Articoli del giornalino marzo / aprile 2022
Dove non c’è amore, metti amore e troverai amore
(San Giovanni della Croce)
Mi trovavo all’ospedale San Raffaele per prenotare una visita a mia mamma e, seduto nella sala d’aspetto insieme a molte altre persone, fissavo attentamente il grande schermo dove comparivano i numeri delle chiamate ai vari sportelli.
Mi si avvicinò un uomo con il braccio al collo che mi domandò: “Mi scusi, vengo dal pronto soccorso, mi hanno dato questo numero ma non lo vedo sullo schermo”.
Lo guardai con la coda dell’occhio, lessi il suo numero e gli risposi: “credo che dovrà aspettare a lungo, le conviene sedersi” ma quello mi disse: “Non posso, ho delle costole rotte e mi fa male stare seduto”.
Mi voltai e, per la prima volta, incontrai il suo sguardo: gentile e un poco mesto, quasi rassegnato ma quello sguardo parlò al mio cuore.
Così mi alzai, andai a uno sportello ed esposi il suo caso chiedendo se si poteva abbreviare la coda ma mi confermarono che c’era una lunga attesa.
Tornato al mio posto, riferii quanto mi avevano detto e ripresi a fissare lo schermo.
Tutto sommato avevo cercato e di aiutarlo e il mio turno (di categoria diversa dalla sua) si avvicinava.
Quell’uomo, però, mi venne più vicino e prese a raccontarmi di sé così mi voltai verso di lui e ora con la coda dell’occhio guardavo lo schermo …
Eppure qualcosa mi diceva: “ascolta quest’uomo con tutta la tua attenzione, come se fosse la cosa più importante della tua vita”.
Così, mentre lo ascoltavo, mi dimenticai dello schermo e quando, dopo qualche minuto, alzai lo sguardo, vidi che il mio turno era passato.
“Oh, il mio turno è passato!” esclamai.
“Mi dispiace, è colpa mia” disse mortificato il mio interlocutore.
Ritornai allo sportello: “Non si preoccupi, adesso la recuperiamo” mi rassicurò l’operatrice che, ormai, aveva imparato a conoscermi.
Le persone intorno ci guardavano: qualcuno stupito, qualcun altro divertito e c’era anche chi aveva incominciato a parlare con il vicino.
Era come se la tensione si fosse un poco sciolta lasciando spazio a uno squarcio di reciproca comprensione.
L’uomo continuò il suo racconto fino a quando mi chiamarono allo sportello e, quando ritornai, lo trovai seduto al mio posto: la costola gli doleva un po’ meno o, forse, era soltanto più tranquillo.
Ci salutammo con un lungo sguardo e con nel cuore il medesimo sorriso.
Mente mi allontanavo lo affidai al Signore e incominciai a recitare un’Ave Maria.
Una preghiera silenziosa si snodava lungo i corridoi, ricamo di luce tra la gente.
A casa mi attendeva la preghiera di papa Francesco che vi propongo con l’augurio che diventi la nostra vita, che narri la nostra storia e quella di molte altre persone.
Pietro Pinacci
(San Giovanni della Croce)
Mi trovavo all’ospedale San Raffaele per prenotare una visita a mia mamma e, seduto nella sala d’aspetto insieme a molte altre persone, fissavo attentamente il grande schermo dove comparivano i numeri delle chiamate ai vari sportelli.
Mi si avvicinò un uomo con il braccio al collo che mi domandò: “Mi scusi, vengo dal pronto soccorso, mi hanno dato questo numero ma non lo vedo sullo schermo”.
Lo guardai con la coda dell’occhio, lessi il suo numero e gli risposi: “credo che dovrà aspettare a lungo, le conviene sedersi” ma quello mi disse: “Non posso, ho delle costole rotte e mi fa male stare seduto”.
Mi voltai e, per la prima volta, incontrai il suo sguardo: gentile e un poco mesto, quasi rassegnato ma quello sguardo parlò al mio cuore.
