputare in faccia a qualcuno (cosa che, in questo momento, fa più paura di un’arma).
Il sorvegliante mi fa lavare le mani con il disinfettante e mi prova la temperatura con il termometro a distanza, poi mi fa sedere, opportunamente distanziato da altri, ad attendere il mio turno.
Ritirato il denaro mi reco in un mini supermercato a fare un po’ di rifornimento di cose fra cui dei sacchi di riso di buona qualità per delle famiglie che non se la passano molto bene.
Una di queste ha il capo famiglia che fa il trasporto di persone da Dakar a Karang, al confine con il Gambia e, data l’emergenza corona virus, non sta lavorando e si è così deciso di sostenerlo.
All'entrata del super il vigilante mi fa lavare le mani.
Poi sono andato in un negozio di utensili da lavoro a cercare alcune cose per il laboratorio e, beh, che ve lo dico affà, mi hanno fatto lavare le mani anche lì.
Sentendo un po’ Ponzio Pilato, sono infine andato a comprare del pane ad una bancarella a bordo strada; merce coperta con un telo che non vi dico e che mi è stata data avvolta in una pagina di giornale!
Voi direte: “potevi andare da un’altra parte”, certo in Europa sì, ma qui …
Sulla strada del ritorno mi hanno fermato due volte: la prima, a un blocco della Croce Rossa, mi hanno fatto lavare le mani e mi hanno preso la temperatura mentre al secondo mi hanno chiesto anche nome, provenienza e numero di telefono … e intanto i bambini lì attorno continuavano a mangiare a terra, contendendosi il cibo con le galline ma … che vo dico affà?
Bruno Russo
Sono partito per un viaggio a Sangako, villaggio agricolo e di pescatori in Senegal, il 17 dicembre 2019 avendovi programmato la mia permanenza fino al 22 di aprile di quest’anno.
Poi, però, qualcosa ha stravolto il mondo; qualcosa ci ha fatto capire che non siamo noi a decidere.
Abbiamo avuto la libertà di scegliere ma l’abbiamo usata male nonostante che ci fossero stati inviati parecchi avvertimenti: ghiacciai che si sciolgono, nubifragi dove non dovrebbe piovere, siccità dove servirebbe acqua, etc…, eppure abbiamo continuato a pensare di poter comprare ogni cosa e di poter vivere sulle spalle degli “ultimi”.
Ed ecco allora un altro “messaggero” che non è più terribile degli altri ma che ha la funzione di una “livella”: ha, toccato tutti e dappertutto.
Anche questo “inviato speciale”, chiamato corona virus, non è arrivato all’improvviso ma aveva già inviato un suo ignorato biglietto da visita.
Così il mio ritorno in Italia è stato rinviato già più d’una volta e l’ultimo aggiornamento mi dice: per il tuo volo ne riparliamo a giugno.
.
Quindi, dal momento che devo stare almeno un altro mese a Sangako, domenica mi sono inviato un po’ di denaro poiché qui bisogna pagare quasi ovunque in contanti.
Qui ritirare soldi al bancomat non è semplice così come non è semplice trovare una banca e quindi ieri siamo andati a Toubacouta all’ufficio.postale per ritirare l’argent ma “il n'y a pas d'argent”, amun kalis, non ci sono soldi e l’impiegato, per il ritiro del denaro, mi ha consigliato di andare a Kaolack ad un centinaio di chilometri di distanza.
Essendo già tardo pomeriggio, ho deciso di andarci l’indomani.
Di prima mattina partenza per Kaolak: strada libera, in tutto il tragitto le auto si potevano contare, ma passava così tanto tempo fra l’una e l’altra che a quella successiva ti eri già dimenticato a quanto ammontava il conto.
Non mancavano invece, come di consueto, carretti trainati da asini con a bordo diverse persone una attaccata all'altra ma tutte con la mascherina.
All'uscita da Passì, grosso centro a trequarti di strada, c’è un posto di blocco e mi chiedono da dove arrivi e il lasciapassare che non ho.
Mi spiegano che avrei dovuto chiederlo alla gendarmeria di Sokone (altro grosso centro a metà strada) ma, per questa volta, mi lasciano passare … “un fiorino”!
Giungo fino a Kaolack senza altri intoppi e vado in banca a ritirare il malloppo: la maschera ce l’ho ma non la pistola, eppure potrei starnutire o, addirittura, sputare in faccia a qualcuno (cosa che, in questo momento, fa più paura di un’arma).
Il sorvegliante mi fa lavare le mani con il disinfettante e mi prova la temperatura con il termometro a distanza, poi mi fa sedere, opportunamente distanziato da altri, ad attendere il mio turno.
Ritirato il denaro mi reco in un mini supermercato a fare un po’ di rifornimento di cose fra cui dei sacchi di riso di buona qualità per delle famiglie che non se la passano molto bene.
Una di queste ha il capo famiglia che fa il trasporto di persone da Dakar a Karang, al confine con il Gambia e, data l’emergenza corona virus, non sta lavorando e si è così deciso di sostenerlo.
All'entrata del super il vigilante mi fa lavare le mani.
Poi sono andato in un negozio di utensili da lavoro a cercare alcune cose per il laboratorio e, beh, che ve lo dico affà, mi hanno fatto lavare le mani anche lì.
Sentendo un po’ Ponzio Pilato, sono infine andato a comprare del pane ad una bancarella a bordo strada; merce coperta con un telo che non vi dico e che mi è stata data avvolta in una pagina di giornale!
