Articoli del giornalino n.1/2023 - gennaio / febbraio
Cari amici,
un altro anno è passato e ci accingiamo a iniziarne un altro che, inutile negarlo, non parte con i migliori auspici. Sembrerebbe quasi che sia sempre più difficile scambiarci, con convinzione, gli auguri per un buon anno nuovo o, almeno, perché questo 2023 sia migliore del precedente. La pandemia, al di là di una “rilassatezza” di cui siamo rimasti un po’ tutti colpevolmente vittime, non è affatto debellata e, anzi, rispetto alla stessa data del 2021, a livello nazionale gli attuali contagiati sono aumentati del 155% e nella nostra Lombardia le cose non vanno molto meglio (+ 140%). E nel mondo? Beh, di nuovo non c’è niente di meno di una guerra “pazza” che, proprio per questo, rischia di sconvolgere il mondo intero. Tuttavia non ci si deve scoraggiare, non dobbiamo adagiarci ma imparare a reagire ciascuno per quanto può e per come sa: certe negatività si vincono, prima tutto, con un atteggiamento personale nuovo che non può essere di rassegnazione perché, affinché l’anno nuovo sia migliore di questo, dovremo viverlo con ottimismo, fantasia e, soprattutto, con speranza. La Speranza, la più piccola, la più modesta, la meno acclamata delle virtù teologali e, come sosteneva Baruck Spinoza, quella che “non esiste mai senza la paura”. E allora proviamo a impegnarci per fare in modo che sia anche la paura a non esistere mai senza Speranza perché così, non importerà tanto cosa e dove ci porterà l’anno nuovo: l’importante sarà esserci andati tutti insieme! Buon anno a tutti voi! Antonio |
Francesco: la pace è un grido che merita di essere ascoltato
Tratto da Vatican News del 25/10/22, a cura di Adriana Masotti Papa Francesco interviene nella serata conclusiva dell’Incontro di preghiera per la pace con i leader cristiani e delle religioni mondiali che si è aperto a fine ottobre 2022 a “la Nuvola” di Roma. Ripete con forza un appello già lanciato un anno fa, sempre al Colosseo, ma che oggi, afferma, è “ancora più attuale” e dice: “Le religioni non possono essere utilizzate per la guerra (...) nessuno usi il nome di Dio per benedire il terrore e la violenza”. (…) Prendendo la parola, Francesco ringrazia ciascuno dei presenti spinti da quello stesso “spirito di fratellanza” che ispirò la prima convocazione in nome della pace voluta da San Giovanni Paolo II ad Assisi, trentasei anni fa, e afferma: Quest’anno la nostra preghiera è diventata un “grido”, perché oggi la pace è gravemente violata, ferita, calpestata: e questo in Europa, cioè nel continente che nel secolo scorso ha vissuto le tragedie delle due guerre mondiali. Siamo nella terza. Purtroppo, da allora, le guerre non hanno mai smesso di insanguinare e impoverire la terra, ma il momento che stiamo vivendo è particolarmente drammatico. Papa Francesco sottolinea ancora una volta che “la pace è nel cuore delle religioni”, quella pace negata e umiliata in tante parti del mondo e il cui grido viene spesso messo a tacere “dalla retorica bellica”, ma anche dall’odio e dall’indifferenza. Eppure è un’invocazione che, afferma il Papa, “non può essere soppressa”. Sale dal cuore delle madri, è scritta sui volti dei profughi, delle famiglie in fuga, dei feriti o dei morenti. E questo grido silenzioso sale al Cielo. Non conosce formule magiche per uscire dai conflitti, ma ha il diritto sacrosanto di chiedere pace in nome delle sofferenze patite, e merita ascolto. Merita che tutti, a partire dai governanti, si chinino ad ascoltare con serietà e rispetto. Che la guerra sia “madre di tutte le povertà”, e lasci “il mondo peggiore di come lo ha trovato”, che sia “un fallimento della politica e dell’umanità”, lo dimostrano, osserva il Papa, “le lezioni dolorosissime del secolo Ventesimo, e purtroppo anche di