Così mi alzai, andai a uno sportello ed esposi il suo caso chiedendo se si poteva abbreviare la coda ma mi confermarono che c’era una lunga attesa.
Tornato al mio posto, riferii quanto mi avevano detto e ripresi a fissare lo schermo.
Tutto sommato avevo cercato e di aiutarlo e il mio turno (di categoria diversa dalla sua) si avvicinava.
Quell’uomo, però, mi venne più vicino e prese a raccontarmi di sé così mi voltai verso di lui e ora con la coda dell’occhio guardavo lo schermo …
Eppure qualcosa mi diceva: “ascolta quest’uomo con tutta la tua attenzione, come se fosse la cosa più importante della tua vita”.
Così, mentre lo ascoltavo, mi dimenticai dello schermo e quando, dopo qualche minuto, alzai lo sguardo, vidi che il mio turno era passato.
“Oh, il mio turno è passato!” esclamai.
“Mi dispiace, è colpa mia” disse mortificato il mio interlocutore.
Ritornai allo sportello: “Non si preoccupi, adesso la recuperiamo” mi rassicurò l’operatrice che, ormai, aveva imparato a conoscermi.
Le persone intorno ci guardavano: qualcuno stupito, qualcun altro divertito e c’era anche chi aveva incominciato a parlare con il vicino.
Era come se la tensione si fosse un poco sciolta lasciando spazio a uno squarcio di reciproca comprensione.
L’uomo continuò il suo racconto fino a quando mi chiamarono allo sportello e, quando ritornai, lo trovai seduto al mio posto: la costola gli doleva un po’ meno o, forse, era soltanto più tranquillo.
Ci salutammo con un lungo sguardo e con nel cuore il medesimo sorriso.
Mente mi allontanavo lo affidai al Signore e incominciai a recitare un’Ave Maria.
Una preghiera silenziosa si snodava lungo i corridoi, ricamo di luce tra la gente.
A casa mi attendeva la preghiera di papa Francesco che vi propongo con l’augurio che diventi la nostra vita, che narri la nostra storia e quella di molte altre persone.
Pietro Pinacci
San Giuseppe,
tu che hai custodito il legame con Maria e con Gesù,
aiutaci ad avere cura delle relazioni nella nostra vita.
Nessuno sperimenti quel senso di abbandono
che viene dalla solitudine.
Ognuno si riconcili con la propria storia,
con chi lo ha preceduto,
e riconosca anche negli errori commessi
un modo attraverso cui la Provvidenza si è fatta strada,
e il male non ha avuto l’ultima parola.
Mostrati amico per chi fa più fatica,
e come hai sorretto Maria e Gesù nei momenti difficili,
così sostieni anche noi nel nostro cammino. Amen.
tu che hai custodito il legame con Maria e con Gesù,
aiutaci ad avere cura delle relazioni nella nostra vita.
Nessuno sperimenti quel senso di abbandono
che viene dalla solitudine.
Ognuno si riconcili con la propria storia,
con chi lo ha preceduto,
e riconosca anche negli errori commessi
un modo attraverso cui la Provvidenza si è fatta strada,
e il male non ha avuto l’ultima parola.
Mostrati amico per chi fa più fatica,
e come hai sorretto Maria e Gesù nei momenti difficili,
così sostieni anche noi nel nostro cammino. Amen.