Voi direte: “potevi andare da un’altra parte”, certo in Europa sì, ma qui …
Sulla strada del ritorno mi hanno fermato due volte: la prima, a un blocco della Croce Rossa, mi hanno fatto lavare le mani e mi hanno preso la temperatura mentre al secondo mi hanno chiesto anche nome, provenienza e numero di telefono … e intanto i bambini lì attorno continuavano a mangiare a terra, contendendosi il cibo con le galline ma … che vo dico affà?
Bruno Russo
Questo interessante articolo è stato pubblicato il 27 marzo 2020 nel numero 1351 di Internazionale con il titolo Il mondo dopo il virus. Il testo originale è uscito sul quotidiano britannico Financial Times.
Il mondo dopo il virus
Invece di costruire un regime di sorveglianza, non è troppo tardi per ricostruire la fiducia delle persone nella scienza, nelle autorità pubbliche e nei mezzi d’informazione. Dovremmo sicuramente anche fare uso delle nuove tecnologie, ma per responsabilizzare i cittadini. Sono assolutamente favorevole al monitoraggio della temperatura corporea e della pressione sanguigna, ma quei dati non dovrebbero essere usati per aumentare il potere del governo, dovrebbero permettermi di fare scelte personali più informate, e anche di chiedere al governo di rendere conto delle sue decisioni.
Se potessi controllare le mie condizioni di salute 24 ore al giorno, saprei non solo se sono diventato pericoloso per altre persone, ma anche quali abitudini contribuiscono a farmi rimanere in salute. E se potessi accedere a statistiche affidabili sulla diffusione del coronavirus e analizzarle, sarei in grado di giudicare se il governo mi sta dicendo la verità e se sta adottando i provvedimenti giusti contro l’epidemia. Ogni volta che ci parlano di sorveglianza, non dimentichiamoci che la stessa tecnologia può essere usata non solo dai governi per controllare gli individui, ma anche dagli individui per controllare i governi. L’epidemia del nuovo coronavirus è quindi un importante test di cittadinanza.
La seconda scelta importante che dobbiamo affrontare è quella tra isola-mento nazionalista e solidarietà globale. Sia l’epidemia in sé sia la conseguente crisi economica sono problemi globali. Possono essere risolti efficacemente solo con la cooperazione di tutti i paesi.
Prima di tutto, per poter sconfiggere il virus dobbiamo condividere le informazioni a livello internazionale. Questo è il grande vantaggio degli esseri umani sui virus. Un coronavirus in Cina e uno negli Stati Uniti non possono scambiarsi informazioni su come infettare le persone. Ma la Cina può insegnare agli Stati Uniti cose importanti sul virus e su come affrontarlo. Quello che un medico italiano scopre a Milano la mattina può salvare vite a Teheran la sera.Ma perché questo succeda, serve uno spirito di collaborazione e di fiducia globale.
I paesi dovrebbero essere disposti a condividere apertamente le informazioni e a chiedere umilmente consigli, e dovrebbero essere in grado di fidarsi dei dati e dei suggerimenti che ricevono. Serve anche uno sforzo globale per la distribuzione di materiale sanitario, soprattutto tamponi e respiratori. Invece di lasciare che ogni paese provveda da solo e accumuli tutto il materiale che riesce ad avere, uno sforzo globale coordinato potrebbe accelerare enormemente la produzione e garantire che gli strumenti salvavita siano distribuiti più equamente.
Proprio come in tempi di guerra i paesi nazionalizzano le loro industrie più importanti, così la guerra umana contro il coronavirus potrebbe richiedere una “umanizzazione” delle linee di produzione più cruciali. Un paese ricco con pochi casi di contagio dovrebbe essere disposto a inviare materiale prezioso a uno più povero che ne ha molti, confidando sul fatto che se poi avrà bisogno di aiuto, altri paesi andranno in suo soccorso.
Potremmo anche pensare che per un simile sforzo globale sia necessario mettere in comune il personale sanitario. I paesi che oggi sono meno colpiti potrebbero mandare medici nelle regioni che lo sono di più, sia per aiutarle sia per fare esperienze utili. Se in seguito il focolaio dell’epidemia si sposterà, gli aiuti potrebbero viaggiare nella direzione opposta.
La collaborazione internazionale è vitale anche sul fronte economico. Vista la natura globale dell’economia e delle catene logistiche, se ogni stato fa per conto proprio senza curarsi minimamente degli altri, il risultato sarà il caos e un ulteriore aggravamento della crisi. Serve un piano d’azione globale, e serve subito.
Un’altra cosa necessaria è stipulare un accordo globale sugli spostamenti. Sospendere tutti i voli internazionali per mesi creerà enormi problemi, e intralcerà la lotta al nuovo coronavirus. I paesi devono collaborare per consentire almeno a un piccolo numero di persone essenziali di continuare ad attraversare i confini: scienziati, medici, giornalisti, politici, imprenditori. Questo si può fare con un accordo che affida al paese d’origine il controllo preventivo di chi deve viaggiare. Se sapessimo che è stato permesso di salire su un aereo solo a persone attentamente controllate, saremmo più disposti a lasciarle entrare nel nostro paese.
Purtroppo al momento gli stati non fanno quasi nulla di tutto questo. Una paralisi collettiva sta bloccando la comunità internazionale. Sembra che nessuno si comporti da adulto. Ci saremmo aspettati che i leader globali s’incontrassero immediatamente per decidere un piano d’azione comune. I membri del G7 sono riusciti a organizzare una videoconferenza solo a fine marzo, e non ne è uscito nessun piano.