questa prima parte del Ventunesimo”, in cui, dimenticando Hiroshima e Nagasaki, si è tornato a minacciare l’uso delle armi nucleari. Ma se, sostiene Papa Francesco, i potenti della terra non danno ascolto alle aspirazioni dei loro popoli, non muta il disegno di pace di Dio per l’umanità e che sta a noi accogliere. E il Papa prosegue: La pace è dono suo e l’abbiamo invocata da Lui. Ma questo dono dev’essere accolto e coltivato da noi uomini e donne, specialmente da noi credenti. Per favore, non lasciamoci contagiare dalla logica perversa della guerra; non cadiamo nella trappola dell’odio per il nemico. Rimettiamo la pace al cuore della visione del futuro, come obiettivo centrale del nostro agire personale, sociale e politico, a tutti i livelli. Disinneschiamo i conflitti con l’arma del dialogo. Un analogo appello aveva rivolto ai governanti nell’ottobre del 1962, San Giovanni XXIII attraverso un radiomessaggio. Sembrava vicino allora un nuovo “scontro militare e una deflagrazione nucleare” e Papa Roncalli supplicava che si facesse tutto il possibile per “salvare la pace” e per evitare al mondo gli orrori di una guerra. Papa Francesco ripete le parole pronunciate dal suo predecessore: “Promuovere, favorire, accettare i dialoghi, a tutti i livelli e in ogni tempo, è una regola di saggezza e di prudenza che attira la benedizione del cielo e della terra”. Sessant’anni dopo, queste parole suonano di impressionante attualità. Le faccio mie. Non siamo ‘neutrali, ma schierati per la pace. Perciò invochiamo lo ius pacis come diritto di tutti a comporre i conflitti senza violenza’. È un impegno che, afferma ancora il Papa, vogliamo continuare a vivere. Non dobbiamo rassegnarci alla guerra. E cita ancora San Giovanni XXIII che nella Pacem in terris scriveva: “Si affratellino tutti i popoli della terra e fiorisca in essi e sempre regni la desideratissima pace”. Che “sia così – conclude Francesco - con la grazia di Dio e la buona volontà degli uomini e delle donne che Egli ama”. |
NIHIL SUB SOLE NOVUM
“Niente di nuovo sotto il sole” (Ecclesiaste, capitolo 1). Questo libro dell’Antico Testamento riferisce le riflessioni di un saggio sulle contraddizioni della vita. Il libro, secondo alcuni studiosi, fu composto probabilmente nel IV o nel III secolo a.C. L’autore, di nome Qoelet, mette le sue parole in bocca al re Salomone considerandolo il sapiente per eccellenza. Molto spesso parla in prima persona raccontando ciò che gli è accaduto e quel che ha pensato come se fosse una specie di testamento che riassume la sua esperienza personale. Molto significativo è il primo capitolo del Libro nei versetti 9, 10, 11. “Tutto ciò che è avvenuto, accadrà ancora, tutto ciò che è avvenuto in passato accadrà ancora nel futuro. Non c’è niente di nuovo sotto il sole. Qualcuno dirà: “guarda questo è nuovo, invece quella cosa esisteva già prima che noi nascessimo”. Da che mondo è mondo, è stato un susseguirsi di eventi che si sono ripetuti attraverso i secoli. La storia ci parla di guerre di offesa e di difesa, di pandemie, di terremoti, di genocidi, di devastazioni naturali, etc… Ci meravigliamo di questa perdurante pandemia che miete vittime in molti paesi ma già ai tempi di Giustiniano ci fu un’epidemia di peste nera che durò tre anni (541/543) facendo, a dire degli storici, milioni di morti. Per non parlare della peste bubbonica avvenuta nella Svizzera e nell’Italia settentrionale portata dalle truppe tedesche che penetrarono dalla Valtellina per porre l’assedio a Mantova coinvolta nella successione dopo la morte del duca Vincenzo Gonzaga. E’ la famosa peste di cui parla il Manzoni nei suoi “Promessi sposi” che fece una strage di morti favorita anche dall’estrema povertà in cui il popolo si trovava dopo due anni di terribile carestia. Poi