17 aprile, di domenica
“Quest’anno Pasqua cade di domenica!”: così la famosa battuta. “Ma è sempre di domenica” si risponde, quasi stupiti, senza accorgersi della battuta e il successivo sorriso chiude il dialogo. Potremmo dire che il calendario, sviluppatosi nel tempo proprio a partire dalla Pasqua, ha determinato la domenica come inizio della settimana con l’espressione: “Il primo giorno dopo il sabato, di buon mattino, le donne si recarono…”. Inizio della settimana e festa con relativo riposo. Ora, invece, si preferisce “fine settimana” ma questo è un altro paio di maniche. Potrà succedere che in una nazione la festa e il riposo settimanale cada nel giorno “x o y” ma i cristiani di quella nazione daranno valore alla novità comunque “di domenica” quando per loro sarà un normale giorno feriale. E se anche dovesse capitare una pandemia e, per caso, l’autorità civile dovesse impedire di andare nelle chiese, i cristiani continueranno comunque a celebrare “a prescindere” la Pasqua magari a casa loro. Nessuno potrà impedire un moto del cuore, un gesto a tavola, un incontro nella preghiera casalinga, la lettura di un vangelo. Speriamo che non debba succedere ma, qualora dovesse…, ci attrezzeremo. Sono solo ipotesi, ovviamente… sic! E’ inutile che il sottoscritto di primo pelo (da pochissimo entrato nel gruppo Terza Età grazie alla data di nascita) insegni a chi ha molti più anni di me ciò che significhi la Pasqua e il valore che essa possiede. Con qualche lettura fatta, con qualche riflessione svolta o con qualche predica… ”non ascoltata”, chi legge questo giornalino ne sa più di me. Il calendario, nato per un certo significato nel mondo ebraico, ha assorbito la connotazione primaverile con quel senso del risveglio che la natura offre ai primi caldi tra marzo e aprile. Alberi di ciliegio e di forsizia, azalee o tulipani esplodono in quel clima che abbandona la stagione fredda e gelida. Certo quest’anno, con la carenza d’acqua, vedremo cosa avverrà ma la forza del calore riporterà la natura alla sua produzione di bellezza. Abbinare la primavera alla novità della Pasqua non è del tutto giusto dal momento che la primavera esplode non da una natura morte ma solo dormiente. Dalla natura morta, morta invece non viene fuori mai nulla! La Pasqua indica una novità dalla morte, dal “non c’è più nulla fare”, dall’ “oramai”, dal “ma è impossibile”. Questo è quello che si pensava quel giorno in cui tutti videro quel maestro di Galilea, certo da lontano, su due legni che poi hanno assunto il nome di “croce”. Forse la miglior prova della Pasqua cristiana non sta proprio nella natura ma in una stretta di mano là dove si trova odio, in uno sguardo di bene là dove il male ha imperato, nella pace del cuore nonostante atroci colpi subiti nel corpo o nell’anima, nell’offrire la propria esistenza senza cattiveria o ripicche. Il 3 ottobre, il 7 novembre, il 5 marzo o il 20 giugno possono essere date “pasquali” proprio perché magari in quella data si è passati da una morte dell’animo a una rinascita dello sguardo, del cuore, dell’affetto o del perdono. Una festa che non finirà mai perché il punto d’inizio, ”la Prima Pasqua”, è eterno, più forte del male e della morte! Più di così! Potremo augurarci “buone feste pasquali” dentro i trecentosessantacinque giorni dell’anno non lasciando alla morte l’ultima parola. Don Norberto |
I NOSTER TEMP
Num che sem testimoni del noster temp, vivum ogni dì impiumbà tra sogn e crudel realtà. La vita la te ciapa, la te sbat luntan de due te se nassu, la te carega de grand pes e la te dumanda un so’ prezi de pagà. E tra gent che la sciatta, tra pen schiscià in del sang e in del coeur, te se ciappà in d’un gioeug suttil. Te vorarisset fermas e domandas el perché de quel che in gir succed. Ma la giustra la gira svelta, svelta cume un birlo e te se stravultà tra tanti impicc de penser e parol de sass. Num che sem testimoni del noster temp, vivum ogni dì in cerca d’un pu de pas e d’amor. Fernanda |