Durante le precedenti crisi globali – come quella finanziaria del 2008 e l’epidemia di ebola del 2014 – gli Stati Uniti hanno assunto il ruolo di guida. Ma l’attuale amministrazione americana ha abdicato a questo ruolo. Ha lasciato intendere molto chiaramente che la grandezza dell’America le interessa molto di più del futuro dell’umanità. Ha abbandonato perfino i suoi più stretti alleati. Quando ha vietato tutti gli arrivi dall’Unione europea, non si è presa neanche la briga di avvertirla in anticipo, e meno che mai di consultarla su una misura così drastica. Ha offerto un miliardo di dollari a una casa farmaceutica tedesca per comprare i diritti esclusivi di un vaccino per il Covid-19. Anche se la Casa Bianca alla fine cambierà tattica e proporrà un piano d’azione globale, pochi saranno disposti a seguire un leader che non si assume mai responsabilità, non ammette mai di aver sbagliato e si prende regolarmente tutti i meriti lasciando le colpe agli altri.
Se il vuoto creato dagli Stati Uniti non sarà riempito da altri paesi, non solo sarà molto più difficile fermare l’epidemia, ma le conseguenze continueranno ad avvelenare i rapporti internazionali per anni. Però ogni crisi è anche un’opportunità, e dobbiamo sperare che questa epidemia aiuti gli esseri umani a prendere coscienza del grave pericolo che costituisce questa mancanza di unità globale.
L’umanità deve fare una scelta. Vuole proseguire sulla strada della divisione o prendere quella della solidarietà globale? Se sceglierà la divisione, non solo prolungherà la crisi ma probabilmente provocherà catastrofi ancora peggiori in futuro. Se sceglierà la solidarietà globale, la sua sarà una vittoria non solo sul nuovo coronavirus, ma anche su tutte le epidemie future e sulle crisi che potrebbero scoppiare in questo secolo.
Yuval Noah Harari
(Traduzione di Bruna Tortorella)
Il mondo dopo il virus
Invece di costruire un regime di sorveglianza, non è troppo tardi per ricostruire la fiducia delle persone nella scienza, nelle autorità pubbliche e nei mezzi d’informazione. Dovremmo sicuramente anche fare uso delle nuove tecnologie, ma per responsabilizzare i cittadini. Sono assolutamente favorevole al monitoraggio della temperatura corporea e della pressione sanguigna, ma quei dati non dovrebbero essere usati per aumentare il potere del governo, dovrebbero permettermi di fare scelte personali più informate, e anche di chiedere al governo di rendere conto delle sue decisioni.
Se potessi controllare le mie condizioni di salute 24 ore al giorno, saprei non solo se sono diventato pericoloso per altre persone, ma anche quali abitudini contribuiscono a farmi rimanere in salute. E se potessi accedere a statistiche affidabili sulla diffusione del coronavirus e analizzarle, sarei in grado di giudicare se il governo mi sta dicendo la verità e se sta adottando i provvedimenti giusti contro l’epidemia. Ogni volta che ci parlano di sorveglianza, non dimentichiamoci che la stessa tecnologia può essere usata non solo dai governi per controllare gli individui, ma anche dagli individui per controllare i governi. L’epidemia del nuovo coronavirus è quindi un importante test di cittadinanza.
La seconda scelta importante che dobbiamo affrontare è quella tra isola-mento nazionalista e solidarietà globale. Sia l’epidemia in sé sia la conseguente crisi economica sono problemi globali. Possono essere risolti efficacemente solo con la cooperazione di tutti i paesi.
Prima di tutto, per poter sconfiggere il virus dobbiamo condividere le informazioni a livello internazionale. Questo è il grande vantaggio degli esseri umani sui virus. Un coronavirus in Cina e uno negli Stati Uniti non possono scambiarsi informazioni su come infettare le persone. Ma la Cina può insegnare agli Stati Uniti cose importanti sul virus e su come affrontarlo. Quello che un medico italiano scopre a Milano la mattina può salvare vite a Teheran la sera.Ma perché questo succeda, serve uno spirito di collaborazione e di fiducia globale.
I paesi dovrebbero essere disposti a condividere apertamente le informazioni e a chiedere umilmente consigli, e dovrebbero essere in grado di fidarsi dei dati e dei suggerimenti che ricevono. Serve anche uno sforzo globale per la distribuzione di materiale sanitario, soprattutto tamponi e respiratori. Invece di lasciare che ogni paese provveda da solo e accumuli tutto il materiale che riesce ad avere, uno sforzo globale coordinato potrebbe accelerare enormemente la produzione e garantire che gli strumenti salvavita siano distribuiti più equamente.
Proprio come in tempi di guerra i paesi nazionalizzano le loro industrie più importanti, così la guerra umana contro il coronavirus potrebbe richiedere una “umanizzazione” delle linee di produzione più cruciali. Un paese ricco con pochi casi di contagio dovrebbe essere disposto a inviare materiale prezioso a uno più povero che ne ha molti, confidando sul fatto che se poi avrà bisogno di aiuto, altri paesi andranno in suo soccorso.
Potremmo anche pensare che per un simile sforzo globale sia necessario mettere in comune il personale sanitario. I paesi che oggi sono meno colpiti potrebbero mandare medici nelle regioni che lo sono di più, sia per aiutarle sia per fare esperienze utili. Se in seguito il focolaio dell’epidemia si sposterà, gli aiuti potrebbero viaggiare nella direzione opposta.