ci fu il colera nel XIX secolo a Napoli e nel resto dell’Europa con epidemie negli anni 1828, 1836, 1855 e 1873 e nel secolo scorso ci fu “la Spagnola” così chiamata perché fu un giornale spagnolo a diffonderne la notizia. Negli anni 1957 e 1958 arrivò l’influenza asiatica che fece da 1 a 4 milioni di morti e che fu causata dal virus Singapore isolato per la prima volta in Cina. Di quest’ultima pandemia sappiamo molte cose ma tutti ci chiediamo quando finirà. Quindi, anche a proposito di questa guerra che coinvolge buona parte del mondo, dico come diceva Qoelet: “Niente di nuovo sotto il sole. Per ogni cosa c’è il suo momento”. Nei versetti del terzo capitolo ci sono poi molti consigli pratici: “C’è un tempo per demolire e un tempo per costruire; c’è un tempo per piangere e un tempo per ridere; c’è un tempo per nascere e uno per morire; c’è un tempo per parlare e un tempo per tacere; c’è un tempo di guerra e un tempo di pace; ………………………….”. Fernanda |
CARTOLINE DA PARIGI
Parigi è una gran bella metropoli, ricca di storia e di modernità! Ampi viali e palazzi del 600/700 con i tetti in ardesia, i numerosissimi comignoli e i terrazzini in ferro battuto; quartieri raccolti e poco turistici dove è piacevole passeggiare e fermarsi ai numerosi caffè e bistrot. Abbiamo visto il Marais, zona poco turistica ma caratterizzata dalla Piazza des Vosges racchiusa da un porticato in mattoni; voluta da Enrico IV, fu la prima piazza reale di Parigi e nell’800 qui visse Victor Hugo. Anche il quartiere ebraico è stato una piacevole sorpresa: vi stavano preparando la Festa delle Capanne e le pasticcerie erano ricche dei loro dolci caratteristici e piccoli negozi esponevano i loro prodotti. Ovviamente abbiamo visto anche luoghi più noti e famosi! Il Museo del Louvre ci ha colpito per la sua grandiosità; nel 1989 il presidente Mitterand fece costruire una piramide davanti al museo e l’ingresso ora è posto sotto la piramide. Non ci ha convinto molto l’idea della piramide in vetro ma il sotto è spettacolare: è un luminoso e ricchissimo centro com-merciale e in una zona si possono ancora ammirare le antiche mura della fortezza che si trovava lì. Poche le opere su cui ci siamo concentrati e la Gioconda è una di queste: la tela è in una sala da sola e abbiamo contemplato questo capolavoro con tranquillità; lo sguardo della Monna Lisa non perde mai gli occhi dello spettatore. Salire sulla collina del Sacro Cuore e ammirare Parigi dall’alto, con calma, di mattina presto e senza ressa intorno è stato meraviglioso! Interessante anche il giro sulla Senna in bateau-mouche; si coglie in modo più chiaro la presenza delle due piccole isole fluviali: l’Isola della Cité e l’isola Saint Louis. E’ proprio sull’isola della Cité che si insediarono duecento anni prima di Cristo i primi abitanti, i Parisii, che diedero il nome alla città. E’ sempre qua che si erge la cattedrale di Notre Dame: semidistrutta dall’incendio del 2019 e in fase di ristrutturazione, sarà riaperta al pubblico nel 2025. Con il battello si passa molto vicino alla Tour Eiffel: costruita interamente in ferro nel 1889 per l’Esposizione Universale, non è stata ben accolta dai parigini che pensavano di smantellarla alla chiusura della manifestazione. Per fortuna non è successo! E’ il simbolo della città con i suoi 320 metri d’altezza e garantisce le telecomunicazioni; infatti fu la prima torre a trasmettere la prima trasmissione radiofonica pubblica in Europa nel 1921. E che dire di Versailles? L’odierna struttura è partita dalla Casina di Caccia di Luigi XIII che il Re Sole, Luigi XIV, ha ampliato e arricchito. Qui si trasferì la Corte dal 1682 al 1789 e qui la regina Maria Antonietta ha risposto al popolo affamato che chiedeva pane “Se non hanno pane, mangino brioches”. La