INCONTRI CON L’ARTE: MONET
Tutti ormai conoscono la storia di quel gruppo di artisti francesi della seconda metà dell’800, insofferenti della cultura artistica dominante e amareggiati perché non ammessi alle esposizioni ufficiali, che decisero nel 1874 di trovare un loro spazio per un’esposizione delle proprie opere. Tra questi numerosi artisti troviamo Monet, Pisarro, Renoir, Sisley e anche una donna: Berthe Morisot. Le reazioni del pubblico e della critica non furono però positive e anche l’appellativo di “Impressionisti”, preso dal titolo di un’opera di Monet, per un critico ebbe una connotazione dispregiativa. A loro invece piacerà e decideranno di adottarlo come nome della loro corrente che, già alla fine del secolo e poi nel seguente, avrà un enorme successo di critica e di mercato. Per questi pittori dipingere significava non stare più nel chiuso di uno studio ma prendere cavalletto, tele e colori per passare le giornate “en plein air” a cercare di rappresentare lo spettacolo della natura, le sue luci e i suoi colori. Il pittore doveva avere qualità nuove: velocità d’esecuzione (visto il rapido mutare della luce) e capacità di procedere con rapidi tocchi di colore senza disegno preparatorio lasciando sulla tela l’impressione di ciò che aveva visto. I luoghi prediletti sono spesso quelli della vita parigina: i ponti sulla Senna, i grandi “boulevards” affollati, i caffè ma anche la foresta di Fontainebleau, cieli e marine. Negli impressionisti c’è una grande attenzione a tutto ciò che è movimento e un’eccezionale capacità di rendere la variabilità della luce nei cieli, nell’acqua, tra le foglie e i tronchi d’albero. In occasione della mostra a Palazzo Reale, Isabella Bertario ci ha parlato di Claude Monet come di uno dei rappresentanti più importanti del gruppo, leggendoci prima una sua frase molto significativa per la comprensione della sua pittura: “Dimenticate che quello che avete davanti agli occhi è un albero, una casa, un campo e pensate semplicemente: qui c’è un piccolo quadro blu, là una striscia di giallo e dipingete come questo vi appare”. Ne risulteranno opere che non rappresentano la materialità del soggetto ma solo la sensazione cromatica e l’intensità luminosa che questo ha rimandato all’occhio del pittore. Fin dai tempi del suo soggiorno ad Argenteuil l’oggetto privilegiato della sua ricerca pittorica sarà la vibrazione della luce e i suoi riflessi sulla superficie dell’acqua. Qui dipinse il quadro “Impression, soleil levant” che diede il nome al movimento. Si era perfino fatto costruire una piccola imbarcazione su cui poter dipingere, come vediamo nel ritratto che Manet gli fece. Lasciata la Normandia per tornare a Parigi, cercherà una residenza in campagna e, quando le sue condizioni economiche migliorarono decisamente, acquisterà la tenuta di Givernay organizzandone il giardino, facendo preparare il laghetto per le ninfee e costruendovi il ponte giapponese. Da allora il pittore si concentrerà sempre più sulla luce e sui suoi effetti sugli oggetti. Seguendo la parabola del sole dal mattino alla sera e dalla primavera all’inverno, dipinse moltissime tele sullo stesso soggetto ma trasfigurato dalla luce in tanti momenti diversi. Particolarmente note sono le sue serie sulla Cattedrale di Rouen, i Covoni, il Canal Grande, i ponti giapponesi, i salici e (la più numerosa di tutte) le ninfee, soggetto che sarà presente fino alla morte dell’artista. Con l’andar del tempo il soggetto non sarà però più rappresentato dai fiori in senso stretto ma passerà allo spazio. Monet eliminerà i riferimenti alla riva: dei fiori, dei salici e della vegetazione che cresce sulle sponde si percepiranno solo i riflessi mescolati a quelli delle nuvole nel cielo. Il momento conclusivo è rappresentato dalle “Grandi decorazioni”, ciclo esposto all’Orangerie e concepito dal pittore stesso in collaborazione con l’architetto: lo spettatore è circondato dai grandi pannelli circolari come in un abbraccio e può seguire la progressione della luce dall’alba al tramonto sul laghetto con le ninfee nel corso della giornata. Questa lezione è stata un grande invito a visitare la mostra. Laura Re |