La collaborazione internazionale è vitale anche sul fronte economico. Vista la natura globale dell’economia e delle catene logistiche, se ogni stato fa per conto proprio senza curarsi minimamente degli altri, il risultato sarà il caos e un ulteriore aggravamento della crisi. Serve un piano d’azione globale, e serve subito.
Un’altra cosa necessaria è stipulare un accordo globale sugli spostamenti. Sospendere tutti i voli internazionali per mesi creerà enormi problemi, e intralcerà la lotta al nuovo coronavirus. I paesi devono collaborare per consentire almeno a un piccolo numero di persone essenziali di continuare ad attraversare i confini: scienziati, medici, giornalisti, politici, imprenditori. Questo si può fare con un accordo che affida al paese d’origine il controllo preventivo di chi deve viaggiare. Se sapessimo che è stato permesso di salire su un aereo solo a persone attentamente controllate, saremmo più disposti a lasciarle entrare nel nostro paese.
Purtroppo al momento gli stati non fanno quasi nulla di tutto questo. Una paralisi collettiva sta bloccando la comunità internazionale. Sembra che nessuno si comporti da adulto. Ci saremmo aspettati che i leader globali s’incontrassero immediatamente per decidere un piano d’azione comune. I membri del G7 sono riusciti a organizzare una videoconferenza solo a fine marzo, e non ne è uscito nessun piano.
Durante le precedenti crisi globali – come quella finanziaria del 2008 e l’epidemia di ebola del 2014 – gli Stati Uniti hanno assunto il ruolo di guida. Ma l’attuale amministrazione americana ha abdicato a questo ruolo. Ha lasciato intendere molto chiaramente che la grandezza dell’America le interessa molto di più del futuro dell’umanità. Ha abbandonato perfino i suoi più stretti alleati. Quando ha vietato tutti gli arrivi dall’Unione europea, non si è presa neanche la briga di avvertirla in anticipo, e meno che mai di consultarla su una misura così drastica. Ha offerto un miliardo di dollari a una casa farmaceutica tedesca per comprare i diritti esclusivi di un vaccino per il Covid-19. Anche se la Casa Bianca alla fine cambierà tattica e proporrà un piano d’azione globale, pochi saranno disposti a seguire un leader che non si assume mai responsabilità, non ammette mai di aver sbagliato e si prende regolarmente tutti i meriti lasciando le colpe agli altri.
Se il vuoto creato dagli Stati Uniti non sarà riempito da altri paesi, non solo sarà molto più difficile fermare l’epidemia, ma le conseguenze continueranno ad avvelenare i rapporti internazionali per anni. Però ogni crisi è anche un’opportunità, e dobbiamo sperare che questa epidemia aiuti gli esseri umani a prendere coscienza del grave pericolo che costituisce questa mancanza di unità globale.
L’umanità deve fare una scelta. Vuole proseguire sulla strada della divisione o prendere quella della solidarietà globale? Se sceglierà la divisione, non solo prolungherà la crisi ma probabilmente provocherà catastrofi ancora peggiori in futuro. Se sceglierà la solidarietà globale, la sua sarà una vittoria non solo sul nuovo coronavirus, ma anche su tutte le epidemie future e sulle crisi che potrebbero scoppiare in questo secolo.
Yuval Noah Harari
(Traduzione di Bruna Tortorella)
Yuval Noah Harari è uno storico, saggista e professore universitario israeliano. Laureatosi all’Università di Oxford, attualmente insegna all'Università Ebraica di Gerusalemme Storia del mondo e processi macrostorici. Harari ha vinto varie volte premi internazionali e ha pubblicato numerosi libri e articoli, Uno dei suoi libri più famosi è intitolato Sapiens: A Brief History of Humankind (pubblicato originalmente in ebraico nel 2011 col titolo Breve storia dell'umanità ed in seguito tradotto in 30 lingue). i libro esamina l’intero sviluppo della storia umana, dall'evoluzione dell'Homo sapiens nell'Età della pietra fino alla rivoluzione politica e a quella tecnologica del XXI secolo. L'edizione in ebraico è diventata un best seller in Israele e ha generato molto interesse sia nella comunità accademica che tra il pubblico generale, facendo presto diventare Harari una celebrità.
Il suo libro successivo, Homo Deus. Breve storia del futuro, è stato pubblicato in ebraico nel 2015 ed è uscito in inglese nel settembre 2016: esplora progetti, sogni e incubi che modelleranno il XXI secolo – dal superamento della morte alla creazione della vita artificiale.
7 Km da Gerusalemme
Il Il nostro gruppo di lettura, l’inverno scorso, è miracolosamente riuscito, prima della sospensione delle attività a causa del Covid 19, a concludere la “recitazione” di un libro che, personalmente ma anche a detta di tutto il gruppo, ho trovato magnifico. Proposto dalla nostra brava e simpatica Annamaria, di 7 KM DA GERUSALEMME eccovi una breve recensione. L’autore, Pino Farinotti (sconosciuto ai più) giornalista e critico cinematografico, ha ideato una storia che unisce scrittura colta ed elegante (rara oggigiorno) a ironia, colpi di scena, caratterizzazione puntuale dei personaggi e a una precisa ricostruzione geografica. Quest’ultima è stata molto apprezzata da chi, come me, ha avuto la fortuna di visitare la Terrasanta. Il protagonista è un pubblicitario che sta toccando il fondo della propria vita sia fisicamente che moralmente e che, per una serie di coincidenze, accetta di compiere gratuitamente un viaggio a Gerusalemme pur senza particolare entusiasmo e, anzi, con molto scetticismo. Lì, però, attraverso un incontro dominante e una serie di altri, fra feedback sul suo passato e incertezze sul suo futuro, fra domande senza risposta e ricerche di senso, tornerà pian piano a ricostruire la propria esistenza e a dar valore a ciò che credeva non l’avesse più. Segnalo anche il video, molto ben realizzato e che non delude rispetto al libro, forse proprio grazie al taglio scenografico che già lo scritto possiede. Da leggere con scorrevolezza, piacere e tutto d’ un fiato. |
Bebelplatz, nel centro di Berlino, è la piazza in cui i nazisti Il 10 maggio 1933 dietro alle fiamme circa 20.000 libri, ritenuti contrari allo spirito tedesco. Oggi quell' inqualificabile evento viene ricordato con un pannello trasparente, collocato sulla pavimentazione stradale, attraverso il quale si vede una camera sotterranea piena di scaffali vuoti. Una targa riporta una frase del poeta Heinrik Udine, autore di alcuni volumi dati alle fiamme: "Là dove si bruciano i libri si finisce per bruciare anche gli uomini".