reggia è immensa, poco arredata perché i mobili sono stati venduti in tempi di crisi. Qui i Rivoluzionari sono venuti a catturare i reali per ghigliottinarli. Magnifica è la Galleria degli Specchi, sala da ballo e di rappresentanza, che ai tempi del re Sole veniva illuminata da centinaia di candele. Pensare che una candela costava quanto due giorni di lavoro di un francese del tempo! Anche i giardini non sono da meno in quanto a sfarzo e bellezza: musica di sottofondo, giochi d’acqua, fontane, statue, boschetti e verde ben curato. Al centro si trova il Gran Canal e il 21 giugno, solstizio d’estate, il sole divide esattamente a metà il canale e bussa alla finestra della camera da letto del re. Non per niente chiamato Re Sole. Sono stati cinque giorni intensi, ricchi di emozioni e di belle vedute. Abbiamo visto molto, molto di più di quanto scritto e sicuramente si può affermare che Parigi vale un viaggio. Allora “Au revoir, Paris”! Arrivederci! Paola Perodi |
Un affascinante rapporto
Venerdì 28 ottobre ho tenuto una conferenza dal titolo “Quale rapporto lega scienza e arte”. Scienza, tecnica e arte da sempre tracciano importanti orizzonti e costituiscono campi essenziali di ricerca anche se, a volte, possono apparire tra loro in conflitto. In questa conferenza la storia dell’arte è stata presentata da un punto di vista poco usuale e molto suggestivo: il materiale. In particolare l’attenzione si è focalizzata su vetro, oro, rame e titanio. Facendo tesoro di un ricco insieme di riferimenti tecnici e tecnologici difficili da riassumere in "parole povere", abbiamo compiuto uno straordinario viaggio dagli albori della civiltà fino ai nostri giorni. Riguardo al vetro, i dati archeologici e le fonti letterarie del primo secolo d.C. documentano una notevole produzione e consumo di oggetti nelle città vesuviane e in tanti altri centri dell'impero romano. E’ interessante notare che i progressi nella lavorazione del vetro soffiato ebbero una ricaduta anche nell'architettura. In particolare i visitatori di Ercolano e Pompei hanno modo di osservare, con meraviglia, la quantità di vetri ancora collocati nei telai delle finestre delle abitazioni e degli edifici pubblici. Si è quindi passati a parlare del metallo nobile per eccellenza: l’oro. L’oro, quando viene esposto all’aria, rimane brillante e non si ossida ma è anche speciale per la sua duttilità, cioè per la docilità con la quale si lascia ridurre in fili sottilissimi. Non meno spettacolare è la sua malleabilità: tecnicamente è possibile battere un’oncia d’oro (circa 30 grammi) fino a ottenere un foglio della superficie di 16 mq! Così, nella pittura del Duecento e del Trecento, il fondo oro era ottenuto applicando foglie metalliche ridotte allo spessore di un velo. In particolare gli artigiani del Medioevo fabbricavano la foglia d’oro martellando delle monete e riducendole così in lamine sottilissime. Anche per l’oro abbiamo applicazioni nell’architettura: per la doratura della torre Haunted House, nella sede milanese della Fondazione Prada inaugurata 2015, sono stati utilizzati 200.000 fogli di oro zecchino! Se fin dai tempi della sua scoperta, l’oro è stato usato a scopo ornamentale e solo con lo sviluppo tecnologico è stato impiegato anche a scopo tecnico e scientifico, l’inverso è avvento per il titanio. La sua fama in architettura è legata indiscutibilmente al Museo Guggenheim di Bilbao realizzato dall’architetto Frank Gehry nel 1997 che, per i quasi 40.000 mq del museo, ha impiegato 33.000 panelli di 0,38 mm di spessore pari a un peso complessivo di 60 tonnellate! Per il titanio l’anello di congiunzione tra il settore tecnologico e il settore artistico è costituito dalle ricerche sulla sua colorazione condotte e sviluppate negli anni settanta da Pietro