GLI SPOSI DI SAN CELSO
Le attuali chiese di S. Maria dei Miracoli e S. Celso sorgono affiancate nella zona di una necropoli paleocristiana in cui vennero rinvenuti i corpi dei martiri Nazzaro e Celso che, avendo personalmente conosciuto Gervasio e Protasio, ne avevano continuato la predicazione dopo il martirio. S. Ambrogio, di ritorno da Aquileia, fece traslare le spoglie di Nazzaro nella Chiesa di Porta Romana e tumulare in un sarcofago di rara bellezza quelle di S. Celso, facendovi costruire un sacello e affrescare una Madonna con Bambino. Nel 996 il vescovo Landolfo fece costruire un monastero benedettino e un'attigua chiesetta la cui facciata romanica, con architrave in marmo scolpito e narrante il martirio, verrà spostata nell' 800 nella chiesa attuale. A metà del ‘400 Filippo M. Visconti farà poi costruire una chiesa trasversale rispetto all' attuale basilica. La Madonna miracolosa risultava essere la pala d'altare, dato che la pavimentazione si trovava molto più in basso. Durante la pestilenza del 1485, l'immagine voluta da Ambrogio, nascosta come si usava da una tenda, si animò e Maria, scostando il drappo, porse con tenerezza il Bambino benedicente verso il popolo riunito per implorare la guarigione. Miracolosamente la peste finì e, grazie anche alle testimonianze giurate dei presenti, il miracolo venne riconosciuto ufficialmente. Dolcebuono prima e Solari poi costruiranno la Basilica, poi ampliata da Cesariano, allievo di Bramante, nelle forme attuali, con ricchi marmi (pavimentazione origi-nale), stucchi, quadri di pregio e con una facciata decorata con statue e bassorilievi che sinte-tizzano la storia della Salvezza. Abbiamo scoperto d'esse-re tre o quattro coppie del MTE che, giovani sposi e secondo l’antica tradizione milanese, portammo il bouquet di nozze in dono alla Vergine miracolosa, ottenendo la Grazia di un'unione lunga e serena, testimoniata dai numerosissimi anni di matrimonio che totalizziamo tutti. In pullman abbiamo concluso l'interessante uscita con un'Ave Maria affinché, ancor oggi, la Vergine interceda presso Dio nel chiedere la fine di questa estenuante pandemia. Fermo restando che, anche noi, dobbiamo comportarci bene e secondo le regole, credo proprio che la dolce Vergine, venerata nella sua dolcissima e antichissima immagine, non ci lascerà delusi! Elisa Ogliari |
LA DIFFERENZA TRA GLI ALBERI E NOI
Quando arriva l’estate e le temperature diventano molto elevate, c’è il rischio che si sviluppino degli incendi e ci si chiede se siano dolosi o causati da disattenzioni o da altre motivazioni speculative. Migliaia di ettari di boschi vengono distrutti producendo danni alla flora e alla fauna ma anche alle case e alle persone. Purtroppo gli alberi ancorati con le loro radici al terreno non possono fuggire e sono vittime del fuoco, dei fulmini e delle alluvioni. C’è quindi una fondamentale differenza fra gli alberi e l’uomo: gli esseri umani hanno libertà di movimento, si spostano perché hanno i piedi (detti con eufemismo “estremità”). Nella Bibbia il profeta Isaia (52,7) ne esalta la preziosità: “Come sono belli i piedi del messaggero che annuncia la pace!” Nel Salmo CXV si citano gli idoli che non hanno piedi e non camminano. I piedi hanno permesso