Greta e il Papa
I discorsi di Greta Thunberg sono stati raccolti in un libretto dal titolo “Nessuno è troppo piccolo per fare la differenza”.
In meno di un anno ha parlato sedici volte in contesti molto importanti; è stata molto ripetitiva ma ogni volta con qualche nuova riflessione.
Greta è la ragazzina svedese nota per il suo impegno contro il cambiamento climatico.
Nel suo discorso del 31 ottobre 2018 ha dichiarato di avere la sindrome di Asperger e chi ha tale sindrome è portato a vedere ogni cosa o in bianco o in nero: nessuna via di mezzo, nessun grigio.
Effettivamente Greta non è in grado di analizzare le cause del cambiamento climatico e il suo obiettivo è quello di fermarlo e il solo modo che usa è la protesta pacifica.
A sostenere le sue preoccupazioni c’è la stragrande maggioranza degli esperti.
Penso che facciano male coloro che la prendono in giro definendola “gretina”.
Sono evidentemente persone che non vogliono affrontare la realtà o che hanno particolari interessi da difendere.
Sono coloro che credono nella “crescita infinita”, senza rendersi conto che la “crescita”, se ha da essere, non potrà avvenire che al di fuori dei confini della terra.
Sul nostro pianeta quello che va mantenuto è quel tanto o poco di natura ancora esistente che permetta di esistere anche agli esseri umani.
Le cause del cambiamento climatico che Greta non tiene in considerazione sono antiche, hanno origine nell’egoismo umano e sono rafforzate dal sistema politico e finanziario.
Per questo Greta si rivolge ai potenti della Terra intervenendo nei luoghi dove questi si incontrano (ONU, Parlamenti, forum internazionali, etc…) e a loro dice di agire spiegando ai propri elettori cos’è l’emergenza climatica.
Purtroppo di governanti che fanno questo non ce ne sono e la voce di Greta per lo più rimane inascoltata ma non è detto che parli invano anche se i grandi finanzieri (e il capitalismo in genere) sono contro di lei.
Ha però dalla sua parte, oltre a numerosi scienziati, la voce del Papa Francesco.
Basti pensare alla Sua enciclica “Laudato si’” del 2015 o al Suo recente “La vita dopo la pandemia” dove, a pagina 59 ha scritto: "Come possiamo ripristinare un'armonia con la Terra e con l'Umanità? Abbiamo bisogno di guardare la nostra CASA COMUNE con uno sguardo diverso, essa non è un magazzino da svuotare ... Impariamo dagli indigeni: ci insegnano che la Terra non può essere guarita se non la si ama. Contemporaneamente abbiamo bisogno di una riconversione ecologica che possa tradursi in atti concreti". Vale a dire: in attesa degli interventi governativi, ognuno faccia quello che può iniziando con il rendersi conto che il cambiamento climatico può essere fermato anche con la riduzione degli sprechi, con meno consumismo, meno rifiuti e più riciclaggio.
Enrico Sciarini
I discorsi di Greta Thunberg sono stati raccolti in un libretto dal titolo “Nessuno è troppo piccolo per fare la differenza”.
In meno di un anno ha parlato sedici volte in contesti molto importanti; è stata molto ripetitiva ma ogni volta con qualche nuova riflessione.
Greta è la ragazzina svedese nota per il suo impegno contro il cambiamento climatico.
Nel suo discorso del 31 ottobre 2018 ha dichiarato di avere la sindrome di Asperger e chi ha tale sindrome è portato a vedere ogni cosa o in bianco o in nero: nessuna via di mezzo, nessun grigio.
Effettivamente Greta non è in grado di analizzare le cause del cambiamento climatico e il suo obiettivo è quello di fermarlo e il solo modo che usa è la protesta pacifica.
A sostenere le sue preoccupazioni c’è la stragrande maggioranza degli esperti.
Penso che facciano male coloro che la prendono in giro definendola “gretina”.
Sono evidentemente persone che non vogliono affrontare la realtà o che hanno particolari interessi da difendere.
Sono coloro che credono nella “crescita infinita”, senza rendersi conto che la “crescita”, se ha da essere, non potrà avvenire che al di fuori dei confini della terra.
Sul nostro pianeta quello che va mantenuto è quel tanto o poco di natura ancora esistente che permetta di esistere anche agli esseri umani.
Le cause del cambiamento climatico che Greta non tiene in considerazione sono antiche, hanno origine nell’egoismo umano e sono rafforzate dal sistema politico e finanziario.