Pedeferri (1938-2008) professore al Politecnico di Milano. Pedeferri ha ideato una tecnica di colorazione (ossidazione per via elettrochimica) che consente di far assumere alla superficie del titanio una straordinaria gamma di colori che dipendono dallo spessore del film di ossido. Pedeferri utilizza questa tecnica anche con finalità artistiche e decorative in un’intensa e originale ricerca artistica che gli varrà, fra l’altro, l’apprezzamento di Bruno Munari e, a Parigi nel 1989, il premio “Science pour l’art”. Infine una nota di … colore: gli Egizi diedero vita al primo colore artificiale della storia, il “blu egizio”, che ebbe grande diffusione e ampio utilizzo anche presso altre civiltà. Particolare curioso: il blu egizio è stato ritrovato nel 2020 negli affreschi di Raffaello a Villa Farnesina; è la prima volta che si ritrova in un'opera di Raffaello questo pigmento e gli studiosi ritengono che si tratti di un unicum. Colore blu che ha sempre affascinato l’uomo: dal pigmento blu maya siamo passati al blu di Brema, al blu di Prussia e al blu cobalto fino all’ultimo arrivato, il Bluetiful, sintetizzato nel 2018. Uno straordinario incontro tra arte e scienza, una storia che continua e non smette di affascinarci. Rinaldo Psaro |
LE BUCHE DEL GOLFO AGRICOLO
In una città complessa e diversificata come Segrate le scelte territoriali non sono certo facili e spesso richiedono tempi lunghi e ripensamenti. Come succede poi per le sorti del Golfo Agricolo, non si può operare senza andare a coinvolgere categorie di utenti come i ciclisti e i disabili dotati di carrozzelle e/o di motorini elettrici. Proprio all’interno del Golfo Agricolo, nel percorrere la strada sterrata che collega il quartiere di Rovagnasco con Milano Due, ho subito un piccolo incidente, per fortuna senza grosse conseguenze, legato al numero delle buche che caratterizzano quell’area piuttosto abbandonata. Sono anziano (84 anni) e soffro di disturbi alla vista e di limitazioni al camminamento. Non avendo ovviamente ottenuto il rinnovo della patente d’auto, uso un motorino elettrico, uno scooter a bassa velocità destinato proprio ai disabili, per i miei spostamenti in città. L’accesso a Milano Due (Sporting Club) mi è indispensabile per realizzare in palestra e in piscina quelle misure di cura che mi sono state prescritte per alleviare le mie difficoltà motorie. L’utilizzo della strada sterrata di collegamento di cui sopra mi sarebbe dunque molto utile (se non indispensabile) per raggiungere in tempi brevi il luogo di cura. Sono stato Sindaco di Segrate fra il 1996 e il 2005 ma, malgrado gli sforzi miei e della mia maggioranza, non sono riuscito a risolvere il contenzioso fra i proprietari del Golfo Agricolo e l’Amministrazione Comunale contraria al rilascio di pur modeste concessioni edilizie sull’area. E’ un confronto che non si è ancora risolto con in miei successori (anche il Sindaco Micheli aveva promesso di realizzare a Segrate tre grandi parchi d’uso pubblico e a gestione privata) e il perché non sono ancora riuscito a capirlo nonostante che non siano pochi gli argomenti a favore di una trasformazione del Golfo Agricolo in un parco pubblico gestito da privati con costi di manutenzione a loro carico e con possibilità di costruire ai bordi dell’area qualche residenza di modeste dimensioni. Le attuali condizioni del Golfo Agricolo sono pessime e inadeguate sono le risorse di manodopera con negativi riflessi sui residui utilizzatori della strada di collegamento: ciclisti, pedoni e, ahimè, anche i disabili forniti di motorino elettrico. Bruno Colle |
Notturni
Notti d’amore
Ricamano le ombre
la tremula silhuette di due fessure di labbra.
Arde la gola, inconsce ondulazioni
vibrano ai prodigi dell’amore,
giocano in complicità gesti e parole.