al popolo di Israele di camminare nel deserto per raggiungere la terra promessa e a Mosè di salire a piedi scalzi sul Monte Sinai per ricevere le tavole della Legge. Sempre nell’Antico Testamento, dopo la cacciata dei nostri progenitori dal Paradiso Terrestre, si parla di una donna che verrà e schiaccerà Satana (il serpente) sotto i suoi piedi. Nel Nuovo Testamento, nel Vangelo di Luca (7,37), si parla di una peccatrice che bagna con le sue lacrime i piedi di Gesù e li asciuga con i suoi capelli. L’evangelista Giovanni non fu tanto interessato al pasto nell’Ultima Cena quanto alla scelta di Gesù che lo interruppe per lavare i piedi dei suoi invitati. “Fate questo in memoria di me” dirà Gesù (intendendo: fatelo dalla testa ai piedi). Nell’Antico e Nuovo Testamento i piedi sono nominati 321 volte con il loro significato concreto o figurato: un invito rivolto a tutti noi a proiettarci verso il futuro camminando con speranza e riempiendo il nostro tempo di fede e di amore. Fernanda |
CAPODANNO IN ANDALUSIA
Parte I L'idea di trascorrere un capodanno in Andalusia è stata da noi accolta con vero entusiasmo, vuoi per la compagnia degli amici (il gruppo MTE è ormai ben consolidato), vuoi per la temperatura primaverile che poteva riservare la "Costa del Sol" unitamente all'alle-gria del popolo spagnolo in questo particolare periodo dell'anno e, non ultimo, vuoi per la bellezza di città come Granada, Siviglia, Cordoba, Malaga e Marbella. A pochi giorni dalla partenza tuttavia un nuovo dpcm e l'aumento dei contagi... costituirono un buon dissuasore anche per i più ottimisti. Ma... siamo partiti! Perchè viaggiare è vivere nuove emozioni, è incontrare persone nuove, conoscere la loro storia e le loro tradizioni e, perché no, apprendere qualche anedotto che i libri non ti raccontano ma che una guida appassionata certamente sì. Ebbene, siamo stati premiati: a iniziare dal volo, due ore e mezzo sopra le nuvole e le cime da poco imbiancate ad inseguire un tramonto rosso fuoco all'orizzonte che non raggiungevi mai. E, per finire, l'atterraggio a Malaga arrivando dal mare, con milioni di luci a illuminare la notte, ha fatto dimenticare ogni perplessità. Abbiamo soggiornato a Torremolinos, una graziosa e tranquilla località balneare e da qui ogni giorno si partiva alla scoperta di una regione il cui significato è a dir poco curioso: il suo nome pare infatti ricondurre alla parola araba Al-Andalus che, a sua volta, deriverebbe da "Vandalusia" ovvero "terra dei vandali". Così erano infatti indicati i territori della penisola iberica sotto il dominio islamico dal 700 circa fino al 1492. I trasferimenti, a volte non brevi, erano comunque parte del viaggio poiché ci hanno permesso di ammirare il paesaggio tutt'altro che monotono: distese di ulivi che si moltiplicavano a perdita d'occhio qua (stante che il primato della produzione europea di olio appartiene al sud della Spagna) e là piccoli paesini con costruzioni rigorosamente bianche tipiche della regione. Ovunque immense coltivazioni di ogni genere con un ordine quasi maniacale. Iniziamo il nostro tour visitando un paese quasi unico al mondo, Setenil de las Bodegas, con le case incastonate nella roccia: un meraviglioso esempio di come l'uomo sia stato capace di adattarsi alla morfologia di questo territorio in un canyon scavato nei secoli dalle acque del rio Trejo. Un nucleo storico considerato inespugnabile dai Re Cattolici che dovettero produrre sette assalti prima di conquistarlo: da qui il nome "Septem nihil", ovvero settimo assedio. Ancora oggi si trovano testimonianze musulmane come la fortezza Nazari del XIII sec. Proseguiamo e raggiungiamo Ronda. Piccola sosta per il pranzo nel parco e, dal belvedere, possiamo già ammirare un immenso panorama sul Parco Naturale della Sierra de