Per questo Greta si rivolge ai potenti della Terra intervenendo nei luoghi dove questi si incontrano (ONU, Parlamenti, forum internazionali, etc…) e a loro dice di agire spiegando ai propri elettori cos’è l’emergenza climatica.
Purtroppo di governanti che fanno questo non ce ne sono e la voce di Greta per lo più rimane inascoltata ma non è detto che parli invano anche se i grandi finanzieri (e il capitalismo in genere) sono contro di lei.
Ha però dalla sua parte, oltre a numerosi scienziati, la voce del Papa Francesco.
Basti pensare alla Sua enciclica “Laudato si’” del 2015 o al Suo recente “La vita dopo la pandemia” dove, a pagina 59 ha scritto: "Come possiamo ripristinare un'armonia con la Terra e con l'Umanità? Abbiamo bisogno di guardare la nostra CASA COMUNE con uno sguardo diverso, essa non è un magazzino da svuotare ... Impariamo dagli indigeni: ci insegnano che la Terra non può essere guarita se non la si ama. Contemporaneamente abbiamo bisogno di una riconversione ecologica che possa tradursi in atti concreti". Vale a dire: in attesa degli interventi governativi, ognuno faccia quello che può iniziando con il rendersi conto che il cambiamento climatico può essere fermato anche con la riduzione degli sprechi, con meno consumismo, meno rifiuti e più riciclaggio.
Enrico Sciarini
Per la rubrica
Te se ricordet i temp indre
LA MIA MAESTRA
Le scuole elementari le ho fatte a Segrate. Erano gli anni cinquanta e la scuola era nell’ edificio, abbattuto molti anni fa, a poche decine di metri dalla chiesa.
La mia insegnante era la signorina Maestra Francesca Banfi. Ho continuato a chiamarla “signorina maestra” anche quando si è sposata e dopo che ha avuto il suo primo figlio.
Per me era un po’ come la Madonna, vergine anche dopo aver concepito e partorito.
Sono passati tanti anni e della vita di classe mi tornano alla mente alcuni episodi.
Ricordo il Parroco, don Cavallini, che, quando veniva a farci religione, prima della lezione si metteva in bocca con un gesto di grande voluttà una pastiglia Valda per schiarirsi la voce e poi appoggiava lo scatolino sul mio banco. Io morivo dalla voglia di rubargliene almeno una per godere anch’io dello stesso piacere!
Ricordo le urla della bidella che ci sgridava perché, quando intingevamo il pennino nel calamaio, sporcavamo il banco d’inchiostro:
“Porca sidela, te set minga bun de stà atent? Te la farisi netà cunt la lengua.”
Ero un bambino irrequieto, di quelli che non riescono a stare seduti più di cinque minuti e, anche senza averne l’intenzione, disturbavo chi mi stava vicino. Però ero un “bambino molto intelligente” (parole sue) e questo mi salvava.
Quando il sabato la maestra ci dava i voti di condotta e profitto della settimana, spesso tornando a casa dicevo a mia madre:
“Mamma, oggi ho preso quindici.”
“Come hai fatto a prendere quindici?”
“Cinque in condotta e dieci in profitto.”
Puntuali in primavera arrivavano le passeggiate nei prati e l’itinerario era sempre quello: costeggiavamo il cimitero recitando il Requiem Aeternam per i defunti per poi continuare fino al grande prato vicino alla cascina di Rugacesio dove eravamo liberi di giocare mentre lei, la maestra, se ne stava all’ombra sotto gli alberi a leggere un libro o a correggere i nostri compiti.
Al ritorno in classe l’immancabile tema: “Una gita nei campi” con la raccomandazione di non ripetere le stesse cose delle volte precedenti.
Eravamo in quarta elementare, il giorno prima era piovuto e il viottolo era piena di pozzanghere e in una di queste c’erano due ranocchi che al nostro avvicinarsi erano scappati.
Al ritorno in classe, nel mio tema, non sapendo cosa scrivere di diverso dalle altre volte, mi inventai un dialogo con loro:
“Ciao ranocchi, perché scappate? Rimanete, non vi facciamo del male, vogliamo giocare e imparare a nuotare e saltare come voi. Dov’è la vostra casa? I vostri genitori sanno che siete in giro da soli? Sapeste che invidia quando vi vediamo giocare nelle pozzanghere, se lo dovessimo fare noi ci sporcheremmo i vestiti e chi le sentirebbe le nostre mamme?”
Il tutto con le loro risposte e contro domande.
Ne venne fuori un tema di più di quattro pagine che mi fece prendere un dieci e lode per la fantasia e la corretta esposizione grammaticale e mi concesse il giro per leggerlo alle altre classi.
Ero innamorato perso della mia maestra, ne ero così innamorato che il giorno in cui ci diede la notizia che si sarebbe sposata, ebbi una crisi di gelosia tale che se mi avessero dato un fucile sarei andato fuori dalla chiesa e avrei ammazzato quel Bruno Bravin che me la stava portando via.
Una ventina di anni dopo, alla Rizzoli Editore, quando ho avuto modo di avere contatti di lavoro con Bruno quale caporeparto della tipografia, gli ho raccontato che aveva rischiato di morire giovane a causa della mia gelosia e abbiamo riso insieme. Era un grande uomo.
Durante il servizio di leva, ogni volta che mia madre mi scriveva, alla fine c’era sempre la stessa frase: “Ho incontrato la tua maestra, mi ha chiesto del suo Paolo e mi ha detto di mandarti un bacione. Scrivile che la fai felice, lo sai che ti vuole bene come se fossi suo figlio.”