Notti di follia
Si volta la pagina di un anno,
saltano i tappi nell’allegro cin – cin,
esplodono gli auguri di sempre
e nel solco del domani già s’incanalano auspicate felicità.
Notti di sempre
Fruga nel pattume
dell’opulenta città un povero barbone
che cerca avanzi di cibo
e briciole d’umanità.
Esasperato e furtivo s’aggira qualche disperato
che va alla ricerca del suo quotidiano paradiso.
Rasente i deserti marciapiedi
notturne creature offrono in visione
allusive mercanzie personali.
Si stemperano le opalescenti luci dell’alba.
Ad una ad una le stelle
si dissolvono nelle gioie e nelle pene
di questa variegata umanità.
Notti d’amore
Ricamano le ombre
la tremula silhuette di due fessure di labbra.
Arde la gola, inconsce ondulazioni
vibrano ai prodigi dell’amore,
giocano in complicità gesti e parole.
Notti di follia
Si volta la pagina di un anno,
saltano i tappi nell’allegro cin – cin,
esplodono gli auguri di sempre
e nel solco del domani già s’incanalano auspicate felicità.
Notti di sempre
Fruga nel pattume
dell’opulenta città un povero barbone
che cerca avanzi di cibo
e briciole d’umanità.
Esasperato e furtivo s’aggira qualche disperato
che va alla ricerca del suo quotidiano paradiso.
Rasente i deserti marciapiedi
notturne creature offrono in visione
allusive mercanzie personali.
Si stemperano le opalescenti luci dell’alba.
Ad una ad una le stelle
si dissolvono nelle gioie e nelle pene
di questa variegata umanità.
Una stella
Sono soltanto una stella.
Pellegrina in cielo.
Qua e là. Sopra e sotto. Oltre lo spazio tempo.
Cado in limpidi barlumi, mi adombro in un silenzio.
Inseguo brevi chiarori, frammenti d’albe.
Sussurro antiche melodie, semplici eco e vagiti.
A volte tu alzi lo sguardo e provi stupore,
un arcano tremore che dal tuo cuore sale
e in me si riverbera.
Un fremito, l’accenno di un sorriso:
ti senti ancora bambino.
Poi riprendi il cammino.
Dense nebbie sopra la tua vita. Grigio che soffoca il tuo bene.
Ma quando, improvviso, balena uno squarcio di sereno,
io sono lì.
Abbastanza per indicarti un cammino.
Per conoscere i sentieri del tuo cuore,
rammentarti l’infanzia di una luce.
Così insieme vaghiamo, da molto tempo,
e ti ho condotto qui.
Sopra una capanna, davanti a un bambino.
Per un attimo di luce. Per un attimo d’amore.
Pietro Pinacci
Sono soltanto una stella.
Pellegrina in cielo.
Qua e là. Sopra e sotto. Oltre lo spazio tempo.
Cado in limpidi barlumi, mi adombro in un silenzio.
Inseguo brevi chiarori, frammenti d’albe.
Sussurro antiche melodie, semplici eco e vagiti.
A volte tu alzi lo sguardo e provi stupore,
un arcano tremore che dal tuo cuore sale
e in me si riverbera.
Un fremito, l’accenno di un sorriso:
ti senti ancora bambino.
Poi riprendi il cammino.
Dense nebbie sopra la tua vita. Grigio che soffoca il tuo bene.
Ma quando, improvviso, balena uno squarcio di sereno,
io sono lì.
Abbastanza per indicarti un cammino.
Per conoscere i sentieri del tuo cuore,
rammentarti l’infanzia di una luce.
Così insieme vaghiamo, da molto tempo,
e ti ho condotto qui.
Sopra una capanna, davanti a un bambino.
Per un attimo di luce. Per un attimo d’amore.