Grazalema. La città è infatti costruita su uno strapiombo nelle montagne scavate dal fiume Guadalevin ed è caratterizzata da una gola vertiginosa profonda circa 100 metri che divide la città nuova, risalente al XV secolo, da quella vecchia, in stile moresco. Ad unirle tre giganteschi ponti eretti in epoche diverse: il più spettacolare è il ponte Nuovo con i suoi 70 metri di lunghezza e un'altezza che in alcuni punti raggiunge i 98 metri. Anche Ernest Hemingway rimase affascinato da questo luogo tanto da ambientarvi alcune scene del suo romanzo "Per chi suona la campana". Il giorno seguente una splendida giornata di sole ci accompagnerà nella nostra visita a Siviglia, la capitale dell'Andalusia, attraversata dal fiume Guadalquivir sul quale sorge maestoso uno dei primi ponti progettati dal noto architetto Calatrava. Ci addentriamo per una piacevole passeggiata nel Parco di Maria Luisa con l'immensa piazza di Spagna e le sue carrozze trainate da bianchi cavalli che ci riportano un po' indietro nel tempo. Tra siepi, roseti, fiori particolari provenienti da ogni parte del mondo, laghetti artificiali, fontane e statue di artisti famosi come Cervantes e Becquer, vorresti fermare l'orologio e, invece, è giunta l'ora di pranzo e oggi ci aspetta una vera paella andalusa! Nel pomeriggio visitiamo la città, lungo vicoli stretti e archi raggiungiamo il centro dove possiamo ammirare, oltre all'Archivio generale delle Indie, tre importanti edifici storici dichiarati patrimonio dell'umanità. La Cattedrale, la più grande del mondo occidentale e vero gioiello dell'arte gotica, dove riposa il nostro Cristoforo Colombo. La Giralda, una torre del XII secolo che per lungo tempo è stata la costruzione più alta del mondo con i suoi 101 metri compreso il Giraldillo, simbolo della città. Nata come minareto é divenuta in seguito un campanile. Ultimo ma non ultimo l'Alcazar di Siviglia, il palazzo reale progettato e costruito dai Mori e ancora parzialmente utilizzato dagli attuali reali di Spagna. E ancora l'antica fabbrica di tabacco divenuta l'università della città. Un ultimo sguardo alla Torre dell'Oro e lasciamo questa magnifica città per rientrare in hotel. Questa sera ci aspetta lo spettacolo di flamenco, il ballo che ebbe origine proprio in Andalusia da una danza gitana, la "zambra". I gitani, si presume, volessero esprimere attraverso la danza, il canto e la musica la tristezza delle loro vite oppresse. Infatti nel passato erano gli zingari che battevano il ferro per lavorarlo e da qui nacque il ritmo di questa danza mentre il movimento dei piedi si ispirò alle donne che pestavano con i tacchi i chicchi di sale grosso. Curioso vero? Liliana Mondini Continua… |
Il Flamenco è la musica delle genti nomadi degli zingari che durante la loro migrazione hanno attraversato tutto il Medio Oriente e il Mediterraneo.
Il termine flamenco deriva dall'unione delle parole arabe “felag“ (contadino) e “mengu” (errante, fuggitivo), e entrò nell'uso linguistico come sinonimo di Gitano nel secolo XVIII. Uno dei primi documenti scritti sul flamenco se ritrovato in una delle Cartas Marruecas di Cadalso (1774), dove la musica del flamenco è esplicitamente attribuita ai gitani.
Il termine flamenco deriva dall'unione delle parole arabe “felag“ (contadino) e “mengu” (errante, fuggitivo), e entrò nell'uso linguistico come sinonimo di Gitano nel secolo XVIII. Uno dei primi documenti scritti sul flamenco se ritrovato in una delle Cartas Marruecas di Cadalso (1774), dove la musica del flamenco è esplicitamente attribuita ai gitani.
Nel nostro sito alla pagina della Galleria o anche direttamente in https://www.maccheanzianidegitto.com/andalusia1.html
troverete tutte le belle foto scattate durante il viaggio!
troverete tutte le belle foto scattate durante il viaggio!
CHI HA VINTO E CHI HA PERSO?
Alla fine hanno riconfermato Mattarella con una larga maggioranza ma, per alcune settimane, abbiamo visto sfilare candidature, anche prestigiose, bruciate o ritirate a causa dei dissensi, soprattutto interni ai partiti, che caratterizzano l’attuale fase di storia della Repubblica. Chi ha vinto e chi ha perso? Certamente ha perso il centro destra che, dopo la saggia rinuncia di Berlusconi, pur proponendo candidature di rilievo (dalla Casellati a Frattini e da Nordio ad Amato), lo ha fatto senza convinzione e senza unitarietà d’intenti. Così è passato il vecchio e nobile Presidente uscente confermando quello che Sansonetti aveva previsto su Il Riformista: “ritorneremo demo-cristiani”. Ma non ha vinto neppure il centro sinistra che non è riuscito a esprimere candidature solide al di là di quelle scontate, perché molto popolari, di Draghi e Mattarella (ormai “consoli” secondo il rito romano). Soprattutto hanno perso i “populisti” come Salvini e Conte che puntavano sulla chiusura della legislatura e a nuove elezioni entro l’autunno. C’è stato, infatti, come scrive Folli su Repubblica, “il cortocircuito di un sistema politico sull’orlo del fallimento che ha trovato nella difesa dello status quo l’estrema ancora di salvezza”. Nel corso degli incontri che il “Gruppo della Rassegna Stampa” del nostro movimento tiene ogni mercoledì mattina a Cascina Commenda, le opinioni emerse dai principali quotidiani sul probabile nuovo Presidente della Repubblica sono risultate diversificate al pari di quelle dei presenti agli incontri. Si sono letti articoli “filo Draghi” (Feltri e Verderami) e “filo Mattarella” (Sorgi e Mieli) con varianti varie su Casini e Casellati. Da qualche tempo, vedovo e vecchierello, frequento di più i bar segratesi che trovo luoghi di ottima accoglienza e così, leggendo e ascoltando, ho appurato come lo sport (il calcio in particolare) e le conseguenze del Covid sulle famiglie costituissero i temi prevalenti delle conversazioni dei miei “vicini”. Tutto ciò è durato fino a gennaio quando, alle conversazioni e allo scambio di opinioni, si sono aggiunte le previsioni sul nome del nuovo Presidente della Repubblica e le fasi politiche che hanno preceduto l’elezione di Mattarella. E allora perché non l’elezione diretta del più alto vertice dello Stato come avviene per i Sindaci delle città e come da tempo propongono sia Renzi che la Meloni? Sarà un caso che le elezioni municipali sono le uniche che registrano un elevato e consistente livello di partecipazione dei cittadini? Bruno Colle |
Ambrogio Lorenzetti, Effetti del Buon Governo in città, 1338-1339, affresco. Siena, Palazzo Pubblico, Sala della Pace.
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LA POLITICA NON E’ SCONFITTA
Fra tutti i titoli a effetto che i maggiori quotidiani italiani hanno messo in prima pagina il 30 gennaio scorso dopo la rielezione di Sergio Mattarella alla presidenza della Repubblica, mi voglio soffermare su “… La sconfitta della politica” (il Quotidiano), “La politica è morta, evviva Mattarella” (Il Mattino) e “La sconfitta dei partiti” (Domani). Dire che i partiti sono sconfitti è cosa ben diversa dal dire che è sconfitta la politica. Politica significa “arte di ben governare”. I partiti sono lo strumento usato per ben governare e quindi è lo strumento che non funziona più e che va aggiornato o cambiato. Come si cambiano gli strumenti per lavorare, allo stesso modo serve cambiare gli strumenti per governare. Il cambiamento è possibile, basta volerlo. E c’è anche chi ha già avanzato proposte. Enrico Sciarini |
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