Nell’anno dei nostri quarant’anni, con i compagni di classe abbiamo organizzato una cena e, come invitata d’onore, c’era lei, la signorina maestra Banfi che si è commossa fino alle lacrime quando le abbiamo donato un grande mazzo di fiori e una medaglia ricordo.
Al momento di metterci a tavola ha voluto che le sedessi accanto:
“L’è el mè picinin e g’ho de cural!”
Proprio come una (seconda) mamma provava un forte affetto anche per i “nipotini” e quando mio figlio aveva cominciato il suo percorso scolastico alle elementari, ogni volta che la incontravo non mancava di chiedermi:
“El mè picinin cume el va? El sarà minga un disperà cume ti? Eri tanto bravo ma non si riusciva a tenerti fermo neanche legandoti al banco con la catena. Però eri il migliore. Ricordati che anche se sono in pensione sono sempre una maestra e se tuo figlio ha bisogno me lo devi dire, non voglio essere pagata, voglio solo che el mè picinin diventi bravo e cresca bene.”
Se ne è andata il diciannove giugno del millenovecentonovantuno.
Paolo
Te se ricordet i temp indre
LA MIA MAESTRA
Le scuole elementari le ho fatte a Segrate. Erano gli anni cinquanta e la scuola era nell’ edificio, abbattuto molti anni fa, a poche decine di metri dalla chiesa.
La mia insegnante era la signorina Maestra Francesca Banfi. Ho continuato a chiamarla “signorina maestra” anche quando si è sposata e dopo che ha avuto il suo primo figlio.
Per me era un po’ come la Madonna, vergine anche dopo aver concepito e partorito.
Sono passati tanti anni e della vita di classe mi tornano alla mente alcuni episodi.
Ricordo il Parroco, don Cavallini, che, quando veniva a farci religione, prima della lezione si metteva in bocca con un gesto di grande voluttà una pastiglia Valda per schiarirsi la voce e poi appoggiava lo scatolino sul mio banco. Io morivo dalla voglia di rubargliene almeno una per godere anch’io dello stesso piacere!
Ricordo le urla della bidella che ci sgridava perché, quando intingevamo il pennino nel calamaio, sporcavamo il banco d’inchiostro:
“Porca sidela, te set minga bun de stà atent? Te la farisi netà cunt la lengua.”
Ero un bambino irrequieto, di quelli che non riescono a stare seduti più di cinque minuti e, anche senza averne l’intenzione, disturbavo chi mi stava vicino. Però ero un “bambino molto intelligente” (parole sue) e questo mi salvava.
Quando il sabato la maestra ci dava i voti di condotta e profitto della settimana, spesso tornando a casa dicevo a mia madre:
“Mamma, oggi ho preso quindici.”
“Come hai fatto a prendere quindici?”
“Cinque in condotta e dieci in profitto.”
Puntuali in primavera arrivavano le passeggiate nei prati e l’itinerario era sempre quello: costeggiavamo il cimitero recitando il Requiem Aeternam per i defunti per poi continuare fino al grande prato vicino alla cascina di Rugacesio dove eravamo liberi di giocare mentre lei, la maestra, se ne stava all’ombra sotto gli alberi a leggere un libro o a correggere i nostri compiti.
Al ritorno in classe l’immancabile tema: “Una gita nei campi” con la raccomandazione di non ripetere le stesse cose delle volte precedenti.
Eravamo in quarta elementare, il giorno prima era piovuto e il viottolo era piena di pozzanghere e in una di queste c’erano due ranocchi che al nostro avvicinarsi erano scappati.
Al ritorno in classe, nel mio tema, non sapendo cosa scrivere di diverso dalle altre volte, mi inventai un dialogo con loro:
“Ciao ranocchi, perché scappate? Rimanete, non vi facciamo del male, vogliamo giocare e imparare a nuotare e saltare come voi. Dov’è la vostra casa? I vostri genitori sanno che siete in giro da soli? Sapeste che invidia quando vi vediamo giocare nelle pozzanghere, se lo dovessimo fare noi ci sporcheremmo i vestiti e chi le sentirebbe le nostre mamme?”
Il tutto con le loro risposte e contro domande.
Ne venne fuori un tema di più di quattro pagine che mi fece prendere un dieci e lode per la fantasia e la corretta esposizione grammaticale e mi concesse il giro per leggerlo alle altre classi.
Ero innamorato perso della mia maestra, ne ero così innamorato che il giorno in cui ci diede la notizia che si sarebbe sposata, ebbi una crisi di gelosia tale che se mi avessero dato un fucile sarei andato fuori dalla chiesa e avrei ammazzato quel Bruno Bravin che me la stava portando via.
Una ventina di anni dopo, alla Rizzoli Editore, quando ho avuto modo di avere contatti di lavoro con Bruno quale caporeparto della tipografia, gli ho raccontato che aveva rischiato di morire giovane a causa della mia gelosia e abbiamo riso insieme. Era un grande uomo.
Durante il servizio di leva, ogni volta che mia madre mi scriveva, alla fine c’era sempre la stessa frase: “Ho incontrato la tua maestra, mi ha chiesto del suo Paolo e mi ha detto di mandarti un bacione. Scrivile che la fai felice, lo sai che ti vuole bene come se fossi suo figlio.”
Nell’anno dei nostri quarant’anni, con i compagni di classe abbiamo organizzato una cena e, come invitata d’onore, c’era lei, la signorina maestra Banfi che si è commossa fino alle lacrime quando le abbiamo donato un grande mazzo di fiori e una medaglia ricordo.
Al momento di metterci a tavola ha voluto che le sedessi accanto:
“L’è el mè picinin e g’ho de cural!”
Proprio come una (seconda) mamma provava un forte affetto anche per i “nipotini” e quando mio figlio aveva cominciato il suo percorso scolastico alle elementari, ogni volta che la incontravo non mancava di chiedermi:
“El mè picinin cume el va? El sarà minga un disperà cume ti? Eri tanto bravo ma non si riusciva a tenerti fermo neanche legandoti al banco con la catena. Però eri il migliore. Ricordati che anche se sono in pensione sono sempre una maestra e se tuo figlio ha bisogno me lo devi dire, non voglio essere pagata, voglio solo che el mè picinin diventi bravo e cresca bene.”
Se ne è andata il diciannove giugno del millenovecentonovantuno.
Paolo
E ORA…
UN PO’ DI UMORISMO!
Il cruciverba della malavita...
12 verticale : “Si schiaccia in poltrona..." - "Chihuahua".
5 orizzontale : "Il senso sviluppato nei polpastrelli" - "Ludito".
15 verticale : "Si spedisce per ricordo" - "Orecchio".
34 orizzontale : "Il nome della figlia di Bush" - "Buscetta".
23 orizzontale : "Vicino a Cuba" - "Libre".
11 orizzontale : "La ripete il bocciato" - "Imprecazione".
6 verticale : "L'indimenticabile Totò" - "Riina".
30 verticale : "Proviene da una buona famiglia" - "Ostaggio".
16 orizzontale : "Fa coppia con Romeo" - "Alfa".
14 orizzontale : "Fra due si sceglie il minore" - "Preventivo".
22 verticale : "E' obbligatorio sulla moto" - "Impennare".
8 orizzontale : "Pagamento regolare" "Pizzo".
42 verticale : "Il nome greco di Mercurio" - "Cromo".
12 orizzontale : "Sport che si pratica allungando le braccia" - "Scippo".
18 verticale : "Può causare esaurimento nervoso" - "Inter".
2 verticale : "Anima le feste" - "Rissa".
44 verticale : " Stende il bucato" - "Overdose".
31 orizzontale : "Finisce quando muori" - "Mutuo".
23 orizzontale : "E' famoso quello di Troia" - "Figlio".
1 verticale : "L'accompagna il dolce" - "Gabbana".
8 verticale : "Si fa dopo un litigio" - "Autopsia".
5 verticale : "Si dice entrando" - "Mani in alto".
22 orizzontale : "Si alza durante le discussioni" - "Cric".
15 orizzontale : "Battono con il freddo" - "Trans Siberiani".
42 orizzontale : "Si indossa nelle grandi occasioni" - "Passamontagna".
34 verticale : "Si fa al mercato" - "Portafoglio".
19 verticale : "Uguale alla colla" - "Suocera".
27 verticale : "Ha uno spiccato senso degli affari" - "Ricattatore".
28 orizzontale : "Manifestarsi con chiarezza" - "Sparare".
12 orizzontale : "Balla coi lupi" "Miope".
44 verticale: "E' stata disegnata da Pininfarina" - "Belen Rodriguez"
UN PO’ DI UMORISMO!
Il cruciverba della malavita...
12 verticale : “Si schiaccia in poltrona..." - "Chihuahua".
5 orizzontale : "Il senso sviluppato nei polpastrelli" - "Ludito".
15 verticale : "Si spedisce per ricordo" - "Orecchio".
34 orizzontale : "Il nome della figlia di Bush" - "Buscetta".
23 orizzontale : "Vicino a Cuba" - "Libre".
11 orizzontale : "La ripete il bocciato" - "Imprecazione".
6 verticale : "L'indimenticabile Totò" - "Riina".
30 verticale : "Proviene da una buona famiglia" - "Ostaggio".
16 orizzontale : "Fa coppia con Romeo" - "Alfa".
14 orizzontale : "Fra due si sceglie il minore" - "Preventivo".
22 verticale : "E' obbligatorio sulla moto" - "Impennare".
8 orizzontale : "Pagamento regolare" "Pizzo".
42 verticale : "Il nome greco di Mercurio" - "Cromo".
12 orizzontale : "Sport che si pratica allungando le braccia" - "Scippo".
18 verticale : "Può causare esaurimento nervoso" - "Inter".
2 verticale : "Anima le feste" - "Rissa".
44 verticale : " Stende il bucato" - "Overdose".
31 orizzontale : "Finisce quando muori" - "Mutuo".
23 orizzontale : "E' famoso quello di Troia" - "Figlio".
1 verticale : "L'accompagna il dolce" - "Gabbana".
8 verticale : "Si fa dopo un litigio" - "Autopsia".
5 verticale : "Si dice entrando" - "Mani in alto".
22 orizzontale : "Si alza durante le discussioni" - "Cric".
15 orizzontale : "Battono con il freddo" - "Trans Siberiani".
42 orizzontale : "Si indossa nelle grandi occasioni" - "Passamontagna".
34 verticale : "Si fa al mercato" - "Portafoglio".
19 verticale : "Uguale alla colla" - "Suocera".
27 verticale : "Ha uno spiccato senso degli affari" - "Ricattatore".
28 orizzontale : "Manifestarsi con chiarezza" - "Sparare".
12 orizzontale : "Balla coi lupi" "Miope".
44 verticale: "E' stata disegnata da Pininfarina" - "Belen Rodriguez"
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