Pietro Pinacci
UNA GIORNATA NELLE LANGHE
Abbiamo visitato la città di Alba un sabato di ottobre, in un periodo particolarmente ricco di manifestazioni collegate alla Fiera del Tartufo che si tiene nei mesi di ottobre e novembre e che ha assunto le caratteristiche di un evento nazionale. Si era appena tenuto nella cornice storica di Piazza del Duomo il divertente Palio degli Asini che ricorda l’antica rivalità con Asti e le case erano ancora tutte imbandierate. La città è ricca di cultura, storia e tradizioni: ce lo testimoniano i resti sotterranei, gli scorci medievali del centro e alcune delle cento torri, erette nel passato sia per difesa che per ostentazione di potere delle famiglie importanti, che poi furono abbassate e inglobate negli edifici circostanti. Il centro storico ha dimensioni raccolte e offre una atmosfera calda ed elegante. Nella zona pedonale si incontrano chiese molto belle come quella della Maddalena del XVIII secolo che, con la sobria facciata di mattoni rossi in stile barocco piemontese, racchiude un interno ricchissimo e colorato. Anche il Duomo, in stile gotico più volte ristrutturato, ha un interno caratterizzato da splendidi colori che vanno dall’oro al blu delle volte e da un bellissimo coro ligneo di trentacinque scanni intarsiati con legni differenti che raffigurano scorci urbani, castelli e strumenti musicali. Sulla facciata i simboli degli Evangelisti sono messi nell’ordine Angelo, Leone, Bue e Aquila in modo da formare, con le loro iniziali, il nome Alba. La grande chiesa di San Domenico, anch’essa di struttura gotica, è molto luminosa e più che al culto è riservata a eventi culturali, a mostre e a concerti. Due nomi in particolare sono legati alla città: Ferrero (notissimo in Italia e nel mondo) e Beppe Fenoglio, lo scrittore partigiano, che qui ha scritto la maggior parte delle sue opere. La Fondazione Ferrero in ottobre presenta una mostra su di lui nel centenario della nascita. Quest’anno il vessillo della Giostra delle Cento Torri, assegnato al vincitore, è dedicato a Fenoglio con una citazione tratta dal suo romanzo La Malora. Sempre la Fondazione nella rinnovata Piazza Ferrero ha donato alla città una poetica scultura dell’artista Valerio Berruti e proprio davanti a questa novità abbiamo fatto la nostra foto ricordo di gruppo. Alba è anche una delle capitali della gastronomia piemontese. Nella via Vittorio Emanuele, che collega le due piazze principali, si incontrano moltissimi negozi dove è possibile acquistare le specialità locali e, in particolare, il famoso tartufo bianco. Ci siamo tutti fermati a osservare le vetrine dove, su minuscoli piattini, altrettanto piccoli tartufi erano in vendita a prezzi davvero notevoli. “Cos’è un tartufo? “La nostra guida si è divertita a chiedercelo, ottenendo varie e anche strane definizioni, per concludere invece che si tratta di un fungo della particolare categoria dei “funghi ipogei” che compiono interamente il loro ciclo vitale sottoterra in aree boschive vivendo in rapporto simbiotico con le radici degli alberi in uno scambio reciproco di nutrimenti. Nella tarda mattinata abbiamo attraversato lo splendido scenario naturale delle Langhe, una fascia di colline tra le province di Cuneo e Asti, sulla destra orografica del Tanaro: un paesaggio dagli ampi orizzonti segnato da torri e castelli e dove la vigna, in ordinati filari paralleli, è ovunque dominante. L’altezza media è sui 550 metri, ma per la diversa conformazione del terreno si hanno diversità di colture: ci sono la Langa del Barolo, del Barbaresco e quella delle nocciole. Abbiamo così raggiunto il colle di Barolo per il pranzo e il prezioso vino si è fatto sentire nel risotto, nel brasato e perfino ”in riduzione” sul dessert mentre per pasteggiare abbiamo avuto ottimi vini, anche se meno nobili, prodotti dall’agriturismo stesso. Il castello di Barolo, che risale all’alto medioevo, ha perso la sua fisionomia militare di difesa pur mantenendo un’imponente struttura ed è diventato una residenza di campagna dei marchesi Falletti, feudatari di queste terre fin dal 1250, fino all’ultima discendente che diede nome e fama al vino Barolo. Ora il castello appartiene al Comune e vi si trovano il Museo del Vino che propone un viaggio interattivo nella cultura e nella storia del vino e, nelle antiche cantine, l’enoteca regionale del Barolo. Nell’ultima tappa abbiamo infine risalito le stradine dentro le mura dei bastioni per raggiungere il più suggestivo belvedere delle Langhe: la spianata del castello della Morra. Ma il pomeriggio era avanzato e una leggera foschia velava i colori delle colline. Non era più quindi il momento delle foto ma quello degli acquisti di vino e di castagne per concludere la nostra giornata. Laura Re |
PENSARE ... FORSE SOGNARE ... FORSE ...
Stamane, dopo essermi girato e rigirato nel letto, ho infine deciso di alzarmi. Mi sentivo come se un cerchio mi stringesse stranamente la testa e faticavo a rendermi conto di dove fossi. Forse tutto ciò era dovuto al brutto strano sogno che avevo fatto: mi sembrava d’essere morto e che la mia anima (una fiammella grande così e un po' grigia in verità) se ne stesse andando nell'aldilà. Io mi aspettavo che fosse come sempre la religione aveva insegnato: paradiso, inferno, ecc… e invece no. Quando giunsi sulla porta vidi davanti a me e in ogni dove un’infinità di fiammelle, o meglio di anime come me, che vagavano in questo aldilà infinito. Cercai di sapere qualcosa e una voce che sentivo ma non vedevo mi disse: “Ricordati che fin quando resterai io sarò la tua Ego e che quando vorrai sapere qualcosa potrai chiamarmi e avrai risposta. Dunque ora volevi sapere chi sono queste anime? Sono quelle di tutti coloro che sono morti sulla terra e che stanno cercando, con la preghiera e la meditazione, di purificare il loro spirito per raggiungere la luce e diventare essi stessi luce per tornare ancora a essere vita”. Mentre stavo parlando con Ego, ho visto passarmi vicino un’anima che portava sul capo un rametto di foglie verdi e, incuriosito, ho chiesto al mio Ego il perché di quello strano abbigliamento. E lui: “Ma come, non lo riconosci? Quella è l'anima di quel tal Dante famoso poeta fiorentino... e, siccome è un po' vanitosa, le piace farsi notare”. E io: “Ma come? Sono più di settecento anni che è morto ed è ancora qui?” Mi risponde Ego: “Cosa vuoi mai, da vivo non era mica uno stinco di santo nemmeno lui!” Proseguendo per il mio cammino, guardai in su e vedi che la Luce da raggiungere era davvero molto lontana; vuol dire che anche alla mia anima, per ripulirsi bene, di tempo e di preghiere ce ne vorrà un bel po'. Speriamo che ci sia qualche "perdonanza", un condono, magari anche piccolo, così come s'usa giù da noi nel mondo o, perlomeno, nella nostra Italietta. Mi avvio sulla salita (ormai sono venticinque anni che salgo) e mi accorgo che anche la mia anima un pochino si è ripulita e ciò vuol dire che le mie preghiere vengono ascoltate lassù. Riprendendo, frattanto, il mio faticoso penitenziale abbassando la testa, venni urtato da due anime che, prima di proseguire il loro cammino, si scusarono subito con me usando degli strani dialetti che mi parve di riconoscere. Chiesi a Ego se sapesse di chi fossero... e lui mi disse che quelle erano le anime di Cavour e di Garibaldi che, tanto per cambiare, stavano litigando.Più camminavo e più mi incuriosiva il fatto di avere visto anime di tutti i colori ma nessuna ancora nera nonostante che, sulla terra, di animacce nere ce ne fossero sempre state in abbondanza. Chiesi spiegazioni a Ego ed ebbi una risposta quanto mai semplice: quelle animacce lì non venivano fatte entrare in purgatorio ma fatte precipitare direttamente nella cloaca massima da cui non usciranno mai più. Ripresi il mio cammino verso l'alto sperando sempre di incontrare, prima o poi, qualcuno di coloro che ho amato e che mi hanno voluto bene. Ma forse chiesi troppo ..., per un sogno… Gianfranco |
Ecco qualche esempio trovato in rete…
Clicca qui sotto per leggere i numeri precedenti: